Corriere18.6.18
Fenomenologia del leader leghista
Il buonismo era logoro Ma il cattivismo è meglio?
di Antonio Polito
Il
buonismo ha stufato gli italiani perché ha fallito, e Matteo Salvini è
stato tra i primi a capirlo. La maggioranza dei cittadini, compresi
molti che non l’hanno votato, gli riconosce l’energia e la decisione che
ha messo nel suo lavoro, e la capacità di dare la sveglia a un’Europa
dominata dagli egoismi. Ma il cattivismo è un disturbo bipolare della
politica, perché divide il mondo in amici e nemici, e inibisce la
capacità di includere, che è poi il fine ultimo della democrazia.
Non
può essere dunque la cifra del ministro dell’Interno: ruolo in cui di
solito ci si distacca dalla partigianeria politica per trasformarsi nel
garante istituzionale del più delicato dei beni comuni: la sicurezza.
Il
buonismo pretendeva di combattere il traffico degli esseri umani
lasciando passare gli esseri umani, che è un po’ come voler combattere
il contrabbando dando una mano ai contrabbandieri. Ma il cattivismo
trascura gli esseri umani, oppure lascia intendere che siano complici e
non vittime del traffico; e dunque li descrive in «crociera» nel
Mediterraneo, pronti a godersi la «pacchia» una volta sbarcati.
Il
buonismo ha detto per anni che gli arrivi dei clandestini erano
ineluttabili, e dunque dovevamo rassegnarci, e che alla lunga ci
avrebbero anche giovato, culturalmente ed economicamente; confondendo lo
choc culturale provocato dalle migrazioni con il cosmopolitismo o il
melting pot. Ma il cattivismo vuol farci credere che si tratti di
un’«invasione», forse organizzata dai terroristi islamici, da
contrastare dunque con mezzi militari come i blocchi navali, o meccanici
come le ruspe. Il cattivista agisce su una logica binaria, in cui c’è
solo casa loro, dove devono restare, e casa nostra, dove non devono
arrivare. In mezzo, il mare.
Il cattivismo, come tutti gli «ismi»,
è manicheo e daltonico: vede solo il bianco e il nero, e gli sfuggono
le cinquanta sfumature di grigio di cui è fatta la realtà. Non riesce a
vedere, sotto la superficie degli eventi, l’aspetto tragico della vita,
che spesso mette in conflitto tra di loro due innocenti, rendendoli
entrambi vittime. L’altro giorno Salvini è andato in ospedale a Genova a
trovare il poliziotto ferito da un giovane che stava dando in
escandescenze, e perciò doveva essere fermato per un trattamento
sanitario obbligatorio. Il ministro ha fatto bene. Un buonista non
l’avrebbe fatto perché un collega di quell’agente, per difenderlo, ha
sparato sei volte contro l’aggressore, uccidendolo. Ma un cattivista non
si limita alla solidarietà: ricorda alla madre del morto che «se suo
figlio non avesse accoltellato un uomo sarebbe ancora vivo». Come se non
fosse anche lui, quel ragazzo, la vittima di un atroce fato, dello
smarrimento della capacità di intendere che lo ha reso così debole da
aver bisogno, per l’appunto, dell’aiuto dello Stato. Sì, perché
garantire l’ordine pubblico non è sempre giocare a guardie e ladri. E
ben lo sanno gli agenti di polizia e i carabinieri che ogni giorno e
ogni notte, come in un ospedale da campo, soccorrono per le strade delle
nostre città malati, sconfitti e peccatori di ogni colore e
nazionalità.
Il buonista ha un’idea ingenua degli uomini: pensa
con Rousseau che nascano tutti buoni e che sia la società (e i politici)
a corromperli. Ma il cattivista è un pessimista di natura, crede come
Hobbes che nello stato di natura la vita degli esseri umani sia
destinata ad essere «solitaria, cattiva, brutale e breve», e che per
questo, per prevenire la guerra di tutti contro tutti, ci voglia un
moderno gigante, un Leviatano dotato di poteri assoluti, un Dio in Terra
che ci protegga (tra parentesi: come stiano insieme al governo Rousseau
e Hobbes, e soprattutto dove sia finito Locke, è un mistero glorioso).
Il
cattivista esce di casa la mattina armato di un nodoso bastone e va sui
social a cercare qualcuno con cui azzuffarsi (il
Cattivissimo-Me-in-Chief si chiama Trump). Ha anche inventato un
hashtag, #iostocon , che ognuno poi può completare seguendo la linea
tratteggiata: #iostoconledivise, #iostoconSalvini , #iostoconZuccaro ,
#iostoconMeloni . Uno slogan che propone di saltare il «dibbbattito»,
fatto di verifiche, chiari e scuri, controlli e dati, e di andare al
dunque, schierandosi a prescindere. Il che è l’opposto del dibattito
pubblico informato in una società liberale.
Il cattivista
incattivisce gli altri. Mentre il problema nelle società complesse è
cercare la coesione, conciliare interessi e aspirazioni diverse e
talvolta opposte, il cattivista produce altri cattivi. Talvolta sembrano
alleati, come il ministro degli Interni tedesco Seehofer che,
pensandola come Salvini, vorrebbe respingere in massa alle frontiere
della Germania gli immigrati passati per l’Italia. Talvolta sono veri e
propri nemici, buonisti cattivissimi, che danno a Salvini del razzista,
del fascista, o mettono addirittura in dubbio la sua appartenenza al
genere umano.
Nessuno può pensare di trasformare un cattivista in
un buonista, non sarebbe nemmeno utile. Ma estirpare il cattivismo dal
nostro dibattito pubblico, rimettere al centro la modestia del bene
comune, risuscitare quella misericordia cui abbiamo appena dedicato un
giubileo, è qualcosa che forse si può chiedere anche a un cattivista.
Soprattutto se ora fa il ministro di tutti noi, buoni compresi.