giovedì 12 aprile 2018

Repubblica 12.4.18
Il sociologo De Masi
“Nell’era della gig economy siamo tutti un po’ sfruttatori”
di Cristina Nadotti


La sentenza di Torino non stupisce Domenico De Masi, sociologo al quale il Movimento 5Stelle ha commissionato una ricerca sul lavoro e autore di Il lavoro nel XXI secolo, in uscita a giugno per Einaudi.
Perché i lavoratori di Foodora hanno perso?
«Perché la gig economy ha reso tutto fluido, i rapporti tra datore di lavoro e dipendente non sono più chiari. È un processo iniziato subito dopo l’approvazione dello Statuto dei lavoratori con una revanche dei padroni e un dilagare del neoliberismo. Tutto aiutato soprattutto dalla sinistra che, non avendo idee sue, ha accolto quelle neoliberiste. Così alla lotta di classe si è sostituita la guerra dei ricchi contro i poveri».
Questa revanche del padronato è stata aiutata da consumatori che vogliono tutto subito, sempre e se possibile a costo zero?
«Il punto è proprio questo. La gig economy dà per scontato che esistano tre soggetti sociali: il datore di lavoro, il lavoratore e il consumatore. E che per ottenere dal lavoratore il massimo di sfruttamento occorra allearsi con il consumatore. Per fare questo, bisogna “educarlo”. Ci sono fattorini di Foodora che ordinano su Internet e non si chiedono chi farà turni massacranti perché un pacco gli arrivi in 24 ore. È stata l’azienda a “educarli” perché lo volessero subito. In questo modo, vittima e carnefice sono spesso la stessa persona. È una situazione nuova, che neppure Marx aveva intuito».
Come si spezza questo sfruttamento circolare?
«Senza sperare pietà da parte dei carnefici, ma lottando come vittime. Il problema è che, tra eguali, le persone cercano di risolvere i problemi in maniera individuale. Invece è fondamentale agire collettivamente, coalizzarsi in grandi movimenti e istituzioni.
Certo, unirsi è sempre più difficile perché una volta proletari e dominanti erano distinti e riconoscibili, oggi ognuno è in qualcosa dominante, in qualcos’altro dominato».
E come se ne esce?
«Con la cultura, è compito degli intellettuali contribuire alla presa di coscienza».