martedì 1 maggio 2018

Corriere 1.5.18
«Sognavo di insegnare ma sono stato sconfitto da un sistema corrotto»
Lo scrittore Ferdinando Camon: è successo 40 anni fa
Un vecchio rancore mai mitigato, un sogno infranto che gli ha segnato la vita e che oggi riaffiora così: «Quella volta sono stato sconfitto dalla potenza della corruzione, della mafiosità dello Stato».
di Andrea Pasqualetto


Sollecitato su Facebook dal rimprovero di un lettore che lo accusava di aver smesso d’insegnare senza ragioni, Ferdinando Camon ha riposto il fioretto e ha deciso di usare la polvere da sparo. «Sognavo un incarico universitario, a un certo punto se ne presenta uno, faccio domanda, siamo in due ma l’altro ha già un altro incarico e a norma di legge deve finire in coda alla graduatoria. Infatti la facoltà mette me al primo posto e lui al secondo, ma dà l’incarico a lui senza alcuna spiegazione...».
Per lo scrittore padovano, 82enne, fu la fine di un sogno. Lo spiega in un post carico di rabbia, al punto che l’episodio sembrerebbe successo ieri e invece risale a 40 anni fa. «Volevo insegnare tutta la vita. Sono nato per questo. Ho insegnato in tutti i gradi di scuole, dalle medie alle magistrali ai geometri ai ragionieri all’università (il Dams di Bologna)». Gli mancava un salto di qualità, il passaggio da Bologna, dove teneva un corso di Letteratura di massa, a Padova, la sua città.
Camon entra nei dettagli e ne scrive al presente. Il Consiglio di facoltà che gli dà torto, il Senato accademico che gli dà ragione e lui che finisce a Roma, davanti a una funzionaria del ministero. «Lei tira fuori una fotocopia della delibera. Io ho la mia in mano, timbrata, e dico: “Ma scusi, la sua copia è falsa, ha una riga in più”. La signora controlla il suo verbale, lo confronta col mio, scatta in piedi e urla: “Fuori tutti!, c’è una cosa delicata”. Usciti tutti e svuotata la sala, dice a me: “Se ne vada, non ho niente da dirle”. Ha cacciato tutti perché non ci fossero testimoni, e ha rinchiuso la sua copia falsa nel cassetto».
Fin qui il racconto di Camon, che riporterà nei dettagli in un libro in uscita a gennaio per le edizioni Guanda, titolo provvisorio Scrivere è più di vivere. «A questa storia dedico un capitolo. Non farò nomi perché il mio interesse non è colpire qualcuno ma denunciare quel sistema. Allora c’era un fenomeno per cui un professore metteva in cattedra il marito della sorella e non succedeva niente». Nepotismo? «No, i baroni creavano un allievo che fosse continuatore della loro scuola, una comunità ideologica, politica, partitica, anche religiosa, democristiani contro comunisti». Dice di aver maturato allora una sfiducia totale nel mondo accademico e nelle istituzioni: «Credevo che un ministero fosse il cuore dello Stato...».
E all’università di Padova cosa dicono? «Io francamente non ne so nulla», taglia corto il rettore Rosario Rizzuto. Ricorda qualcosa invece Michele Cortellazzo, direttore della Scuola Galileiana, ultimo preside di Lettere: «Ho presente la polemica successiva che ci fu fra Camon, il commissario di un concorso e il preside di facoltà. Se lui torna sulla cosa dopo tanti anni significa che deve averla proprio a cuore». Ce l’ha nel cuore e nella memoria: «Il preside disse che assegnare la cattedra al fratello della moglie o compagna da parte di un commissario non è conflitto d’interessi ma una faccenda privata. Per me è invece un’attività mafiosa».