Il Sole 20.5.18
Storie di confine
Gulag on the road
Viaggio nella regione più inospitale della Siberia lungo la strada costruita con il sangue dei deportati
di Antonio Armano
Tra
i proverbiali mille mestieri fatti da Jacek Hugo-Bader prima di
approdare alla scrittura c’è anche il pesatore di porci. Deve essere
quello che più l’ha formato perché i suoi libri sono pieni di sostanza.
Se i narratori del nouveau roman ci mettevano dieci pagine per
descrivere una graffetta, il giornalista polacco riesce a scovare
centinaia di storie senza concedersi di indugiare. Mai. Bisogna
ripartire, macinare incontri. E dire che Hugo-Bader è stato assunto
dalla Gazeta Wyborcza attraverso un annuncio e una prova che poteva
traviarlo: descrivere la stanza insignificante in cui lo stavano
ricevendo al giornale. In questa incredibile occasione sta la forza di
un giornalismo come quello polacco, povero di risorse economiche, ma
ricco di grandi cronisti letterari. Hugo-Bader è un Kapuscinski più
ruvido e ironico, ma non meno potente e profondo.
Roberto Keller
ha appena pubblicato I diari della Kolyma, viaggio in autostop da
Magadan a Jakutsk, lungo la strada costruita col sangue dei deportati
nella più inospitale regione siberiana. Una terra estrema dove d’estate
si superano i trenta gradi, ma si può scendere sottozero a luglio, come
quella volta che un gruppo di ragazzini è stato sepolto dalla neve
improvvisa nella foresta. La presenza di falde aurifere illumina il
libro di una mitologia alla Jack London tra le cupe vicende di gulag:
«Benvenuti nella Kolyma, il cuore d’oro della Russia» dice un cartello
all’aeroporto. Si scava per trovare il prezioso metallo, senza
risparmiare i cimiteri degli zek, i deportati, che non interessano più a
nessuno. Tre milioni sono le vittime delle repressioni. I villaggi
costruiti vicino a falde aurifere esaurite vengono abbandonati: prima
bruciano, poi congelano. Per dirla con Erofeev, che cosa non hanno visto
gli occhi del popolo russo?
L’immenso Varlam Šalamov è un
fantasma incombente e viene evocato anche alla fine: senza i suoi
Racconti della Kolyma, le sue memorie del gulag, non si saprebbe niente
di queste terre. Eppure in Russia l’hanno pubblicato solo dopo la morte,
avvenuta nel 1982 in un ospizio. La Russia è una regione della
letteratura, non sempre riconoscente ai suoi fondatori-autori. Oltre al
gulag e all’oro, un elemento ricorrente nelle storie di Hugo-Bader è
l’orso. C’è l’orso grande come un carrarmato che semina il terrore sui
monti Verchojansk e cade finalmente in trappola. I cacciatori, un padre e
due figli, si preparano un tè su un fuocherello, fumano una sigaretta.
Il padre si prende la responsabilità di sparare. Impugna il fucile,
prende la mira, ma colpisce il cavo che lega il cappio alla trappola.
Dei tre cacciatori se ne salva solo uno. L’orso vagherà col cappio di
acciaio al collo mietendo in tutto tredici vittime prima di essere
abbattuto.
Per raccontare I diari della Kolyma, un libro denso di
storie ai confini, non solo territoriali, dell’umanità, bisogna ignorare
appunti e sottolineature, affidarsi alla selezione naturale della
memoria. Le storie sono tante, troppe. Hugo-Bader ci poteva fare dieci
libri. Il momento peggiore per attraversare i fiumi siberiani è quando
non sono del tutto ghiacciati e trasportano lastroni che colpiscono le
barche facendo un rumore spaventoso. Ma anche quando ghiacciano può
accadere che si abbassino di colpo formando sacche d’aria. Le chiamano
pustolëd (ghiaccio vuoto) e se ci cammini sopra vieni risucchiato a
fondo. Due indigeni jukaghiri sono caduti in un pustolëd. Sono riusciti a
uscirne, ma una volta fuori non potevano far altro che attendere la
morte avendo perso l’equipaggiamento. Mentre un ingannevole tepore
annunciava la fine della lotta per resistere all’assideramento, hanno
sentito arrivare qualcuno. Avendo pregato promettendo di convertirsi al
cristianesimo se fossero sopravvissuti, i due si sono battezzati. In
chiesa hanno visto il ritratto dell’uomo che li aveva salvati. Era
proprio lui! Ma chi era? San Nicola di Mira. Leggende di sincretismi
siberiani.
Una delle parti più forti e belle del libro è
l’incontro con la figlia di Nikolaj Ežov, il “nano” braccio destro di
Stalin, negli anni del Terrore, l’amico-nemico di Isaak Babel’. Dopo la
caduta in disgrazia e la fucilazione del padre, Natalija è diventata
semplicemente «il bambino n. 144». Tutti la odiavano, si vendicavano
come potevano. Di umiliazione in delusione, il bambino n. 144 è
diventato donna, ma anche l’amore le era precluso e così se ne è andata
il più lontano possibile: sempre più a Est, finendo nella Kolyma su una
nave che portava il nome del padre. La maledizione è continuata fino
allo sbarco. Solo in mezzo al nulla puoi tornare a essere nessuno.
Semplicemente una fisarmonicista. Il viaggio di Hugo-Bader si conclude
in Jakuzia, terra di gente chiusa e impenetrabile, di sciamani. Credere,
non credere, ricredersi. Andrej, noto regista televisivo russo, si era
dedicato per anni a smascherare superstizioni e raggiri magici. Una
specie di Roberto Giacobbo al contrario. Stava preparando insieme alla
giovane moglie Marina un film su un grande sciamano. Marina è finita
inspiegabilmente con la macchina sui binari venendo travolta dal treno.
Andrej ora teme persino di parlarne. E anche noi la finiamo qui. Essere
superstiziosi è stupido, non esserlo porta male.
Jacek Hugo-Bader, I diari della Kolyma. Viaggio ai c onfini spettrali della Russia , Keller, Rovereto, pagg. 352, € 18