il manifesto 22.5.18
Con chi sta la sindaca di Roma
di Norma Rangeri
Forse
 l’Italia avrà un nuovo governo. Nuovo perché la forza più importante è 
il Movimento 5Stelle, che dopo anni di opposizione è riuscito a 
diventare il primo partito del paese, entrando quindi a buon diritto a 
palazzo Chigi. Nuovo perché rompe con la politica degli ultimi anni e 
c’è del nuovo anche nell’immagine anagrafica dei vincenti (come d’altra 
parte fu con Renzi). Il governo pentastellato si presenta dunque 
innovativo, e su diversi altri aspetti. Eppure è al tempo stesso 
vecchio. E malato. Sia culturalmente che politicamente.
Quando il 
governo sarà fatto e al nome del presidente del consiglio si 
aggiungeranno quelli dei ministri, torneremo sul giudizio generale. Oggi
 invece c’è da discutere di una questione decisa dalla maggioranza 
pentastellata del consiglio comunale di Roma. Potrebbe essere un pessimo
 esempio di quel che ci si deve aspettare dalle politiche sociali dei 
novatori del sistema. Stiamo parlando della Casa internazionale delle 
donne, di via della Lungara, sulla quale pende la scure del «debito» e 
dello sfratto per morosità.
Nonostante le rassicurazioni 
dell’ultim’ora della sindaca, che nega di voler procedere con le maniere
 forti, in verità, con linguaggio burocratese, attenta a non pronunciare
 mai la parola «femminismo», Raggi parla di un bando confermando la 
stessa politica usata in altre occasioni, con altri centri culturali 
sloggiati dalle storiche sedi.
Ovvero la Casa «non sarà esclusa», bontà sua, dai progetti del Comune sulle donne.
Sicuramente
 tanti conoscono la storia della Casa, rinata sulle ceneri del “mitico”,
 femminile e femminista, Governo Vecchio (oggi cadente letteralmente a 
pezzi). Da alcuni decenni la struttura di via della Lungara è diventata 
punto di riferimento per una serie di attività che difficilmente è 
possibile riscontrare altrove. Dall’aiuto assistenziale, al sostegno 
alle donne abbandonate e maltrattate, ai dibattiti, alla poderosa 
biblioteca, ai concerti, alla ristorazione, agli spettacoli, alle 
mostre… Al centro di tutto c’è sempre la donna, che non è l’altra metà 
del cielo ma dell’umanità.
L’esistenza della Casa non ha 
importanza unicamente per la vita quotidiana delle donne (non solo 
italiane, anche migranti), ma ha un grande valore simbolico oltre che 
storico.
Senza dubbio non è un luogo di affari, economicamente non
 è redditizio. Si può sfrattare una storia, una realtà solo perché non è
 in regola con l’affitto? Non si può. E riesce difficile comprendere 
perché un comune come Roma, capitale del paese, pur avendo a 
disposizione un vasto patrimonio immobiliare, non voglia farsi carico di
 un centro culturale che rappresenta una risorsa, senza alternative, per
 la collettività. Oltretutto mentre i pentastellati chiedono una 
ridiscussione del nostro debito pubblico, a Roma vestono i panni dei 
burocrati di Bruxelles.
La mobilitazione di ieri, di questi giorni
 a difesa della casa, fa leva su diversi aspetti politici, economici, 
sociali. Più uno: l’identità di genere della sindaca Raggi. Una donna – 
soprattutto se di potere – dovrebbe essere solidale con le altre. Per la
 sindaca sarebbe un gesto di grande e generale significato e darebbe un 
messaggio diverso rispetto a quello offerto dal governo in formazione, 
nel quale al momento figurerebbero come mosche bianche un paio di 
ministre. In tal caso avrebbe prevalso l’atteggiamento misogino alla 
Salvini su quello mite di Di Maio che, bisogna riconoscerglielo, ha 
portato in parlamento la più alta percentuale di deputate e senatrici 
(come numerose sono le assessore capitoline). Anche per questo la 
decisione del comune di Roma su via della Lungara non può essere ridotta
 a un affitto non pagato.
Cara sindaca Raggi, la Casa delle donne 
non è una questione di bilancio. E in nome della «trasparenza» e del 
«non guardare in faccia a nessuno», si corre il rischio di diventare 
ciechi.
 
