Repubblica 6.4.18
La crisi della sinistra
Il popolo si è dissolto nella massa 
di Alberto Asor Rosa
Recentemente
 è apparso un libro bellissimo, Popolocrazia, di Ilvo Diamanti e Marc 
Lazar, che mi augurerei fosse letto dal numero più ampio di italiani, e 
in modo particolare di politici italiani, per la natura precisa e 
circostanziata delle analisi. La mia opinione è che il termine- concetto
 “ populismo” sia inappropriato alla materia che pretenderebbe di 
descrivere: e che perciò, usato a sproposito (non è certo il caso di 
Diamanti e Lazar), possa produrre qualche equivoco. Perché “ 
inappropriato”? Perché il termine- concetto, da cui esso prende 
ovviamente origine, è a sua volta desueto e inappropriato alla materia 
da descrivere. In che senso? Nel senso che il “popolo” — non più in 
questo caso termine- concetto, ma realtà politico- sociale attivamente 
presente sul piano storico — sta uscendo di scena da diversi decenni. 
Dove accade questo? In tutte — io penso — le forme di democrazia 
rappresentativa esistenti e funzionanti nel mondo occidentale, ma 
soprattutto qui in Italia.
Il “popolo”, storicamente inteso, è un 
organismo estremamente complesso, fatto di classi, ceti sociali, 
orientamenti culturali e ideali, categorie professionali, ecc. spesso in
 lotta fra loro, ma al tempo stesso sempre, o quasi sempre, riunificati 
alla fine sotto il segno di un interesse comune (non a caso il concetto 
di “popolo” è storicamente connesso con quello di Nazione). È ciò di cui
 si trattava, quando io scrissi Scrittori e popolo nel 1965: in cui 
rampognavo il Pci di aver optato per la complessità e al tempo stesso 
unitarietà (nazionale) del popolo invece di rappresentare 
strategicamente la diversità antagonistica della classe operaia. Non 
negavo che ci fosse “ il popolo”, e neanche ne attaccavo la radice 
storico- sociale ( capirai, aveva fatto la Resistenza!): negavo che il “
 popolo”, proprio in ragione di quella complessità e di quella finale 
unitarietà, potesse diventare il protagonista di una lotta seriamente 
rivoluzionaria. Ora di quella complessità, e al tempo stesso di quella 
finale unitarietà, non esiste quasi più nulla. Sarebbe da studiare in 
che misura la crisi politica ha messo in crisi la sfera sociale; e in 
che misura la crisi sociale ha messo in crisi la sfera politica. È 
indubbio peraltro che l’uscita di scena dei due grandi partiti ( 
italiani, s’intende, in questo caso), il Pci e la Dc, abbia contribuito 
alla rapida disgregazione di quel sistema e all’altrettanto rapido e 
inesorabile affermarsi di questo.
Se non c’è più il “popolo”, cosa
 c’è? Io dico — l’ho già detto altrove — che c’è la “ massa”. La “ 
massa” è il vero protagonista dell’attuale momento storico nel mondo 
occidentale, ma con virulenza particolare in Italia. Il concetto di “ 
massa”, cui io penso e di cui mi servo, sta a significare quella realtà 
umano-sociale in cui caratteri e funzioni delle principali forme 
associative e identitarie sono sempre meno visibili e sempre meno 
rilevanti ( dai sindacati ai partiti): mentre prevale una 
caratterizzazione individuale in senso stretto, di singolo individuo 
accanto a singolo individuo. Però questi singoli individui tendono 
sempre di più ad assomigliarsi fra loro, diversamente dal passato, a 
riconoscersi e, appunto, a “far massa”. Non hanno altro modo, la società
 e la politica oggi non offrono altro modo per riconoscere che ci sono. 
Quello che si costituisce è perciò un agglomerato confuso e oscillante, 
peraltro non contraddittorio, o meno contraddittorio che in passato, al 
proprio interno; quindi, in un certo senso, particolarmente coeso e 
uniforme, che risponde soltanto a quei messaggi che corrispondono di più
 ai suoi fondamentali modi di essere, e che consistono essenzialmente in
 un atteggiamento di esaltazione e gratificazione dei suoi fondamentali 
modi di essere. Il sociale diventa ipso facto l’ideale. La proposta 
politica e ideale (se tale si può definire) consiste essenzialmente nel 
garantire alla “massa” che si costituiranno le condizioni (monetarie, 
economiche, sociali e istituzionali) perché le sia consentito di 
restare, sostanzialmente, quello che è ( la predicazione di Beppe Grillo
 e Matteo Salvini è da questo punto di vista anche retoricamente 
esemplare; il programma del Reddito di cittadinanza va risolutamente in 
questa direzione).
Esiste una vasta ed estremamente autorevole 
bibliografia di studi e interpretazioni della “massa”, quasi tutta però 
concentrata nella fase storica che va dagli inizi agli anni ‘30 del 
secolo scorso. Come mai? Ma perché in quella fase veniva maturando 
quell’estesa, profonda e drammatica crisi della democrazia 
rappresentativa che avrebbe portato in Italia e in Germania all’avvento 
del fascismo e del nazismo, movimenti come pochi altri di “ massa”. Non 
voglio tentare paragoni azzardati, anzi, non li penso neanche. Però non 
c’è dubbio che in ogni manifestazione di “massa” ci sia una componente 
mentale totalitaria: essere per sé quel che si è, e basta. Oggi infatti 
predominano — anche a livello di “massa”, sì, di “massa”, — il disprezzo
 sostanziale per la democrazia rappresentativa e il rifiuto, anzi, di 
più, l’ignoranza di qualsiasi elemento storico ( Resistenza, 
Costituzione, organizzazione visibile ed esplicita degli interessi, 
ecc.) abbia costituito finora la concreta manifestazione di un’identità 
italiana sopra le parti (non caso, insieme al termine-concetto di 
“popolo”, tramonta ancor più decisamente quello di Nazione).
Siamo
 di fronte, dunque, al compito sovrumano che consiste non nel combattere
 il “populismo” ma nel tentare di ricostituire e rimettere in piedi un “
 popolo”, sottraendolo alla dissoluzione nella “massa” (se sono la 
stessa cosa, tanto meglio). Affrontare questo compito tuttavia non si 
può, almeno dal nostro punto di vista, senza chiederci e chiarire perché
 la Sinistra in tutte le sue forme non ha impedito la retrocessione e 
l’inabissamento del “ popolo” nella “ massa”, anzi ha favorito il 
formarsi e l’emergere della “massa” come elemento costitutivo 
fondamentale del nostro (italiano) modo di pensare, progettare e fare 
politica. Cioè ha operato il proprio suicidio.
 
