Corriere 8.7.18
Italia superata da Atene sui titoli di Stato E a maggio 38 miliardi sono usciti dal Paese
Il rendimento greco a 9 mesi ora è più basso
di Federico Fubini
Ieri
a fine giornata, il sorpasso al quale nessuno aveva pensato è avvenuto.
Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno
iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani. Il premio
richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono
ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di
un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di
Atene.
Almeno in questo, e almeno per ora, l’Italia è scivolata in
ultima posizione nell’area euro. Ieri sera i Bot a nove mesi rendevano
lo 0,79% annuo e i loro equivalenti ellenici lo 0,75%. È un sorpasso
impensabile anche solo fino a metà maggio, quando uscì il “contratto” di
governo M5S-Lega che prevedeva l’opzione di uscita dall’euro e
destabilizzò per la prima volta il mercato del debito italiano. Allora
il rendimento di quei titoli era negativo (meno 0,40%), considerato ben
oltre un punto più affidabile della Grecia.
Ieri sera questa
gerarchia era invertita, un evento dall’impatto psicologicamente potente
per chi cerca di valutare la credibilità del governo giallo-verde. Per
certi aspetti è tutto perfettamente logico nella meccanica dei mercati:
chi compra, cerca sempre degli ancoraggi e oggi per le scadenze più
ravvicinate quel riferimento è la Grecia; del resto Atene ha un futuro
prossimo meno incerto, perché è inquadrata in un programma europeo di
assistenza e i grandi partiti ellenici sono esplicitamente impegnati sul
futuro del Paese nell’euro e su uno stretto controllo dei conti.
In
Italia mancano entrambi questi elementi. Non può aver aiutato ieri
un’intervista a “Market News” del senatore della Lega Claudio Borghi per
reclamare interventi incondizionati della Banca centrale europea ad hoc
sui titoli di Stato per fermare l’instabilità; eppure Borghi appena due
settimane fa aveva detto che quei debiti del governo verso la stessa
Bce potevano essere tranquillamente cancellati. Né avrà aiutato che
Alberto Bagnai, altro senatore anti-euro della Lega e candidato
sottosegretario all’Economia, si sia detto pronto a bloccare le
aggregazioni fra Banche di credito cooperativo. Il mercato ha capito che
dovranno essere i contribuenti futuri a pagare, tramite il debito
pubblico, per salvare decine di quei piccoli istituti in dissesto.
Ma
la fiducia verso l’Italia oggi sembra destabilizzata in maniera più
complessiva, visti i segnali confusi mandati dal governo. Target2, il
sistema di pagamenti della zona euro, ieri ha rivelato che in maggio
sono usciti dal Paese 38 miliardi di euro. Lo stesso rendimento dei
titoli di Stato a 10 anni ormai paga uno spread “tedesco” di oltre cento
punti sul Portogallo, di 157 sulla Spagna ed è semmai più vicino —
benché inferiore — a quello greco. Ma è soprattutto il crollo dei prezzi
di bond a breve, che si muovo in senso opposto ai rendimenti, a
rivelare come i timori maggiori riguardino il futuro immediato.
Non
lo si direbbe dal silenzio che accompagna queste convulsioni. Ne parla
poco l’opposizione. Tacciono i tanti economisti italiani di solito
pronti ad accapigliarsi per questioni ben più futili: gli stessi che non
hanno speso una parola per il Quirinale, quando la Lega cercava di
imporre un anziano professore anti-euro come ministro dell’Economia.