Corriere 30.5.18
Bartali oltre il mito, un vero eroe
Personaggi
Stefano Pivato rievoca in un saggio (Castelvecchi) la fede che ispirò al campione la grande generosità umana
Non è esatto che vincendo il Tour evitò la guerra civile ma il ciclista aiutò centinaia di ebrei
di Gian Antonio Stella
Il
terziario domenicano fra Tarcisio di Santa Teresa del Bambin Gesù, al
secolo Gino Bartali, rifiutava di salire sulla bicicletta la domenica
mattina, se non era prima andato alla Santa Messa. Tanto, ridevano gli
amici fiorentini, «l’era bono de dare una cenciata a tutti pur partendo
dopo». La storia della mitica vittoria al Tour de France del 1948, che
lo santificò come patrono della riconciliazione per aver miracolosamente
placato gli animi ribollenti dopo l’attentato a Palmiro Togliatti, deve
però essere riscritta. Almeno in parte.
Lo sostiene Stefano
Pivato, già rettore a Urbino e autore di libri come Il secolo del
rumore. Il paesaggio sonoro nel Novecento, I comunisti mangiano i
bambini. Storia di una leggenda o Al limite della docenza. Tornando a un
tema caro anni fa, cioè il ciclismo o meglio il «velocipedismo» degli
albori osteggiato dai cattolici (che ci vedevano «non solo uno strumento
eccessivamente moderno ma addirittura “una vera anarchia” assimilabile
all’ermafroditismo») lo storico spiega in Sia lodato Bartali
(Castelvecchi) che quel trionfo parigino merita sì di esser ricordato
tra le memorie politiche del Paese, però...
Per cominciare, basta
con la leggenda del Fausto comunista («Coppi accoppaci Bartali», si
leggeva sui muri) e del Gino baciapile. Che «fra Tarcisio» fosse
cattolico, intendiamoci, non si discute. Se tutti i campioni si
ritrovarono cuciti addosso soprannomi tipo «Diavolo rosso (Gerbi),
L’airone (Coppi), La locomotiva umana (Guerra), Il fornaio volante
(Bergamaschi), Il signore della Montagna (Binda), Il leone delle Fiandre
(Magni)», spiega Pivato, quelli bartaliani (eccezion fatta per
Ginettaccio) «fan tutti riferimento alla sua fede: Il pio, Il magnifico
atleta cristiano, L’arcangelo della montagna, L’arrampicatore
divino...».
Fotografato «a un polveroso quadrivio mentre
inghirlanda un Tabernacolo» spiega: «Ho pregato la Madonna di Lourdes
che mi facesse vincere ancora e mi ha esaudito». Lo stesso Pio XII lo
esalta: «Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell’Azione cattolica:
egli ha più volte guadagnato l’ambita “maglia”. Correte anche voi in
questo campionato ideale, in modo da conquistare una ben più nobile
palma».
Ma Fausto Coppi, prima di finire fra i «cattivi» per il
rapporto con la Dama bianca, era davvero comunista? Risponde «La voce
del parroco» di Coriano, Rimini: «Alcuni che pur volentieri
simpatizzerebbero per Bartali, sostengono però Coppi per il semplice
motivo che il Fiorentino, essendo dell’Azione cattolica, puzza un po’
troppo di prete e non sanno che, se puzza di prete Bartali, Coppi puzza
come Gino, se non di più, perché non solo è iscritto all’Azione
cattolica, ma è addirittura vicepresidente dell’Associazione Uomini di
Azione cattolica della sua parrocchia».
Di più ancora: alla
vigilia del 18 aprile 1948 ha firmato col rivale un appello promosso da
Luigi Gedda nel quale gli «uomini del pedale» ricordano «a tutti gli
amici il richiamo che il Santo Padre, nel giorno della Pasqua, ha
lanciato al popolo italiano: “La grande ora della coscienza cristiana è
suonata”». Macché, la devozione a «Gino il Pio» e gli estasiati racconti
dei giornali cattolici per «la saldezza dei suoi garretti, la
semplicità del suo sorriso, la schiettezza della sua fede», finiscono
per schiacciare Fausto dall’altra parte. Gino è bianco? Fausto dev’esser
rosso.
Eccoci al giorno fatale. Ricorderà il cantastorie Marino
Piazza ne L’attentato a Togliatti, ballata poi ripresa da Francesco De
Gregori e Giovanna Marini: «Le ore undici del quattordici luglio/ dalla
Camera usciva Togliatti,/ quattro colpi gli furono sparati/ da uno
studente vile e senza cuor». A sparare al segretario del Pci, che si
salverà grazie a un intervento chirurgico, è un giovane nazionalista
fanatico, Antonio Pallante. Allarme in tutto il Paese: «Hanno sparato a
Togliatti, è la rivoluzione».
In realtà, scrive Pivato, «né il 14
luglio e neppure nei giorni successivi ci sarebbe stata la rivoluzione».
Certo, scoppiano scontri sanguinosi e il bilancio sarà pesante: da 14 a
44 morti (e già l’abisso tra le cifre la dice lunga sui dubbi...) a
seconda delle stime. Ma, contrariamente a quanto teme chi pensa a un
complotto, «è fuor di dubbio» si tratti «di una rivolta spontanea, una
forma di jacquerie che coglie di sorpresa il Partito comunista ma anche
la Cgil che si adoperano per far rientrare quelle proteste». Fatto sta
che 48 ore dopo l’attentato al leader comunista «la situazione nel Paese
è tornata alla normalità. Il 16 luglio l’ordine è ripristinato».
E
la mitica vittoria al Tour? «L’impressione è quella di una memoria
costruita a posteriori attorno al ruolo taumaturgico di Bartali»,
risponde lo storico. Occhio alle date: «Il 14 luglio, il giorno in cui
Togliatti viene ferito, coincide con l’anniversario della presa della
Bastiglia e il Tour osserva un giorno di riposo. Il giorno successivo,
il 15 luglio, Bartali si aggiudica la Cannes-Briançon e Luison Bobet
conserva la maglia gialla che aveva vestito il 5 luglio. Il 16 Bartali
vince la Briançon-Aix-les-bains e indossa la maglia di leader che
porterà fino a Parigi, il 25 luglio». È a questo punto che «la stampa,
soprattutto quella cattolica, saluta Bartali come salvatore della
patria. Ma fra il giorno dell’attentato e la vittoria finale di Bartali
sono trascorsi undici giorni e le piazze sono pacificate da tempo».
Lo
riconoscerà lo stesso Montanelli: la vittoria di Bartali «funzionò da
calmante dei bollori, allentò la tensione, sviò l’attenzione» ma «la
rivoluzione non sarebbe scoppiata in nessun caso. Non scoppiò perché
Togliatti, lo sappiamo bene, non volle che scoppiasse». Eppure, alla
vigilia del settantesimo anniversario di quel trionfo parigino che
esaltò l’Italia intera, unendola intorno all’impresa, «Ginettaccio»
merita un ricordo ancor più riconoscente: «Fra il 1943 e il 1944 il
cardinale di Firenze, Elia Dalla Costa, allestisce una rete clandestina
per il salvataggio degli ebrei rifugiati o profughi. Bartali, incaricato
direttamente dal cardinale fiorentino, compie vari viaggi in bicicletta
dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi trasportando
documenti e fototessere nascoste nei tubi della bicicletta. Bartali
compie varie volte il percorso e, secondo le testimonianze, contribuisce
al salvataggio di circa 800 ebrei».
Sapeva di rischiare grosso:
nel 1939 Albert Richter, un ciclista tedesco campione del mondo tra i
dilettanti, era stato fermato dalla Gestapo mentre tentava di portare in
Svizzera, nascosti nei tubolari della bicicletta, migliaia di marchi
destinati a una famiglia ebraica. Ed era stato «suicidato». Altri si
sarebbero tirati indietro. Gino, che schedato dalla polizia mussoliniana
come «esponente dell’Azione giovanile cattolica e non del fascismo»,
no. Senza mai vantarsi, in un dopoguerra stracolmo di sedicenti
«antifascisti», di quei gesti eroici che lo avrebbero fatto riconoscere
come «Giusto tra le nazioni» dallo Yad Vashem, l’Ente per la Memoria
della Shoah. Restano di lui, oltre alle vittorie, una miriade di
aneddoti. Uno su tutti, ricordato da Gianni Mura. Presentazione di un
libro su Gianni Brera a Milano. C’è anche il vecchio Gino, sugli
ottanta: «Uno degli organizzatori aveva allertato un autista: verso
mezzanotte sarà stanco e vorrà andare a dormire. Esattamente alle 3:55
Bartali, dopo aver raccontato non so cosa a Fabio Capello, disse: “Oh,
ragazzi, qui o salta fuori un mazzo di carte o me ne vo a letto”».