La Stampa 12.5.18
Limonov
Sono reazionario condanno il razzismo
di Paola Italiano
Condanna
il razzismo, denuncia il rischio del ritorno del fascismo, ma si sente
un precursore dei movimenti nazionalisti dell’Europa. Scrive tantissimo,
ma odia tutti gli scrittori. Un sorvegliato speciale in Russia, ma di
Putin dice che «conta molto meno di quanto creda l’Occidente, che per
lui ha una fissazione». Eduard Limonov è contraddittorio esattamente
come ci si può aspettare avendo in mente la biografia che ne ha scritto
Emmanuel Carrère, che Limonov ha letto solo per poche decine di pagine:
gli è grato per aver accresciuto la sua celebrità nel mondo, ma nulla
più. Non è arrivato al punto del libro nel quale Carrère ebbe seri dubbi
sul proprio lavoro e si bloccò per più di un anno: quello in cui vide
il dissidente russo, membro di una squadra di cecchini serbo bosniaci
nell’ex Jugoslavia degli anni 90, sparare con la mitragliatrice verso
Sarajevo sotto lo sguardo di Radovan Karadzic (che nel 2016 sarebbe
stato condannato dal Tribunale penale internazionale a 40 anni di
carcere per genocidio e altri crimini di guerra). Ma è inutile
chiedergli oggi conto di quelle scelte: Limonov dice che nella sua vita
«non ha alcun rimpianto».
Teppista, guerrigliero, intellettuale,
scrittore, poeta, attivista politico, martire dell’opposizione
democratica in Russia. Circondato dall’aura del profeta, del guru. Uomo
dalle mille vite, quella a New York negli anni Settanta, poi a Parigi
dove entrò nelle grazie dei circoli intellettuali che poi gli voltarono
le spalle, Eduard Veniaminovich Savenko alias Limonov si trova oggi
fuori del suo Paese per la prima volta dopo 23 anni: non era nemmeno
sicuro che gli avrebbero dato il visto per venire in Italia e al Salone
del Libro di Torino, dove presenta un’autobiografia, Zona industriale,
in cui racconta gli anni della sua vita dopo l’uscita dal carcere, nel
2003.
Allora aveva scontato due dei quattro anni a cui era stato
condannato per acquisto di armi: unica accusa che ha resistito rispetto a
quella di cospirare contro il governo. È stato il suo editore italiano,
Sandro Teti, a portarlo in Italia, ed è un po’ strano vedere il
fondatore (all’inizio degli anni Novanta) del partito
nazionalbolscevico, oggi fuorilegge, girare per una fiera come il
Salone. Capelli bianchi, occhiali, fisico asciutto, Limonov, che ha 75
anni, sembra davvero avere fatto un patto con il diavolo come il Faust
di Goethe a cui ha dedicato molte pagine di Zona industriale.
Com’è stata l’esperienza del carcere? Ne è uscito cambiato?
«Ho
vissuto molto bene in carcere perché ho provato subito una grande
empatia con tutte le persone recluse. Stavo bene. Ho scritto sette
libri. Non sono cambiato: avevo già sessant’anni, come facevo a
cambiare? La mia vita è stata molto intensa: ho scritto libri e
combattuto guerre».
Nel suo libro parla di Goethe, e del Faust. Quali altri scrittori sono per lei dei punti di riferimento?
«A
seconda del periodo della vita ho avuto diverse preferenze, ma in
generale non amo gli scrittori, non li sopporto proprio. Anzi, li odio».
Anche Carrère?
«Carrère è un’eccezione. Non è certo Goethe».
Cosa ne pensa dell’avanzata dei nazionalismi in Europa?
«Io
ho conosciuto Jean-Marie Le Pen e tutta quella che è l’ideologia di
destra già alla fine degli anni Ottanta. Quando ho costituito il mio
partito, all’inizio degli anni Novanta, eravamo dei precursori rispetto
ai nostri tempi perché avevamo superato la concezione di destra e
sinistra, mettendo insieme elementi che appartenevano all’una e
all’altra. Pensai subito che, pur tenendo presente le gravi lacune di
Jean-Marie Le Pen e gli aspetti negativi come il razzismo, quella
ideologia avrebbe riscosso consensi negli anni successivi e avrebbero
trovato un riscontro importante nella popolazione europea».
Oggi ci sono leader che ammira?
«No. Io ho la mia ideologia e non condivido e non ammiro nessun politico attuale».
Cosa pensa della situazione politica italiana?
«Che
anche l’Italia si muove verso posizioni nazionaliste e isolazioniste,
con derive razziste. E questa situazione potrebbe portare a rianimare le
ideologie che erano state liquidate dopo la Seconda guerra mondiale. I
primi che devono difendersi da questo rischio sono i Paesi che erano
alleati della Germania, come i Paesi Baltici, l’Ungheria, la Romania:
perché, nonostante quel che dice oggi la nuova storiografia, tutti erano
Stati fascisti, totalitari. E non è una questione dei governi, ma delle
popolazioni: l’arrivo oggi di un numero eccessivo e incontrollato di
immigrati fa rinascere sentimenti razzisti e negativi».
Una delle
cinque domande che il Salone del Libro ha posto a scrittori e
intellettuali è «perché mi serve un nemico»: chi sono oggi i nemici di
Limonov?
«Io ho molti nemici e io sono orgoglioso di avere molti
nemici. Li ho perché le mie idee irritano molte persone. Se danno
fastidio, vuol dire che sono efficaci».
E Putin?
«Voi in
Occidente siete fissati con Putin. È un presidente eletto dalla
stragrande maggioranza della popolazione, che a una parte della
popolazione non va bene. Ma non è l’unico che governa la Russia. In
realtà è un “frontman”: ci sono circa trenta gruppi che concorrono a
fare la politica russa, con interessi finanziari e non solo. Anche
rappresentanti dell’esercito e politici importanti, come la presidente
della Camera alta del Parlamento, Valentina Matvienko».
Nel mondo
si celebrano i duecento anni dalla nascita di Karl Marx. Crede che le
sue teorie oggi abbiano ancora qualcosa da dire oggi?
«Credo che
tutti i pensatori del XIX secolo, come Marx o come Nietzsche, abbiano
esaurito la loro spinta. Il Manifesto del partito comunista è stato
scritto nel 1848, siamo nel 2018: credo che le ideologie, come gli
uomini, invecchiano. Ne salvo solo uno: Malthus».
Perché?
«Perché
ha posto il problema della relazione tra l’uomo e il pianeta: Marx
aveva posto quello della relazione tra gruppi di persone, tra classi.
Malthus fu l’unico a intuire il rischio dell’esaurimento delle risorse».
Denuncia
le derive razziste, rischi di ritorno dei fascismi, parla della
questione ambientale: sembra quasi un intellettuale progressista.
«Io
sono un intellettuale reazionario, che viene da un Paese reazionario.
Siamo una forza bruta che anche in passato ha fatto fuori ideologie
negative come quelle di Hitler e di Napoleone. E siamo venuti in Europa
per salvarla già svariate volte».