Corriere La Lettura 24.6.18
Origini Sapienza antica
Stephen Greenblatt, docente di letteratura, sottolinea la potenza dei miti
Shakespeare batte Bacone nel rispondere alle domande sulla natura dell’uomo
Sul piano conoscitivo la concezione ciclica degli autori classici è molto più valida rispetto all’idea del progrresso lineare
di Giulio Giorello
Nella
Bibbia Dio sembra convinto di aver fatto «cosa buona» creando il primo
uomo e la prima donna. Quando ho letto il libro di Stephen Greenblatt
Ascesa e caduta di Adamo ed Eva (Rizzoli) mi ha colpito il gesto di
ribellione di Adamo: «Odio Dio». Era quel che gli aveva messo in bocca
l’ex monaco agostiniano Lutero, peraltro così attento alla parola
biblica. Ma Greenblatt, riprendendo il titolo del celebre poema di John
Milton, concludeva che «il Paradiso terrestre non era affatto perduto,
piuttosto non era mai esistito». Dello straordinario Giardino dell’Eden,
almeno come è stato rappresentato da poeti e narratori soprattutto di
cultura inglese, Greenblatt, che insegna letteratura alla Harvard
University e che mercoledì 27 giugno sarà a Venezia, si è occupato a
lungo, arrivando alla tesi che la storia di Eva e di Adamo ha preteso di
spiegarci un «fatto» che forse non è mai avvenuto. Ho l’occasione di
discuterne proprio con lui, muovendo dalla differenza tra letteratura e
scienza, ovvero tra due modi talvolta contrapposti di decifrare e
interpretare la realtà.
In che cosa consiste davvero la diversità tra il letterato e lo scienziato? Letteratura e scienza sono destinate a combattersi?
«La
nave della letteratura ha le vele gonfie di un vento millenario. La
scienza, in confronto, è ancora adolescente. Quando William Shakespeare
attingeva alla sapienza secolare del mondo classico greco e latino,
Francesco Bacone era ancora incerto sulla via che avrebbe imboccato una
scienza che si proponeva il benessere dell’umanità».
Lei, dunque, non è certo tra coloro secondo cui Shakespeare faceva da prestanome al filosofo della natura…
«Non
mi riconosco per nulla in quella particolare concezione dell’autore
dell’Amleto, anche perché se Shakespeare si appoggia a una grande
tradizione, Bacone, nella sua Nuova Atlantide (come altrove), vuole
piuttosto inaugurarne una nuova. Ma gli inizi sono sempre difficili».
Del
resto, Bacone non guardava nemmeno con troppa simpatia a figure come
Giovanni Keplero e Galileo Galilei, colpevoli ai suoi occhi di perdersi
in eccessive sottigliezze matematiche...
«È davvero così. Galileo
aveva anche un suo particolare senso del teatro, come mostra la disputa
che mette in scena nel Dialogo sui massimi sistemi del mondo. Ma a mio
parere la letteratura, specie quando si tratta di indagare la natura
umana, con tutti i suoi misteri, dalla sofferenza all’amore, e di darci
qualche risposta alla domanda che non riusciamo a eludere, quella del
significato della vita, ci dà delle risposte più coinvolgenti. Penso
appunto al teatro shakespeariano, ma anche allo stesso Milton. E
Shakespeare mostra talvolta di non ignorare un grande dibattito che oggi
noi chiameremmo scientifico, il conflitto tra tolemaici e copernicani,
come ha mostrato bene Gilberto Sacerdoti nel bellissimo libro Nuovo
cielo, nuova terra (il Mulino, 1990)».
Quali sono, allora, le
relazioni che possono emergere tra il mito e la scienza? È ancora
legittimo pensare che l’uno tramonti quando l’altra sorge?
«Il
mito non va confuso con la favola o la leggenda: è una modalità di
conoscenza che si rivolge all’interno dell’animo umano, laddove la
scienza indaga l’esterno. Il mito, insomma, nell’accezione data da
Mircea Eliade, si può intendere come la fonte di ogni forma di
religiosità apparsa su questa Terra e, con la sua concezione ciclica e
ricorrente delle vicende umane si rivela forse ben più efficace di una
concezione troppo lineare della crescita della conoscenza».
Le magnifiche sorti e progressive su cui ironizzava Giacomo Leopardi…
«Dico
questo perché una delle cose che la vita mi ha insegnato è che non puoi
mai prevederla. Uno pensa che le cose stiano andando e debbano andare
in una direzione “razionale”, e all’improvviso tutto prende una piega
inaspettata: la direzione imprevista! Questo è per me contemporaneamente
fonte di disappunto e di piacere. Sono un professore di letteratura, e
quando, all’età di vent’anni, ero un combattivo e convinto marxista, mi
sentivo sicuro che le cose andassero secondo la Ragione, ma ora so che
non è così, e dunque avevo torto allora. Quindi so che è un bene che le
cose vadano come devono andare, anche se, talvolta, ciò può risultare
frustrante. Comunque, ci tengo a precisare che, per quanto possa
apprezzare il mondo dei miti, e la loro numinosa bellezza, quando mi
ammalo e ho bisogno di curarmi, mi rivolgo a un dottore e non a uno
sciamano. Se, a volte, posso essere scettico sui risultati della
scienza, non lo sono sui metodi. Del resto, vivo in un mondo che è pieno
di brillanti scienziati, persone che hanno saputo mettere bene a frutto
le conoscenze ereditate dai predecessori. Nella stessa biologia
evoluzionistica — che, come ho avuto modo di scrivere in un mio libro,
pretende di aver confutato la storia di Adamo ed Eva — non troviamo
delle risposte così articolate e soddisfacenti quanto quelle che ci
vengono offerte dalle grandi opere letterarie, se le sappiamo leggere
bene».
Su che cosa sta lavorando adesso?
«Uno dei problemi che mi affascinano di più è come sia nata e si sia faticosamente affermata l’idea di tolleranza in Occidente».
Sono
portato a credere che la tolleranza sia un concetto moderno. Non voglio
però sostenere che nelle società antiche proliferassero troppe forme di
intolleranza. Anzi, anche nel mondo pre-greco c’era almeno un
atteggiamento che considerava come «ospiti» coloro che avevano miti e
riti differenti.
«Mi viene in mente una testimonianza del mondo
classico, che racconta di tre dotti amici, due cristiani e un pagano,
che approfittano di un giorno di pausa nelle loro ordinarie occupazioni
per andare al mare e arrivano alla spiaggia di Ostia, dove il clima è
mite, il mare calmo e la spiaggia piena di fanciulli che giocano
spensierati. Qui si imbattono nella statua di un’antica divinità. Il
pagano le manda un bacio per onorarla, il che irrita uno dei cristiani,
che chiede all’altro se non sia il caso di intervenire per rimproverare
quel nostalgico degli Dei di un tempo. Essendoci rapporti di amicizia e
trattandosi comunque di un’anima confusa, non era forse loro dovere
riportarlo sulla retta via? Il pagano rimane sorpreso e turbato dalle
loro ammonizioni, e il fatto che quest’opera sia datata 190 o 192 d.C.
ne fa una delle testimonianze più antiche del genere. Questo è un segno
di come si spense quello spirito di accoglienza che abbracciava tutti
gli Dei, e di come cominciò a prendere forma un sentimento di angoscia
provocato da un unico Dio, che era per di più “geloso”».
Una
domanda su Lucrezio e il suo «De rerum natura», che è un singolare
connubio tra un’arte poetica raffinata e un atteggiamento scientifico
poi interpretato come profondamente secolarizzato. Lucrezio dispiega
sotto gli occhi stessi di noi moderni, in modo potente, un universo in
cui dominano atomi e vuoto. In me i suoi versi suscitano sempre
un’intensa emozione, e in lei?
«Certamente sì. Dal punto di vista
scientifico, ovviamente, le sue intuizioni hanno fatto il loro tempo.
Però, hanno reso un gran servizio al mondo. Ora che ci confrontiamo con
nozioni come quella di “materia oscura”, se la paragoniamo agli atomi
immaginati dalla tradizione che va da Leucippo e Democrito fino a
Epicuro e a Lucrezio stesso, il De rerum natura, per quanto brillante,
non può esserci di grande aiuto. Ma senza le idee metafisiche degli
antichi atomisti, Lucrezio incluso, non ci sarebbe stata la catena di
ripensamenti che ha portato alla fisica delle particelle cosiddette
elementari».