internazionale 8.6.18
Jacinda Ardern
Successo inatteso
La
premier neozelandese è la più giovane leader di governo del mondo e tra
poco avrà il suo primo figlio. Sa ascoltare e interpretare i bisogni
dei cittadini, ma è anche una politica scaltra e pragmatica di Jamie
Smyth, Financial Times, Regno Unito
Capisco che la
prima ministra più giovane del mondo sta per arrivare quando un robusto
poliziotto in borghese appare sulla porta e comincia a perlustrare la
stanza. Ci sono solo sette o otto tavoli da Hillside Kitchen &
Cellar, un elegante e tranquillo ristorante di fronte alla residenza
ufficiale di Jacinda Ardern a Wellington, la capitale della Nuova
Zelanda. L’uomo non ci mette molto a notarmi seduto in un angolo. “Tutto
bene?”, mi chiede, presentandosi come Eric del corpo di protezione
diplomatica della Nuova Zelanda. Il servizio di sicurezza,
apparentemente alla mano, è in linea con l’immagine pubblica di Ardern
che nel 2017 ha conquistato i neozelandesi. La “jacindamania”,
alimentata sia dallo stile fresco e informale di questa laburista di 37
anni sia dalla sua difesa delle cause progressiste, è diventata
rapidamente un fenomeno globale. Insieme al presidente francese Emmanuel
Macron e al primo ministro canadese Justin Trudeau, Ardern ha un ruolo
di primo piano nella narrazione progressista che si oppone al nuovo
populismo di destra. La sua immagine di leader dall’atteggiamento
inconsueto e ottimistico si è rafforzata dopo l’annuncio, a gennaio,
della sua prima gravidanza. A giugno sarà la prima donna a partorire
mentre è alla guida di un governo dai tempi della leader pachistana
Benazir Bhutto, morta nel 2007.
Eric è soddisfatto e, poco dopo,
Ardern entra nel locale esibendo il suo caratteristico sorriso a 32
denti e il pancione ben visibile sotto la camicetta color rosso vivo. È
accompagnata da un uomo dall’aria sportiva vestito in modo informale.
“Spero che non sia un problema. Sono appena tornata da un evento la
notte scorsa a Wanaka, quindi ho portato con me il mio compagno Clarke”,
mi dice, indicandomi il suo “first gentleman”. Clarke Gayford è noto a
molti neozelandesi come conduttore di una popolare trasmissione tv
dedicata alla pesca, Fish of the day.
Confessioni intime
Ardern
fa sedere Gayford a un tavolo separato, dove lo raggiungono alcune
persone del gruppo di lavoro della prima ministra. Dopo essersi seduta,
Ardern parla degli sforzi che fa per condurre una vita normale
nonostante la pressione del suo incarico e la gravidanza. “Continuo a
fare la spesa e ad andare da Kmart per comprare i miei vestiti
prémaman”, mi dice, aggiungendo di sentirsi fortunata dal momento che
Gayford resterà a casa. “Posso fare quello che sto facendo solo perché
il mio compagno è in grado di occuparsi delle faccende domestiche a
tempo pieno”, dice. “Non voglio passare per una superdonna,
semplicemente perché non dovremmo aspettarci che le donne lo siano”.
Ardern pensa di prendersi sei settimane di congedo di maternità prima di
tornare al lavoro. È assalita dagli stessi dubbi e dalle stesse paure
di molti futuri genitori, nonostante sia una delle poche fortunate ad
aver avuto l’opportunità di discuterne con l’ex presidente statunitense
Barack Obama, che ha visitato la Nuova Zelanda a marzo. “Gli ho chiesto:
‘Come gestisci il senso di colpa?’. Penso di essere una persona che si
colpevolizza molto. Forse fare politica per me è la scelta peggiore”,
dice con tono disarmante. “Lui mi ha detto: ‘Devi fare del tuo meglio’”.
Delle confessioni così intime non sono comuni quando s’intervista un
primo ministro. Una delle ragioni del successo di Ardern è la sua
apparente normalità. Ma in alcune circostanze il suo candore le ha
giocato contro: quando un amico ha rivelato che il presidente degli
Stati Uniti Donald Trump l’aveva scambiata per la moglie di Trudeau in
un vertice in Asia, il malinteso ha suscitato un certo clamore sulla
stampa neozelandese. Proprio mentre sto per chiederle di
quest’incidente, arriva una cameriera e c’illustra il menù, un misto di
portate da brunch e altre da pranzo europeo, compresi crauti, salsicce
italiane e black pudding. Io ordino guanciale di manzo con sottaceti
accompagnato da formaggio halloumi, pane integrale e barbabietole
arrosto. Lei sceglie un’insalata di pomodori e barbabietole, e dei toast
a lievitazione naturale. Ardern insiste per farmi provare un bicchiere
di vino neozelandese, invece per sé ordina solo un tè alla menta.
“Dovrai bere al posto mio. Preferisco che almeno qualcuno se la goda un
po’”, dice ridendo. È stato un anno intenso. Eletta viceleader del
Partito laburista neozelandese nel marzo del 2017, ha assunto la carica
di leader sette settimane prima delle elezioni dello scorso settembre,
dopo le dimissioni improvvise del suo predecessore. Lei stessa era
scettica sulle sue possibilità: “Tutti sanno che ho appena accettato,
con poco preavviso, il peggior incarico possibile in politica”, ha detto
all’epoca. I laburisti, che non erano al potere da nove anni e che,
secondo i sondaggi, erano indietro di più di venti punti percentuali
rispetto al Partito nazionale al governo, si preparavano alla quarta
sconfitta consecutiva e a un’altra demoralizzante esperienza
all’opposizione. Ma poi è successo qualcosa d’inatteso. In un paese più
volte elogiato dalla banca Hsbc per la sua solidissima economia, una
campagna elettorale aggressivamente incentrata sulle diseguaglianze e
sull’aumento delle persone rimaste senza casa ha colpito nel segno e ha
colmato il divario tra i due partiti. Anche se nelle ultime fasi della
campagna elettorale il sostegno ai laburisti è calato, Ardern ha
comunque formato un governo di coalizione con il partito nazionalista e
populista New Zealand first e con i Verdi. Ardern si è resa conto che le
cose stavano cambiando quando i giornalisti hanno cominciato a
concentrarsi sulle persone senza fissa dimora che a Auckland erano
costrette a dormire nelle auto, alcuni con i loro bambini.
“L’uguaglianza fa parte del nostro dna”, spiega. “La gente ha avuto la
sensazione, credo, che ci stessimo allontanando da alcuni punti che,
indipendentemente dal colore politico, sono stati fondamentali per il
sistema di valori della Nuova Zelanda e per l’idea che avevamo di noi
stessi”. Ardern si è avvicinata alla sinistra da ragazza. Cresciuta
negli anni ottanta in una cittadina rurale della Nuova Zelanda, dove suo
padre era un agente di polizia e sua madre una dipendente della mensa
scolastica, ha visto molte famiglie faticare per arrivare alla fine del
mese durante quel turbolento periodo di riforme di libero mercato.
Un messaggio di speranza
Ai
tempi della scuola ha fondato una sede di Amnesty International, attiva
ancora oggi. La famiglia era di fede mormona, ma Ardern ha abbandonato
la chiesa poco dopo i vent’anni a causa delle sue posizioni
conservatrici sull’omosessualità. John Inger, il suo ex preside che ho
contattato il giorno prima d’incontrarla, mi ha detto che era una
studente fantastica, un’oratrice brillante e forse una persona troppo
gentile per occuparsi di politica. Eppure la capacità di Ardern di fare
leva sul disagio popolare per l’aumento del costo degli alloggi, per la
bassa crescita dei salari e per l’inadeguatezza delle infrastrutture
rilette anche le sue spiccate capacità politiche, affinate quando
lavorava nella squadra di Helen Clark, l’ex prima ministra laburista
eletta per tre volte tra il 1999 e il 2008. In seguito Ardern ha
lavorato per qualche tempo nell’ufficio di gabinetto del Regno Unito,
durante il governo di Tony Blair. “Ero lì quando Gordon Brown stava
prendendo il comando”, spiega. “È stato fantastico, ho imparato molto”.
Nonostante il suo stile intrigante e la capacità di entrare in sintonia
con la gente, Ardern è più un’addetta ai lavori che una ribelle: una
consumata professionista della politica, con poca esperienza in altri
settori. “Ho lavorato in un negozio di fish and chips la stessa quantità
di tempo che ho passato in parlamento”, dice riferendosi a un lavoro
che svolgeva da ragazza dopo la scuola. “Ho avuto delle esperienze
specifiche nella politica, ma non sono state le uniche cose che ho fatto
né quelle che mi hanno reso la persona che sono”. Quando cominciamo a
parlare della situazione politica internazionale, arriva il tè di
Ardern, accompagnato da un bicchiere di vino dall’aspetto torbido.
Accorgendosi della mia perplessità, la cameriera spiega che questa
particolare varietà di Canterbury viene fatta fermentare con le bucce
d’uva per varie settimane, per aumentarne il sapore e la consistenza. È
delizioso. “Credo che buona parte della popolazione si sia sentita
penalizzata dalla crisi finanziaria e da quella che percepisce come
globalizzazione”, spiega Ardern. “La mia sensazione è che le reazioni
della gente in alcuni referendum e in alcune elezioni esprimessero
preoccupazione per la mancanza di risposte a un crescente senso
d’insicurezza. Noi politici possiamo riempire questo vuoto con un
messaggio di speranza, oppure possiamo sfruttarlo con la paura e dando
la colpa ad altri”. Nella risposta di Ardern ci sono grandi impegni
verso l’elettorato: risolvere la crisi abitativa, portare centomila
bambini fuori dalla soglia di povertà e avviare la Nuova Zelanda verso
l’obiettivo di diventare un’economia a emissioni zero entro il 2050, per
citarne alcuni. Il suo governo ha esordito in maniera coraggiosa. Ad
aprile Ardern ha vietato ogni futura esplorazione petrolifera o di gas
in mare aperto, una rottura con le politiche del Partito nazionale, che
corteggiava le grandi aziende petrolifere. Ha aumentato il salario
minimo di 75 centesimi, facendolo salire a 16,50 dollari neozelandesi
all’ora, circa 10 euro. Inoltre ha cominciato a eliminare poco a poco le
tasse universitarie e ha approvato leggi contro l’acquisto di proprietà
immobiliari da parte degli stranieri. Ma Ardern ha mostrato anche un
atteggiamento pragmatico, aderendo al Partenariato transpacifico (Tpp),
un accordo commerciale che coinvolge undici paesi e che aveva criticato
quando era all’opposizione. Ardern, femminista, non è un’ammiratrice di
Trump ma è troppo diplomatica per dirlo, vista la stretta relazione
commerciale e militare tra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti. Le
ricordo che, prima di diventare prima ministra, si era unita alle
centinaia di manifestanti della marcia delle donne di Auckland,
organizzata il giorno dopo l’insediamento di Trump nel gennaio del 2017.
“Per me non è stata una marcia postelettorale, ma una manifestazione
per il futuro dei diritti delle donne in Nuova Zelanda”, dice Ardern. Ma
durante un vertice asiatico, quando Trump ha ironizzato sul fatto che
avesse “creato molti problemi nel paese” vincendo le elezioni, Ardern ha
subito replicato: “Nessuno ha protestato quando sono stata eletta”.
Ardern, che la rivista Vogue ha definito “anti-Trump”, sarà in grado di
costruire uno stretto legame con l’amministrazione statunitense? “Ma
certo, dobbiamo farlo”, dice. “In ogni relazione esistono motivi di
dissidio”. Ci fermiamo un attimo per osservare il tavolo vicino, dove
qualcuno si sta unendo alla squadra della prima ministra. Nel ristorante
alcuni avventori hanno lasciato i loro tavoli per guardare i quadri
degli artisti locali appesi alle pareti. Sono stupito del fatto che
nessuno sembra interessato alla premier che pranza. Almeno qui i
neozelandesi sono all’altezza della loro reputazione e rifuggono dal
culto della celebrità. Comincio a parlare delle crescenti preoccupazioni
per l’influenza del Partito comunista cinese sulla società e sulla
politica neozelandesi, emerse proprio mentre il governo cerca di
rafforzare i suoi accordi commerciali con Pechino. L’Australia renderà
più severe le sue leggi sullo spionaggio straniero, mentre finora la
Nuova Zelanda non ha preso decisioni chiare. “Stiamo considerando la
questione con attenzione”, spiega Ardern, che insiste su un punto: il
suo governo non ha paura di esporsi riguardo ai diritti umani, anche
quando la questione coinvolge il suo principale alleato commerciale,
cioè la Cina. John Key, l’ex primo ministro neozelandese, fu criticato
per non aver incontrato il Dalai Lama in visita nel paese nel 2009, pur
avendolo promesso in campagna elettorale. Ardern sostiene che in futuro
ogni incontro con il leader spirituale tibetano sarà valutato dal suo
governo caso per caso, suggerendo così che non vuole fare innervosire
Pechino.
Luna di miele
Proprio mentre sembra che la
pazienza di Ardern per questo genere di domande si stia esaurendo,
arrivano i nostri piatti. Il mio è presentato in maniera stupenda, con
un ricco assortimento di sottaceti. L’insalata della premier non è
abbondante, ma lei mi dice che è sufficiente. “Ieri ho mangiato molto.
Ho partecipato a una colazione, a un pranzo e a una cena ufficiali:
forse è il bambino che mi blocca lo stomaco, ma non ho fame”, dice. La
jacindamania era in piena espansione quando, ad aprile, Ardern è andata
in Europa per partecipare al vertice dei leader del Commonwealth a
Londra e a due incontri commerciali con Macron e con la cancelliera
tedesca Angela Merkel. Il viaggio, con un colpo da maestra dal punto di
vista dell’immagine, si è concluso con un incontro con la regina
Elisabetta II a Buckingham palace. Per l’occasione Ardern ha indossato
un mantello maori tradizionale. Tuttavia in Nuova Zelanda stanno
emergendo i primi segnali del fatto che la luna di miele politica di
Ardern sta per finire. Un progetto recente di aumento delle imposte
sulla benzina ha alimentato le polemiche. La premier è accusata di non
mantenere la promessa di non introdurre nuove tasse, mentre a marzo la
ministra delle telecomunicazioni, Clare Curran, è stata coinvolta in uno
scandalo che ha portato alle dimissioni di una dirigente di Radio New
Zealand (Rnz). Tutti i governi prima o poi incontrano problemi del
genere, ma Ardern dovrà gestirli con abilità, data la natura della
coalizione che guida. Winston Peters, il leader populista del partito
New Zealand first e vice primo ministro, è considerato dagli analisti
politici una mina vagante e non è un alleato naturale dei Verdi, il cui
sostegno è invece fondamentale per la tenuta della coalizione. Mentre la
cameriera si avvicina al nostro tavolo per portare via i piatti,
riferisco ad Ardern la mia conversazione con il suo ex preside. I
commenti sull’eccessiva gentilezza riecheggiavano i dubbi sollevati dopo
che la premier si è rifiutata di licenziare la ministra delle
telecomunicazioni.
Cosa pensa delle accuse secondo cui sarebbe
“troppo gentile” per prendere le decisioni spiacevoli richieste a una
persona che ricopre il suo ruolo?
Ardern scuote la testa: “La
ministra meritava di essere licenziata? No. A volte anche affrontare
certe situazioni – per esempio quelle in cui sarebbe ingiusto obbligare
qualcuno a dimettersi – richiede capacità di comando”, spiega. “Il mondo
della politica è duro e bisogna sapersi difendere”, continua. “Sì, è
vero che sono sensibile, ma questo significa anche che la mia bussola
politica è intatta, e il mio senso di empatia e di gentilezza continuano
a essere in prima linea”. Con queste parole si alza per cercare di
pagare il conto. Mi alzo di scatto anch’io per fermarla, mettendo in
agitazione Eric e il resto del servizio di sicurezza. Mentre Ardern va
verso la porta, si volta e mi dice: “Ci vedremo la prossima volta che
sarai qui e capiremo se sarò sulla cresta dell’onda o in disgrazia”.
Almeno per ora, la prima ministra neozelandese sembra dormire sonni
tranquilli.