Corriere 19.5.18
La caducità «eroica» della rosa che unisce i sentimenti di ogni epoca
I versi di Petrarca, Tasso e Luzi, il ritratto con «discrezione» di de Chirico
Proust la collega al tempo perduto. E il letto di petali è un’icona del cinema
di Roberta Scorranese
Uno
dei cardini del pensiero di Ludwig Wittgenstein è racchiuso in una
frase del tutto corretta sul piano grammaticale, però priva di senso
logico: «una rosa non ha denti». Verso la metà degli anni Sessanta
questa espressione così spiazzante fulminò un (allora) giovane artista,
Bruce Nauman, oggi tra i maggiori esponenti di una poetica multiforme,
oscillante tra il concettuale e il pop. Nauman incise quella frase su
una targa di bronzo per poi applicarla a un tronco giovane, in modo che —
crescendo — fosse divorata da un lento, continuo divenire.
Perché
la rosa è così bella che va nascosta, più che esibita. La discrezione è
il suo vestito migliore, come intuì Giorgio de Chirico, nel suo
Autoritratto con rosa (1923): il fiore è in secondo piano e sovrastato
dalla figura elefantiaca dell’autore, il fiore è un ornamento un po’
appassito di un libro antico.
Già, una rosa non ha denti: non deve
spiegare il suo splendore così caduco. E a volte ci pensa una strana
alleanza tra scienza e destino. Si è scoperto che le Rose Bianche di Van
Gogh (oggi alla National Gallery di Washington) non erano bianche, ma
rosse e rosa. Si sono scolorite. Importa? No perché Van Gogh le aveva
già dipinte un poco sfatte, con petali cadenti. È la linea di confine
tra la pittura introspettiva e l’esplosione di mistica che ha
attraversato i secoli, da Botticelli fino alle Rose di Eliogabalo (1888)
di Lawrence Alma-Tadema. D’amore e di morte: il dipinto rappresenta la
storia dell’eccentrico imperatore romano che, durante una cena, volle
aprire un finto soffitto carico di petali di rosa sulla testa dei suoi
commensali. Centinaia di migliaia di piccole unghie tenerissime e
profumate che finirono per soffocare alcuni invitati, morti nel nome
della rosa, come nel giallo più famoso del mondo.
Ancora
l’ambiguità. Forse le rose vere sono quelle che non si vedono se non in
un’ombra di precarietà. «Vivete, date ascolto, diman non attendete:/
cogliete fin da oggi le rose della vita», scriveva il poeta
cinquecentesco Pierre de Ronsard — peraltro, oggi la rosa più bella
porta il suo nome. E il maggior poeta italiano del Novecento maturo,
Mario Luzi, rintracciò proprio nelle rose ronsardiane (con la sua vasta
opera di traduzione) una matrice petrarchesca che ha inoculato il
concetto di fragilità e caducità umana nella cultura europea.
In
fondo, «Ne l’età sua più bella et più fiorita,/ quando aver suol Amor in
noi più forza,/ lasciando in terra la terrena scorza,/ è l’aura mia
vital da me partita», recita il Canzoniere.
Ma attenzione: la
caducità qui non è l’effimero. È una vanitas che appassiona, è calore
crepuscolare da cogliere al pari di un atto eroico, un po’ come nei
versi della Gerusalemme Liberata: «Cogliam la rosa in sul mattino adorno
/ di questo dì, che tosto il seren perde; / cogliam d’amor la rosa;
amiamo or quando / esser si puote riamati amando». L’effimero è un’altra
cosa. È quello, alto, del Ciclo della Rosa di Gabriele d’Annunzio — che
amava così tanto il fiore da inventare un profumo ad hoc. È quello,
color rosso intenso, che punteggia il film di Sam Mendes «American
Beauty», dove la bellezza in fiore di Angela (Mena Suvari) si distende
su un letto di petali e quella cadente di Carolyn (Annette Bening) si
conforta con l’ossessione per le rose pulite, ben tagliate, sistemate
nei vasi giusti in un confortevole quanto tragico ordine sociale
borghese.
Rosso, appunto. La rosa non è più solo color rosa, però
lo è stata per secoli. «Ciò che noi chiamiamo rosa anche con un altro
nome avrebbe sempre il suo dolce profumo», diceva la Giulietta di
Shakespeare. E il «rosa Tiepolo», spina dorsale del libro di Roberto
Calasso, è di più: la tonalità prossima al ciliegio che il pittore
settecentesco utilizzava per creare le sue riconoscibili atmosfere,
sospese tra mondi onirici e mitologici. Questo color rosa sarà il...
filo rosso (scusate) che unirà diversi personaggi della Recherche
proustiana, finendo per diventare un canale della memoria di Swann. Un
colore è un colore è un colore.