Il Fatto 18.5.18
I troppi ritardi della politica pagati dai più giovani
di Marina Mastropierro
Il
Rapporto Istat 2018 ci consegna la fotografia di un’Italia vecchia,
impoverita, immobile. Lavori sotto qualificati sempre più diffusi. Un
saldo demografico sempre più drammatico. E, soprattutto, una famiglia
sempre più funzionante da “agenzia di collocamento” per le giovani
generazioni. Quando si parla di giovani, nel dibattito pubblico
italiano, lo si fa quasi sempre con linguaggi e strumenti
paternalistici, emergenziali o strumentali. I giovani italiani sono
neet, choosy, bamboccioni. Insomma, “in ritardo”. Senza incanalare il
dibattito in una diatriba “giovani-vecchi”, che rischia di produrre
distorsioni, a giudicare anche dai dati appena pubblicati ci troviamo
dentro uno scenario caratterizzato da scarsissima mobilità sociale e un
forte livello di disuguaglianze intra e inter generazionali. Il tasso di
trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza in Italia, il
“coefficiente beta”, è pari al 50%. Questo significa che metà delle
differenze di reddito da lavoro che sussistono tra genitori vengono
trasmesse ai figli. L’economista Maurizio Franzini, a tale proposito,
aveva già parlato di “disuguaglianze inaccettabili”, per declinare il
fenomeno tutto italiano nel quale i maggiori sponsor economici e sociali
dei giovani sono le famiglie e il capitale sociale ed economico di cui
sono dotate. Guardando i dati Istat, è chiaro che questo scenario si sta
aggravando. La nascita è sempre più una grande lotteria sociale e la
politica ha abdicato al suo ruolo, cioè quello di ridurre il divario
esistente nelle condizioni socio-economiche di partenza tra ricchi e
poveri.
Oltre alla piramide demografica rovesciata, un altro dato
della condizione giovanile in Italia colpisce. Rispetto alla media
europea, infatti, i giovani italiani della fascia 25-34 che vivono con i
loro genitori sono quasi il doppio della media europea. Questo ha
concesso alla politica di parlare di “ritardo” delle giovani
generazioni. Ma ad essere in ritardo sono i giovani o le politiche
pubbliche? È tempo di analizzare le responsabilità che riguardano gli
orientamenti e le scelte di policies degli ultimi decenni. Politiche
abitative tra le più basse d’Europa: 0,1% del Pil, rispetto al 2,1 di
Germania, al 2,6 di Francia e al 5,2 di Regno Unito. Politiche del
lavoro inadeguate: dalla seconda metà degli anni Novanta, riforme
interamente mirate alla contrazione simultanea di stabilità di reddito,
contratto, diritti, tutele. Politiche pensionistiche inique: dalle baby
pensioni degli anni Settanta alle riforme del 1992 e del 1995, caricate
in larga misura sulle spalle delle giovani generazioni. La letteratura
americana parla di youthanasia, cioé distruzione fiscale ed economica
delle giovani generazioni compiuta nella maggior parte dei paesi a
economia avanzata. In Italia la tendenza è drammatica: le politiche
pubbliche hanno compiuto scelte in controtendenza rispetto al sostegno
all’autonomia delle giovani generazioni, concentrandosi sulla
conservazione degli interessi già consolidati. La politica non si è mai
occupata in termini strutturali di giovani generazioni, ma si è sempre
dotata di dispositivi emergenziali o imitativi del welfare di paesi
europei dove i sistemi di sicurezza e protezione sociale funzionano
(Garanzia Giovani ne è un esempio). È necessario che la politica torni a
riscoprire il suo ruolo di mediazione sociale, mirando a costruire le
condizioni affinché le aspirazioni di tutti i giovani possano trovare
concrete possibilità di realizzazione. Intervenire sui fattori che
riproducono le disuguaglianze tra e dentro le generazioni ponendo il
tema di quali politiche sono necessarie all’autonomia economica e
sociale dei giovani non è più rinviabile.