sabato 19 maggio 2018

Corriere 19.5.18
Jani, l’orgoglio per la scuola trasmesso alla madre
Sette anni, maliana, accolta da una task force dell’alfabetizzazione
di Antonella De Gregorio


Jani, sette anni, è arrivata dal Mali a settembre. Lei e la giovane mamma hanno affrontato un viaggio difficile, dalle città di sabbia attraverso il deserto, poi il mare, e su, fino a Milano. Qui hanno trovato l’accoglienza di Casa Suraya, una delle strutture che ospita i migranti che hanno fatto richiesta di asilo. E la scuola: l’istituto comprensivo Riccardo Massa di via Quarenghi, periferia Nord-Ovest della città, avamposto di accoglienza e integrazione delle molte fragilità che possono convergere in una metropoli. «Era silenziosa, impaurita», dice la dirigente, Milena Piscozzo, che ricorda il primo incontro. «Al di là dell’impossibilità di capire quello che dicevamo, negli occhi neri e vivaci si intuiva il desiderio di iniziare una nuova avventura». Non è stato facile, non lo è mai. «Però tutto è incominciato con un sorriso, quando ha preso tra le mani, orgogliosa, il diario della scuola», racconta la dirigente.
Il papà e un fratello della bambina sono ancora lontani, in Libia. La mamma, analfabeta, «ha molto rispetto dell’istituzione scolastica, saluta gli insegnanti quasi con un inchino, ci tiene che la figlia impari e vuole che frequenti sempre». Anche se in Mali una ragazzina su due non accede ad alcuna forma di istruzione, il 66% abbandona gli studi prima del dovuto, una su cinque è costretta a sposarsi prima dei 15 anni.
«La piccola è sempre presente in classe e la madre segue come può, informandosi con il suo italiano stentato. Questo ha aiutato Jani a fare progressi. Per lei e altri bambini neo-arrivati, la scuola ha organizzato corsi di alfabetizzazione nei quali gli alunni si esercitano in brevi dialoghi, scenette, giochi di movimento e percorsi anche nel quartiere, per imparare “toccando” oggetti, persone, mestieri, luoghi». Coinvolgimento e interesse: così lei e gli altri stanno al passo.
Piccoli miracoli quotidiani, in una delle tante scuole di un Paese dove siedono tra i banchi 826mila alunni di 200 nazionalità diverse. E dove le sforbiciate alle spese hanno ferito il tessuto sottilissimo e delicato della formazione degli insegnanti e dell’orientamento dei ragazzi e delle famiglie. La Riccardo Massa lavora sull’inclusione a 360°: tra i piccoli utenti ci sono disabili, bambini con bisogni speciali, o provenienti da case famiglia. Uno su dieci non è nato in Italia. «Abbiamo avuto momenti in cui i numeri erano ben più alti. C’era un campo Rom vicino alla scuola; c’è una comunità per minori non accompagnati — racconta la dirigente, 44 anni, da quattro alla guida del plesso che conta 1.400 studenti divisi tra tre primarie e una secondaria di I grado —. Le geografie delle periferie cambiano, le esigenze anche. Grazie al numero per ora relativamente basso, abbiamo lavorato per strutturare un percorso che potrà essere utile anche in situazioni di maggior affollamento».
Orgogliosa dei risultati, «sempre molto buoni», alle prove Invalsi, Piscozzo riassume così la formula vincente: il buon clima che si respira tra le mura scolastiche. L’approccio personalizzato. L’attenzione «ossessiva» a che i bambini stiano bene. «Questo viene prima di tutto: solo in un secondo momento si passa all’alfabetizzazione», spiega. Conta, certo, il contesto di lavoro. «Qui c’è anche una scuola Montessori che ha creato un circolo virtuoso di metodologia attiva e cura delle relazioni. Oltre alla formazione specifica, i nostri insegnanti hanno competenze empatiche che maturano con i colleghi. A prescindere dalla cultura o dalla provenienza, se un bambino sta bene a scuola si impegna e lavora».