venerdì 18 maggio 2018

Repubblica 18.5.18
Nicola Gardini
“Il liceo classico? È il curriculum di chi sta alla City”
di Raffaella De Santis


Prima la provocazione di Condello sulla “ scuola per questi tempi” Poi la risposta di Bettini, sostenitore della sua funzione “antropologica” Ora Nicola Gardini: “È una nostra eccellenza, ma si può rendere più ludica”
Nicola Gardini guarda al dibattito italiano sul liceo classico dalla cattedra di Oxford dove insegna all’università letteratura del Rinascimento. «Credo che il liceo classico sia un patrimonio unico, importante quanto la Via Lattea o la deriva dei continenti», dice. Ma nell’ottica del professore approdato al mondo accademico anglosassone qualcosa è migliorabile: «Il liceo dovrebbe diventare più giocoso, più partecipato. Mettere gli studenti al centro, farli diventare protagonisti. In Inghilterra, dove il classico non esiste, i ragazzi forse conoscono meno cose, ma sono più attivi, più coinvolti nelle lezioni. Bisognerebbe stimolarli anche sfruttando internet». Parole accalorate che segnano il terzo tempo della querelle tra classicisti iniziata sulle pagine di Repubblica. Un dibattito che ha infiammato i social network e che ha messo sul campo idee diverse, mostrando che la questione del liceo classico è viva più che mai.
Ha iniziato due giorni fa il filologo Federico Condello, difendendo il classico dalle accuse di chi ne vorrebbe fare una scuola poco adatta ai tempi moderni: «Al contrario – ha detto Condello – è la scuola che lascia più liberi nelle scelte universitarie successive e che garantisce ottimi successi anche nelle materie scientifiche». Ma è sui metodi d’insegnamento, e soprattutto sull’amata e vituperata traduzione, che le posizioni divergono. Da una parte Condello, fedele all’idea della traduzione come viatico alla conoscenza dei testi, dall’altra la posizione di Maurizio Bettini, professore di filologia classica a Siena e a Berkeley, sostenitore di un approccio antropologico più ampio allo studio delle lingue classiche: «I ragazzi vivono immersi nella Rete, bisogna trovare nuovi modi per stimolarli».
Più volte evocato dai suoi colleghi, ora a parlare è Nicola Gardini, latinista e scrittore, con alle spalle una serie di fortunati saggi, l’ultimo dei quali è appena arrivato in libreria: Le 10 parole latine che raccontano il nostro
mondo (Garzanti), un affascinante viaggio intorno alla metamorfosi di alcuni lemmi dall’antichità a oggi, da “ars” a “rete”.
Come mai il liceo classico viene da molti percepito come scuola poco in linea con la società attuale?
«All’estero ce lo invidiano. Il liceo classico italiano è un unicum, una scuola che permette un corso di studi che fuori dai nostri confini viene decantato. Se vai alla City di Londra mostrando un curriculum che attesta quel tipo di preparazione classica hai una corsia preferenziale».
Ai suoi interlocutori non convince però la sua esaltazione del latino come lingua bella perché “inutile”.
«Condello mi ha dato del tardo ottocentesco, lo trovo disonesto.
Ho usato l’aggettivo chiaramente in senso antifrastico, per sostenere il contrario di quello che affermavo, per dire che non bisogna calcolare l’efficacia di uno studio sull’immediato ma in termini di conoscenza. E poi anche questa è una storia antica, già Aristotele distingueva tra saperi applicabili e puramente speculativi».
Che tipo di conoscenza si apprende frequentando il classico?
«Non vorrei sembrare un classicista chiuso nel suo bozzolo, ma credo che si tratti di un modello di studi che deve preservare la sua specificità, cioè la centralità dello studio linguistico e storico della letteratura antica».
Questo significa che non bisogna toccare niente?
«No, affatto. Andrebbe introdotto il gioco. La traduzione non dovrebbe più essere concepita come una verifica astratta ma come un’esplorazione del lessico antico. Un lavoro di gruppo, simile a un esercizio collettivo di esegesi biblica».
Ma in questo gruppo di studio, il professore che ruolo avrebbe?
«Quello di un regista che lascia ai ragazzi la scena, permettendogli di costruire percorsi personali e di sviluppare i propri talenti individuali. Il latino e il greco insegnati in questa maniera sarebbero più giocosi. Inoltre oggi ci sono strumenti elettronici che facilitano percorsi del genere».
Può fare degli esempi?
«Penso al sito della Latin Library o a quello della Perseus Digital Library, che facilitano lo studio sulle ricorrenze linguistiche. Si potrebbero coinvolgere i ragazzi spingendoli a indagare ad esempio come le parole siano usate in modi diversi dai vari autori. Seguendo i cambiamenti lessicali nella letteratura antica, gli studenti potrebbero così creare proprie costellazioni semantiche.
Sarebbe sicuramente un modo per ridare dinamicità agli studi classici».
E sul fatto che il liceo classico alleni la mente alle materie scientifiche?
«Non mi convince. Anche lo studio del cinese può predisporre a certe abilità logiche. Al di là di queste considerazioni, che mi lasciano perplesso, il liceo classico è un esperimento di istruzione unico al mondo, un patrimonio tutt’oggi vivo. È stata la nostra prima scuola nazionale, la scuola dell’Italia unita, sarebbe un peccato buttarla al macero».