Repubblica 11.5.18
Intervista a Piercamillo Davigo
“Lotta ai corrotti Dieci tipi di reato frenano i processi ne basta uno solo”
di Liana Milella
ROMA
Se gli si chiede se è un magistrato “grillino” sbuffa e risponde: «Mi
pare di aver dato sufficienti prove di indipendenza da chiunque durante
la mia vita professionale». Rifiuta commenti sui colleghi, qualsiasi
accusa gli facciano. Alla domanda su cosa sarebbe il “populismo
giudiziario” risponde: «Io non lo so... provi a chiederlo a chi ne parla
....».
Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite, ex presidente
dell’Associazione nazionale magistrati, nel 2015 fondatore della
corrente della magistratura Autonomia e indipendenza, candidato alle
elezioni per i togati del Csm dell’8 e 9 luglio, ha un’ossessione,
suggerire riforme sulla giustizia per farla funzionare. Come quella di
ridurre «a uno solo i reati di corruzione invece della decina oggi
esistente». Ma se gli chiedessero di fare il Guardasigilli, a chiunque
direbbe «no».
Citando “Prendi i soldi e scappa” di Woody Allen,
lei sostiene che «alla lunga il delitto rende bene... è un buon lavoro».
Davvero gli italiani sono così? Non è una generalizzazione?
«Non
penso affatto che tutti gli italiani vivano così. C’è un dato
inoppugnabile, il nostro sistema penale è inefficace. Da lontano fa
paura, ma svolge solo la funzione dello spaventapasseri, in realtà è
innocuo. Con una pena fino a 4 anni non si va in galera. E per essere
puniti fino a 4 anni già si deve commettere un reato di una certa
gravità. Allora tanto vale dire che la repressione penale non serve.
Chiudiamo i tribunali. Ma dobbiamo chiederci perché negli altri Paesi le
stesse regole funzionano. Non mi pare di esporre tesi forcaiole, ma
solo di fare affermazioni di buon senso».
Nel suo ultimo libro - “In Italia violare la legge conviene.
VERO!”,
Laterza - c’è un’altra affermazione forte, «in Italia a rispettare le
leggi sono i fessi, a violarla i furbi». Non teme l’accusa di
qualunquismo?
«Ho scritto che in Italia esiste una subcultura
diffusa secondo cui a violare le leggi sono i furbi e a rispettarle i
fessi. Ma stiamo ai fatti. Il condono del 2009 grida vendetta, la
dichiarazione integrativa si fa sulla base di ciò che hai dichiarato,
più hai evaso meno paghi, un’assurdità. Per chi vuole violare la legge
ci sono mille occasioni per farla franca, per chi la rispetta un sacco
di guai. Esempi? Guardi il codice degli appalti, non fa né caldo né
freddo a chi fa le turbative d’asta, ma crea un sacco di problemi alle
persone oneste».
Il presidente dell’Anac Cantone non la pesa così.
«E allora perché lo hanno
rivisto?».
Lei
scrive che gli italiani non pagano né tasse, né debiti, lo fanno solo
dipendenti e pensionati. Quindi, pagando anche per quelli che evadono,
pagano tantissimo. Carcere contro gli evasori come in Usa?
«Il
carcere funziona solo se gli evasori sono pochi, ma se sono 12 milioni
come da noi è impossibile. Servono altri sistemi meno penetranti sulla
libertà personale. Come investigare il rapporto tra i beni disponibili e
il reddito dichiarato. Anziché perdere tempo a controllare gli
scontrini. Hai una villa al mare e una montagna e un reddito da
pezzente? Com’è possibile?
Allora ti controllo».
Corruzione. Da anni è un leit motiv legislativo. Vedi leggi Severino e Orlando. La destra è contro gli aumenti di pena.
M5S li chiede. Ma in carcere per corruzione ci stanno quattro gatti. E quindi?
«Aumentare
le pene massime è fumo negli occhi perché i giudici si attengono ai
minimi. Se vuoi fare davvero paura devi aumentare i minimi. Io cambierei
tutte le fattispecie dei reati di corruzione riconducendola a unità.
Ormai i processi si fanno per capire in quale casella inserire il
comportamento tra i dieci reati possibili. E si perde un sacco di tempo.
Invece esiste un reato militare, solo per la Gdf, che punisce il
finanziere che collude con i privati in danno della finanza.
Funzionerebbe benissimo per la pubblica amministrazione: se colludi con
un privato sei punito. La Consulta ha già detto che questo reato è
legittimo. E poi dicono che non sono garantista».
Beh, da sinistra i suoi colleghi la accusano di volere tutti i galera.
«So che lo dicono, però vedo che sono applauditi dal Foglio. Come mai? Si facciano delle domande.
Non
voglio tutti in galera, ma un sistema serio, mentre oggi non lo è.
Facciamo l’esempio della truffa? Negli Usa Madoff fa una catena di
Sant’Antonio e viene condannato a 155 anni che sta scontando. In Italia
sarebbe finito in prescrizione. Se la differenza è niente e 155 anni, i
truffatori dove devono andare a fare le truffe?».
I suoi detrattori dicono che l’idea degli agenti provocatori non è garantista.
«Sono
stufo. Lo ripeto una volta per tutte. La Convenzione di Merida impone
le operazioni sotto copertura, l’Italia l’ha firmata ma è inadempiente.
Chi mi accusa non sa di che parla.
Dovrebbero chiedersi perché la firma manca. Parlano di agenti provocatori anziché di operazioni sotto copertura.
Nelle
turbative d’asta perché non si può mandare in sede di gara un
poliziotto che si finge imprenditore e di fronte al reato arresta il
colpevole?».
Le accuse al Csm, mafioso addirittura, non sono qualunquiste?
«Alt...
io non ho mai usato quest’espressione, lo hanno fatto altri. Ho solo
detto che i criteri seguiti nelle nomine non sono più comprensibili.
Voglio solo regole più chiare, fatte rispettare e soprattutto
trasparenti».
Tipo i curricula pubblici? Il 50% dei suoi colleghi chiede la privacy.
«I cittadini hanno diritto di conoscere la carriera di chi vuole andare a dirigere un ufficio.
Almeno nella rete Intranet, consultabile solo dai magistrati, le schede di autorelazione ci devono stare».
Sparare così sul Csm non rischia di far saltare tutto?
«Pretendere il rispetto delle regole è forse un’aggressione?
Ma stiamo giocando? Io chiedo solo che il Csm rispetti le regole che esso stesso si è dato».