giovedì 17 maggio 2018

Repubblica 17.5.18
L’astrofisico professore ordinario Fisica all’Università Fudan di Shanghai
“Qui i soldi ci sono e l’offerta di lavoro supera la domanda. Per chi è bravo è facile fare strada”
di Filippo Santelli


PECHINO «Qui in Cina l’offerta di cattedre e di fondi per la ricerca è superiore alla domanda, anche nelle università più importanti. Se uno è bravo non è un problema». Un maglione un po’ sformato, jeans e scarpe da ginnastica: Cosimo Bambi non ha l’abito del professore ordinario. Né l’età, visto che la sua cattedra in Fisica all’Università Fudan di Shanghai, una delle più importanti del Paese, l’ha avuta già cinque anni fa, quando ne aveva solo 33. «Un po’ è merito del programma con cui sono arrivato», racconta l’astrofisico toscano, oltre cento pubblicazioni sui buchi neri e la loro misteriosa energia. Bambi è uno dei “giovani talenti” stranieri che dal 2008 la Cina cerca di attirare con ponti d’oro, cervelli utili alla rincorsa del primato scientifico e tecnologico. «Un po’ è colpa della Rivoluzione culturale».
In che senso?
«Mao ha cancellato una generazione di professori tra i 45 e i 60 anni, quindi l’età media è decisamente più bassa che in Italia. Questo aiuta la meritocrazia».
Niente baroni insomma. Ma il livello della ricerca com’è?
«Nel mio campo la quantità è aumentata, ma il divario sul piano della qualità resta. Anche se i soldi sono tanti ci vuole tempo per formare una nuova generazione di cervelli, cinque anni, forse dieci».
Lei ha sperimentato ambienti accademici molto diversi: Italia, Germania, Giappone. Quale è la particolarità di quello cinese?
«Per me è ideale, perché molto focalizzato sulla ricerca. Insegno poco ma ho un gruppo di una ventina di studenti con cui portare avanti i miei progetti. Qui non si aspetta il dottorato per iniziare a fare ricerca, si inizia da subito».
Come sono gli studenti?
«Sono motivati, lavorano molto, la competizione è enorme, la pressione delle famiglie tremenda.
Smettono quando trovano un posto da professore. Gli europei e gli italiani però hanno più spirito critico, pensano di più. Qui a lezione non fanno domande, credono di non essere autorizzati. Con i miei studenti cerco di impostare un rapporto diverso».
Il regime controlla molto da vicino le università e indirizza la ricerca sui progetti chiave per la sua strategia di potenza. Si sente libero in Cina?
«Si sa che qui la politica è tutto. Ma io mi sento libero al 100% come lo sono stato ovunque. È vero che i miei studi non danno noia a nessuno, anzi possono essere utili al programma spaziale cinese che ha anche interessi militari. Sul satellite in cui sono coinvolto, però, il rilevatore chiave per i buchi neri è europeo, con un vettore cinese.
L’Agenzia spaziale europea non hai mai finanziato il progetto…».
Si dice che proprio nelle grandi università cinesi si nasconda una delle sacche di dissenso, per ora silenzioso, alla stretta autoritaria di Xi Jinping.
Ha questa impressione parlando con i colleghi?
«Non saprei, la politica non mi interessa. Forse se fossi un umanista sentirei una pressione diversa, ma io sono molto pratico.
Con Xi al potere l’ambiente accademico ha fatto passi avanti notevoli: quando sono arrivato la corruzione faceva paura, gli stipendi erano bassissimi perché i professori avevano altre fonti di entrata, borse di ricerca che sparivano. Ora le regole sono rigide, ma tutto funziona meglio. Credo la gente pensi: finché va così lasciamoli fare».
Quindi resterà in Cina? Di recente Kurt Wüthrich, 79 anni, è stato il primo premio Nobel (per la Chimica) a ricevere una residenza permanente.
«Mi ci è voluto un po’ per ambientarmi, ora vivo bene. Anche se a Shanghai preferisco il Sud: tropicale, verde, bellissimo.
Continuo a guardarmi attorno, ma restare è un’ipotesi che valuto. Fino al punto di cambiare passaporto però no: mi tengo quello italiano».