lunedì 11 giugno 2018

internazionale 8.6.18
Jacinda Ardern
Successo inatteso
La premier neozelandese è la più giovane leader di governo del mondo e tra poco avrà il suo primo figlio. Sa ascoltare e interpretare i bisogni dei cittadini, ma è anche una politica scaltra e pragmatica di Jamie Smyth, Financial Times, Regno Unito

Capisco che la prima ministra più giovane del mondo sta per arrivare quando un robusto poliziotto in borghese appare sulla porta e comincia a perlustrare la stanza. Ci sono solo sette o otto tavoli da Hillside Kitchen & Cellar, un elegante e tranquillo ristorante di fronte alla residenza ufficiale di Jacinda Ardern a Wellington, la capitale della Nuova Zelanda. L’uomo non ci mette molto a notarmi seduto in un angolo. “Tutto bene?”, mi chiede, presentandosi come Eric del corpo di protezione diplomatica della Nuova Zelanda. Il servizio di sicurezza, apparentemente alla mano, è in linea con l’immagine pubblica di Ardern che nel 2017 ha conquistato i neozelandesi. La “jacindamania”, alimentata sia dallo stile fresco e informale di questa laburista di 37 anni sia dalla sua difesa delle cause progressiste, è diventata rapidamente un fenomeno globale. Insieme al presidente francese Emmanuel Macron e al primo ministro canadese Justin Trudeau, Ardern ha un ruolo di primo piano nella narrazione progressista che si oppone al nuovo populismo di destra. La sua immagine di leader dall’atteggiamento inconsueto e ottimistico si è rafforzata dopo l’annuncio, a gennaio, della sua prima gravidanza. A giugno sarà la prima donna a partorire mentre è alla guida di un governo dai tempi della leader pachistana Benazir Bhutto, morta nel 2007.
Eric è soddisfatto e, poco dopo, Ardern entra nel locale esibendo il suo caratteristico sorriso a 32 denti e il pancione ben visibile sotto la camicetta color rosso vivo. È accompagnata da un uomo dall’aria sportiva vestito in modo informale. “Spero che non sia un problema. Sono appena tornata da un evento la notte scorsa a Wanaka, quindi ho portato con me il mio compagno Clarke”, mi dice, indicandomi il suo “first gentleman”. Clarke Gayford è noto a molti neozelandesi come conduttore di una popolare trasmissione tv dedicata alla pesca, Fish of the day.
Confessioni intime
Ardern fa sedere Gayford a un tavolo separato, dove lo raggiungono alcune persone del gruppo di lavoro della prima ministra. Dopo essersi seduta, Ardern parla degli sforzi che fa per condurre una vita normale nonostante la pressione del suo incarico e la gravidanza. “Continuo a fare la spesa e ad andare da Kmart per comprare i miei vestiti prémaman”, mi dice, aggiungendo di sentirsi fortunata dal momento che Gayford resterà a casa. “Posso fare quello che sto facendo solo perché il mio compagno è in grado di occuparsi delle faccende domestiche a tempo pieno”, dice. “Non voglio passare per una superdonna, semplicemente perché non dovremmo aspettarci che le donne lo siano”. Ardern pensa di prendersi sei settimane di congedo di maternità prima di tornare al lavoro. È assalita dagli stessi dubbi e dalle stesse paure di molti futuri genitori, nonostante sia una delle poche fortunate ad aver avuto l’opportunità di discuterne con l’ex presidente statunitense Barack Obama, che ha visitato la Nuova Zelanda a marzo. “Gli ho chiesto: ‘Come gestisci il senso di colpa?’. Penso di essere una persona che si colpevolizza molto. Forse fare politica per me è la scelta peggiore”, dice con tono disarmante. “Lui mi ha detto: ‘Devi fare del tuo meglio’”. Delle confessioni così intime non sono comuni quando s’intervista un primo ministro. Una delle ragioni del successo di Ardern è la sua apparente normalità. Ma in alcune circostanze il suo candore le ha giocato contro: quando un amico ha rivelato che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump l’aveva scambiata per la moglie di Trudeau in un vertice in Asia, il malinteso ha suscitato un certo clamore sulla stampa neozelandese. Proprio mentre sto per chiederle di quest’incidente, arriva una cameriera e c’illustra il menù, un misto di portate da brunch e altre da pranzo europeo, compresi crauti, salsicce italiane e black pudding. Io ordino guanciale di manzo con sottaceti accompagnato da formaggio halloumi, pane integrale e barbabietole arrosto. Lei sceglie un’insalata di pomodori e barbabietole, e dei toast a lievitazione naturale. Ardern insiste per farmi provare un bicchiere di vino neozelandese, invece per sé ordina solo un tè alla menta. “Dovrai bere al posto mio. Preferisco che almeno qualcuno se la goda un po’”, dice ridendo. È stato un anno intenso. Eletta viceleader del Partito laburista neozelandese nel marzo del 2017, ha assunto la carica di leader sette settimane prima delle elezioni dello scorso settembre, dopo le dimissioni improvvise del suo predecessore. Lei stessa era scettica sulle sue possibilità: “Tutti sanno che ho appena accettato, con poco preavviso, il peggior incarico possibile in politica”, ha detto all’epoca. I laburisti, che non erano al potere da nove anni e che, secondo i sondaggi, erano indietro di più di venti punti percentuali rispetto al Partito nazionale al governo, si preparavano alla quarta sconfitta consecutiva e a un’altra demoralizzante esperienza all’opposizione. Ma poi è successo qualcosa d’inatteso. In un paese più volte elogiato dalla banca Hsbc per la sua solidissima economia, una campagna elettorale aggressivamente incentrata sulle diseguaglianze e sull’aumento delle persone rimaste senza casa ha colpito nel segno e ha colmato il divario tra i due partiti. Anche se nelle ultime fasi della campagna elettorale il sostegno ai laburisti è calato, Ardern ha comunque formato un governo di coalizione con il partito nazionalista e populista New Zealand first e con i Verdi. Ardern si è resa conto che le cose stavano cambiando quando i giornalisti hanno cominciato a concentrarsi sulle persone senza fissa dimora che a Auckland erano costrette a dormire nelle auto, alcuni con i loro bambini. “L’uguaglianza fa parte del nostro dna”, spiega. “La gente ha avuto la sensazione, credo, che ci stessimo allontanando da alcuni punti che, indipendentemente dal colore politico, sono stati fondamentali per il sistema di valori della Nuova Zelanda e per l’idea che avevamo di noi stessi”. Ardern si è avvicinata alla sinistra da ragazza. Cresciuta negli anni ottanta in una cittadina rurale della Nuova Zelanda, dove suo padre era un agente di polizia e sua madre una dipendente della mensa scolastica, ha visto molte famiglie faticare per arrivare alla fine del mese durante quel turbolento periodo di riforme di libero mercato.
Un messaggio di speranza
Ai tempi della scuola ha fondato una sede di Amnesty International, attiva ancora oggi. La famiglia era di fede mormona, ma Ardern ha abbandonato la chiesa poco dopo i vent’anni a causa delle sue posizioni conservatrici sull’omosessualità. John Inger, il suo ex preside che ho contattato il giorno prima d’incontrarla, mi ha detto che era una studente fantastica, un’oratrice brillante e forse una persona troppo gentile per occuparsi di politica. Eppure la capacità di Ardern di fare leva sul disagio popolare per l’aumento del costo degli alloggi, per la bassa crescita dei salari e per l’inadeguatezza delle infrastrutture rilette anche le sue spiccate capacità politiche, affinate quando lavorava nella squadra di Helen Clark, l’ex prima ministra laburista eletta per tre volte tra il 1999 e il 2008. In seguito Ardern ha lavorato per qualche tempo nell’ufficio di gabinetto del Regno Unito, durante il governo di Tony Blair. “Ero lì quando Gordon Brown stava prendendo il comando”, spiega. “È stato fantastico, ho imparato molto”. Nonostante il suo stile intrigante e la capacità di entrare in sintonia con la gente, Ardern è più un’addetta ai lavori che una ribelle: una consumata professionista della politica, con poca esperienza in altri settori. “Ho lavorato in un negozio di fish and chips la stessa quantità di tempo che ho passato in parlamento”, dice riferendosi a un lavoro che svolgeva da ragazza dopo la scuola. “Ho avuto delle esperienze specifiche nella politica, ma non sono state le uniche cose che ho fatto né quelle che mi hanno reso la persona che sono”. Quando cominciamo a parlare della situazione politica internazionale, arriva il tè di Ardern, accompagnato da un bicchiere di vino dall’aspetto torbido. Accorgendosi della mia perplessità, la cameriera spiega che questa particolare varietà di Canterbury viene fatta fermentare con le bucce d’uva per varie settimane, per aumentarne il sapore e la consistenza. È delizioso. “Credo che buona parte della popolazione si sia sentita penalizzata dalla crisi finanziaria e da quella che percepisce come globalizzazione”, spiega Ardern. “La mia sensazione è che le reazioni della gente in alcuni referendum e in alcune elezioni esprimessero preoccupazione per la mancanza di risposte a un crescente senso d’insicurezza. Noi politici possiamo riempire questo vuoto con un messaggio di speranza, oppure possiamo sfruttarlo con la paura e dando la colpa ad altri”. Nella risposta di Ardern ci sono grandi impegni verso l’elettorato: risolvere la crisi abitativa, portare centomila bambini fuori dalla soglia di povertà e avviare la Nuova Zelanda verso l’obiettivo di diventare un’economia a emissioni zero entro il 2050, per citarne alcuni. Il suo governo ha esordito in maniera coraggiosa. Ad aprile Ardern ha vietato ogni futura esplorazione petrolifera o di gas in mare aperto, una rottura con le politiche del Partito nazionale, che corteggiava le grandi aziende petrolifere. Ha aumentato il salario minimo di 75 centesimi, facendolo salire a 16,50 dollari neozelandesi all’ora, circa 10 euro. Inoltre ha cominciato a eliminare poco a poco le tasse universitarie e ha approvato leggi contro l’acquisto di proprietà immobiliari da parte degli stranieri. Ma Ardern ha mostrato anche un atteggiamento pragmatico, aderendo al Partenariato transpacifico (Tpp), un accordo commerciale che coinvolge undici paesi e che aveva criticato quando era all’opposizione. Ardern, femminista, non è un’ammiratrice di Trump ma è troppo diplomatica per dirlo, vista la stretta relazione commerciale e militare tra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti. Le ricordo che, prima di diventare prima ministra, si era unita alle centinaia di manifestanti della marcia delle donne di Auckland, organizzata il giorno dopo l’insediamento di Trump nel gennaio del 2017. “Per me non è stata una marcia postelettorale, ma una manifestazione per il futuro dei diritti delle donne in Nuova Zelanda”, dice Ardern. Ma durante un vertice asiatico, quando Trump ha ironizzato sul fatto che avesse “creato molti problemi nel paese” vincendo le elezioni, Ardern ha subito replicato: “Nessuno ha protestato quando sono stata eletta”. Ardern, che la rivista Vogue ha definito “anti-Trump”, sarà in grado di costruire uno stretto legame con l’amministrazione statunitense? “Ma certo, dobbiamo farlo”, dice. “In ogni relazione esistono motivi di dissidio”. Ci fermiamo un attimo per osservare il tavolo vicino, dove qualcuno si sta unendo alla squadra della prima ministra. Nel ristorante alcuni avventori hanno lasciato i loro tavoli per guardare i quadri degli artisti locali appesi alle pareti. Sono stupito del fatto che nessuno sembra interessato alla premier che pranza. Almeno qui i neozelandesi sono all’altezza della loro reputazione e rifuggono dal culto della celebrità. Comincio a parlare delle crescenti preoccupazioni per l’influenza del Partito comunista cinese sulla società e sulla politica neozelandesi, emerse proprio mentre il governo cerca di rafforzare i suoi accordi commerciali con Pechino. L’Australia renderà più severe le sue leggi sullo spionaggio straniero, mentre finora la Nuova Zelanda non ha preso decisioni chiare. “Stiamo considerando la questione con attenzione”, spiega Ardern, che insiste su un punto: il suo governo non ha paura di esporsi riguardo ai diritti umani, anche quando la questione coinvolge il suo principale alleato commerciale, cioè la Cina. John Key, l’ex primo ministro neozelandese, fu criticato per non aver incontrato il Dalai Lama in visita nel paese nel 2009, pur avendolo promesso in campagna elettorale. Ardern sostiene che in futuro ogni incontro con il leader spirituale tibetano sarà valutato dal suo governo caso per caso, suggerendo così che non vuole fare innervosire Pechino.
Luna di miele
Proprio mentre sembra che la pazienza di Ardern per questo genere di domande si stia esaurendo, arrivano i nostri piatti. Il mio è presentato in maniera stupenda, con un ricco assortimento di sottaceti. L’insalata della premier non è abbondante, ma lei mi dice che è sufficiente. “Ieri ho mangiato molto. Ho partecipato a una colazione, a un pranzo e a una cena ufficiali: forse è il bambino che mi blocca lo stomaco, ma non ho fame”, dice. La jacindamania era in piena espansione quando, ad aprile, Ardern è andata in Europa per partecipare al vertice dei leader del Commonwealth a Londra e a due incontri commerciali con Macron e con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il viaggio, con un colpo da maestra dal punto di vista dell’immagine, si è concluso con un incontro con la regina Elisabetta II a Buckingham palace. Per l’occasione Ardern ha indossato un mantello maori tradizionale. Tuttavia in Nuova Zelanda stanno emergendo i primi segnali del fatto che la luna di miele politica di Ardern sta per finire. Un progetto recente di aumento delle imposte sulla benzina ha alimentato le polemiche. La premier è accusata di non mantenere la promessa di non introdurre nuove tasse, mentre a marzo la ministra delle telecomunicazioni, Clare Curran, è stata coinvolta in uno scandalo che ha portato alle dimissioni di una dirigente di Radio New Zealand (Rnz). Tutti i governi prima o poi incontrano problemi del genere, ma Ardern dovrà gestirli con abilità, data la natura della coalizione che guida. Winston Peters, il leader populista del partito New Zealand first e vice primo ministro, è considerato dagli analisti politici una mina vagante e non è un alleato naturale dei Verdi, il cui sostegno è invece fondamentale per la tenuta della coalizione. Mentre la cameriera si avvicina al nostro tavolo per portare via i piatti, riferisco ad Ardern la mia conversazione con il suo ex preside. I commenti sull’eccessiva gentilezza riecheggiavano i dubbi sollevati dopo che la premier si è rifiutata di licenziare la ministra delle telecomunicazioni.
Cosa pensa delle accuse secondo cui sarebbe “troppo gentile” per prendere le decisioni spiacevoli richieste a una persona che ricopre il suo ruolo?
Ardern scuote la testa: “La ministra meritava di essere licenziata? No. A volte anche affrontare certe situazioni – per esempio quelle in cui sarebbe ingiusto obbligare qualcuno a dimettersi – richiede capacità di comando”, spiega. “Il mondo della politica è duro e bisogna sapersi difendere”, continua. “Sì, è vero che sono sensibile, ma questo significa anche che la mia bussola politica è intatta, e il mio senso di empatia e di gentilezza continuano a essere in prima linea”. Con queste parole si alza per cercare di pagare il conto. Mi alzo di scatto anch’io per fermarla, mettendo in agitazione Eric e il resto del servizio di sicurezza. Mentre Ardern va verso la porta, si volta e mi dice: “Ci vedremo la prossima volta che sarai qui e capiremo se sarò sulla cresta dell’onda o in disgrazia”. Almeno per ora, la prima ministra neozelandese sembra dormire sonni tranquilli.