La Stampa 3.4.18
Raoul Peck: “Ormai non è più un tabù
Torniamo al nocciolo del suo pensiero”
Il regista del film sul giovane Karl, da giovedì nelle sale “In tempi di crisi è possibile riconoscerne il valore profetico”
di Fulvia Caprara
L’unico
modo per ritrovare l’essenza del pensiero di Karl Marx era coglierne
l’empito giovanile, la spinta emotiva che lo convinse, nel 1844, a
lasciare il suo Paese per raggiungere Parigi con la moglie Jenny e lì
immergersi nel clima effervescente che attraversava non solo la Francia,
ma l’intera Europa: «Fino a pochi anni fa», osserva il regista haitiano
Raoul Peck, «Marx era considerato un tabù, ma ultimamente, mentre le
crisi economiche hanno iniziato a susseguirsi, si sono risvegliati un
nuovo interesse e una nuova popolarità. Le più famose riviste del mondo
lo hanno messo in copertina, da Time a Newsweek, dal Financial Times al
Der Spiegel. A 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, credo sia
possibile ritornare alle origini, al nucleo centrale dell’opera
scientifica marxiana».
Così, tenendosi lontano dalla più classica e
scontata rappresentazione del personaggio - un anziano «eternamente
barbuto, come una statua di cera messa tra Angela Merkel e Marlene
Dietrich, al Madame Tussaud’s di Berlino» - Peck ha raccontato, nel film
Il giovane Karl Marx (giovedì nei cinema) un uomo brillante, pieno di
entusiasmo ed energia (August Diehl), innamorato della sua compagna
(Vicky Krieps), pronto a confrontarsi con il pensiero di Friederich
Engels (Stefan Konarske), erede di una grande fabbrica e studioso del
proletariato inglese, e con le idee di Pierre-Joseph Proudhon (Olivier
Gourmet). E poi la stesura del Manifesto, i moti rivoluzionari, le
difficoltà economiche, l’espulsione dalla Francia, i contrasti
ideologici, i dibattiti infiammati.
«Ho voluto girare un film e
non un documentario perché mi interessava che il pubblico, il più ampio
possibile, andasse a vedere questa storia e poi ne discutesse». Prima
delle riprese Peck si è a lungo documentato e poi ha cercato interpreti
che parlassero le tre lingue dei protagonisti - francese, tedesco e
inglese - e che riuscissero a rendere al meglio il loro lato umano e
l’atmosfera cosmopolita in cui si muovevano: «Ho letto le lettere che i
personaggi principali si scambiarono dal 1843 al 1850, e mi ha colpito
il modo diretto e appassionato con cui confrontavano le loro opinioni».
Candidato
l’anno scorso agli Oscar con I am not your negro dedicato alla figura
dello scrittore afroamericano James Baldwin, Raoul Peck ha frequentato
per quattro anni corsi sul Capitale durante i suoi studi all’Università
di Berlino: «In questo modo ho acquistato consapevolezza della vera
opera di Karl Marx, e non del suo dogma». Una visione che lo ha guidato
nella realizzazione del film: «Viviamo in un momento di grande
confusione. Anche se ci sembra di comunicare moltissimo, in realtà le
risposte e le analisi adeguate mancano, per questo è necessario andare
al nocciolo del pensiero marxista, coglierne il senso e riconoscerne il
valore profetico. La classe operaia di oggi è molto diversa da quella di
allora, ha vissuto un lungo periodo di prosperità, ma adesso sta
perdendo tutte le posizioni raggiunte, la gente non va a votare, i
politici non hanno risposte e il risultato è che il panico tende a
diffondersi».
In America, ma anche nel mondo, dice Raoul Peck,
«siamo in una fase particolarmente pericolosa, tutti continuano a
seguire ogni giorno i tweet di Trump, ma nessuno si accorge di quello
che sta accadendo in molte istituzioni, della progressiva distruzione di
libertà democratiche acquisite. Nei prossimi venti o trent’anni si
vedranno le conseguenze di tutto questo, su tanti fronti diversi, e
saranno molto gravi, perché toccheranno settori importanti, abbandonati a
sé stessi, come la medicina, l’alimentazione, la cura dell’ambiente».