Corriere 26.6.18
La sinistra senza voce
di Antonio Polito
La
caduta del muro di Siena e di Pisa, dopo 74 anni di incontrastata
egemonia della sinistra, segna la fine definitiva del voto di
appartenenza. Gli elettori sono sempre in libera uscita. Non esiste più
alcuna rendita di posizione. Neanche la più antica e nobile, che in
Toscana si era nel tempo quasi fusa con la storia dei Comuni medievali e
con le loro originali forme di autogoverno.
Proprio per questo il
voto di domenica ha un valore politico speciale, superiore a quello di
una consultazione locale. Hanno certo pesato i fattori indigeni e il
forte astensionismo. Ma il messaggio è forte e chiaro: vince il governo
anche in casa dell’opposizione. Questo doppio turno nei Comuni era
infatti il primo con il governo gialloverde in carica. Se si poteva dire
che in Molise e Friuli aveva contato l’effetto band wagon , la tendenza
a saltare sul carro del vincitore, stavolta invece gli elettori hanno
potuto valutare le prime e uniche mosse del governo, quelle sui
migranti. E le hanno giudicate bene. È infatti Salvini il traino
elettorale che ha portato il centrodestra a conquistare le ex roccaforti
rosse e a dilagare nel Centro-Nord.
Al punto che il voto del
prossimo anno a Firenze città e in Emilia-Romagna si presenta già come
un incubo epocale per la sinistra.
Ma Salvini traina, insieme al
«suo» centro-destra (o forse sarebbe ormai meglio dire destra-centro),
anche le sorti della maggioranza di governo. Le difficoltà dei
Cinquestelle, peraltro tradizionalmente deboli nel voto amministrativo,
vengono infatti compensate con gli interessi dal successo della Lega. E,
quel che più conta, quando si tratta di battere il Pd i due elettorati
possono incontrarsi nei ballottaggi, come è avvenuto a Imola e Avellino
dove il M5S ha prevalso. Il che conferma la buona salute di cui gode il
governo nel Paese.
D’altra parte che cosa aveva da offrire
l’opposizione agli elettori? Sia il Pd sia Forza Italia hanno
praticamente dato il via libera al governo giallo-verde, pur ritenendolo
pericoloso: il Pd tirandosi indietro da ogni trattativa con i
Cinquestelle, e Berlusconi autorizzando apertamente Salvini a procedere
senza rompere la coalizione. Ma mentre il Cavaliere può ancora contare
sul forno dell’alleanza con Lega a Fratelli d’Italia, e sui nuovi
candidati civici locali che ieri ha giustamente indicato come una delle
chiavi del buon risultato di un «centrodestra plurale», il Pd è
duramente sconfitto, tristemente solo e praticamente acefalo. Né la
disfatta del 4 dicembre al referendum né quella del 4 marzo alle
politiche hanno prodotto finora alcun ricambio di gruppi dirigenti o di
politiche. L’atteggiamento generale del partito resta di stizzita
recriminazione, quasi come se un destino cinico e baro avesse impedito
agli elettori di apprezzare i grandi risultati di cinque anni di
governo. Invece di provare a dare un senso al Pd si discute se
superarlo, se andare per l’ennesima volta «oltre», così accreditando il
giudizio di chi lo dà per morto. Mentre invece dove ancora esiste un
simulacro di classe dirigente, come in Lazio e in Puglia, i risultati
non autorizzano il funerale.
Se Renzi intendeva mettersi comodo a
guardare lo spettacolo del rapido tracollo dell’alleanza giallo-verde,
nella speranza che presto gli elettori si sarebbero pentiti dell’errore
commesso per tornare all’ovile, bisogna dire che per ora i pop corn li
stanno mangiando Salvini e Di Maio.
Naturalmente siamo appena agli
inizi. Il governo è in carica da soli 25 giorni e ha prodotto un solo
decreto legge. Tutta la parte economica e sociale del programma resta
appesa alle fragilità di un bilancio che il ministro del Tesoro sembra
voler proteggere da ogni assalto populista e che resta ogni giorno
esposto al giudizio dei mercati. La stessa determinata azione che ha
consentito a Salvini di rovesciare il tavolo europeo sui migranti e di
costringere gli altri paesi a fare i conti con il dramma italiano,
potrebbe trasformarsi in un boomerang se all’imminente vertice di
Bruxelles non si trovasse un accordo, mentre le acque italiane si
riempiono di navi cariche di esseri umani in cerca di approdo.
Ma
tutto questo si vedrà. L’esperienza dovrebbe avere ormai insegnato che
non basta che chi governa commetta errori, o dimostri di non essere in
grado di mantenere le sue promesse, perché l’opposizione se ne
avvantaggi. Ci deve essere un’alternativa credibile, in grado di
prendere in mano l’agenda politica, per smuovere l’elettorato e fargli
cambiare strada. Oggi questa alternativa non esiste, ed è lecito
dubitare che possa manifestarsi in un prevedibile futuro.
Basti
guardare a quello che è accaduto in questo turno elettorale a
Castellammare di Stabia, ex roccaforte rossa, un tempo detta la Stalingr
ado del Sud: il candidato sindaco del centrodestra era un ex segretario
del Pd, il candidato del centrosinistra era un ex di Forza Italia, e
l’unico iscritto al Pd della partita, vice-sindaco uscente, guidava una
coalizione di liste centriste. Al ballottaggio il partito, forse
ipnotizzato da questo kamasutra elettorale, ha invitato i suoi elettori a
votare scheda bianca. Ha vinto il centrodestra. Difficile trovare una
vicenda più simbolica dell’irrilevanza attuale della sinistra, sia
riformista sia radicale.