La Stampa 30.5.18
Di Maio e l’impeachment
“Abbiamo sbagliato tutto”
I 5 Stelle propongono Moavero Milanesi per affiancare Savona
di Ilario Lombardo
Alla
fine, prima di salutare tutti dal palco di Napoli, lo dice ed è come se
mandasse il suo messaggio di scuse a Sergio Mattarella: «Se abbiamo
fatto degli errori siamo anche disposti ad ammetterlo». Si è ritrovato
solo, Luigi Di Maio, aggrappato a una decisione istintiva che nessuno
condivideva. L’impeachment è rimasto un urlo di rabbia senza grande eco.
E a un certo punto il leader si è reso conto che l’unico disposto a
seguirlo, Alessandro Di Battista, stava per salire su un aereo per San
Francisco.
Così, in poche ore, quando tutto sembrava perduto,
matura l’impresa impossibile di riaprire la strada per il governo con la
Lega. Grazie anche alla mediazione del presidente della Camera Roberto
Fico (subito contrario all’impeachment)i riallacciano i contatti con il
Colle, proprio mentre Carlo Cottarelli sta salendo con in tasca la lista
dei ministri, e mentre i mercati martellano di angoscia l’Italia,
nonostante l’incarico a Mr Spending Review. Lo spread fa paura, i
fantasmi di un fallimento figlio dell’instabilità politica di un governo
tecnico, neutrale, sfiduciato da tutti i partiti, ristabiliscono la
necessità di una riflessione di emergenza. Tanto più se l’alternativo è
il voto a luglio.
Di Maio si chiude con i suoi collaboratori.
Incontra Salvini, ne parla con lui. E’ un tentativo disperato che si
poggia su un ragionamento che fanno ai vertici di M5S: «Come fa il Capo
dello Stato a sciogliere Camera e Senato se una maggioranza parlamentare
di fatto esiste, blindata attorno a un contratto di governo?». È la
frase che Di Maio consegnerà alla folla che lo attende a Napoli pronta a
incendiare le piazze al suo segnale. È la frase che ripeteranno tutti i
deputati: «Una maggioranza c’è, il governo del cambiamento è ancora
possibile».
Annulla tutti gli appuntamenti tv previsti per ieri e
per questa mattina. Laura Castelli va dal parrucchiere per prepararsi a
sostituirlo. Il passo è compiuto e viene formalizzato a Napoli dove Di
Maio frena l’agitazione dei fan accorsi in massa urlando contro
Mattarella: «Calmi, il presidente è mal consigliato. Possiamo ripartire.
Fateci ripartire!».
Come? Perché ancora resta il nodo Savona. Lo
affronta con Salvini che resta granitico: «Savona resta il mio ministro
dell’Economia». Lo staff dei 5 Stelle chiama l’economista. Un’ora di
telefonata. Lui assicura: «Non voglio uscire dall’euro. Voglio solo
un’Europa più politica e meno finanziaria». Promette che lo ribadirà, se
necessario.
Di Maio non si opporrebbe a un suo eventuale passo
indietro. Ma dovrà deciderlo l’economista assieme a Salvini. Se così non
fosse i 5 Stelle sono pronti a proporre una mediazione: affiancare
Savona con due ministri e due sottosegretari di peso. Un ministro, da
quanto si apprende, sarebbe Enzo Moavero Milanesi, che andrebbe agli
Affari europei come interlocutore privilegiato con Bruxelles. L’altro
sarà il ministro degli Esteri, Luca Giansanti (anche se torna a
circolare il nome di Massolo). Indirettamente, di rimbalzo dal Pd,
circola anche la voce di un ruolo per lo stesso Cottarelli.
Rimane
da capire chi farebbe il premier? Le telecamere del TgLa7 beccano il
prof Giuseppe Conte che si aggira fuori da Montecitorio, ma la Lega
adesso spera in un incarico per Salvini o Giancarlo Giorgetti.
Di
Maio ha capito di aver sbagliato nei tempi e nei modi quando ha letto la
lettera inviata da Beppe Grillo al Fatto. La messa in stato d’accusa
del presidente della Repubblica non convince nemmeno i deputati più
fedeli alla linea del leader e a metà pomeriggio è già chiaro che
l’impeachment è una pagina chiusa. Dopotutto, la lettera di Grillo viene
vissuta come una sculacciata dentro il M5S da chi legge il riferimento a
Di Maio in un passaggio: «Non siamo affetti dalla sindrome
dell’adolescente ribelle che spera che, alla fine, il padre gli dia
ragione».
Ma è anche lo scenario di un voto anticipato a luglio a
convincere il capo politico a un incredibile u-turn. Il volto dei
deputati 5 Stelle a Montecitorio è inespressivo, sconsolato. In meno di
due giorni i segnali che sconsigliano il ritorno alle urne si
moltiplicano. Per la prima volta il M5S è dato sotto il 30%, al 29,5%.
Ma soprattutto: la Lega è oltre il 27%. È un trend e vuol dire che il
M5S potrebbe calare ancora. Poi se si andasse a votare, Di Maio potrebbe
essere sì ancora il candidato premier, ma un candidato logorato, e
tallonato dal globetrotter Alessandro Di Battista, pronto a tornare per
l’incoronazione.