Il Sole 27.4.18
La svolta di Panmunjom. Il presidente sudcoreano riferirà a Trump in vista del summit di giugno tra Washington e Pyongyang
Le due Coree riscrivono la storia
di Stefano Carrer
L’incontro tra Kim e Moon al 38° parallelo prepara il terreno alla normalizzazione
Alle
9.30 del mattino ora locale (le 2.30 della notte tra giovedì e venerdì
in Italia) segna la storia il passaggio a piedi da parte del leader
nordcoreano Kim Jong-un del confine con il Sud nel villaggio di
Panmunjon - dentro la zona smilitarizzata sotto le insegne del “Comando
delle Nazioni Unite” - per stringere la mano al presidente sudcoreano
Moon Jae-in. È una prima volta di grande importanza politica, visto che i
due precedenti summit intercoreani (nel 2000 e nel 2007) si erano
svolti a Pyongyang. Un’ora dopo, l’inizio dei colloqui finalizzati
questa volta non solo a ridurre le tensioni, ma a porre le prime basi di
un trattato di pace che sostituisca l’armistizio in vigore dal 1953.
La
Peace House, appena all’interno del territorio del Sud, è stata
rinnovata per ospitare l’incontro all’insegna di una simbologia di pace e
unificazione: dagli arredi fino al menù della cena ufficiale, con cibi
tipici ma anche un elvetico rösti(in omaggio al periodo trascorso in
Svizzera da Kim) e un dessert al mango su cui è riprodotta in blu una
cartina della penisola unificata. Compreso un puntino per indicare
l’isola di Dokdo, rivendicata dai giapponesi che la chiamano Takeshima,
tanto che Tokyo ha elevato una protesta.
Kim è accompagnato da
nove delegati. Per pranzo il suo ritorno temporaneo a Nord, anche perché
– è trapelato – non potrebbe andare in bagno al Sud per non lasciare
tracce analizzabili per scoprire segreti di stato riguardanti la sua
salute. Con Moon, altra prevista mossa simbolica è quella di piantare un
pino al confine, con terriccio misto delle due più alte montagne del
Nord e del Sud.
Il vertice con Trump
Per quanto la concreta
prospettiva di un vertice agli inizi di giugno tra Kim e il presidente
americano Donald Trump abbia relativamente smussato la portata clamorosa
di questo summit, è chiaro che si tratta di una giornata molto
importante per il futuro della penisola. Ed è già emerso che a maggio
Moon si recherà a Washington per riferirne a un Trump che, oltre ad
accogliere l’invito di Kim, ha altrettanto affrettatamente twittato che
il dittatore ha già «accettato la denuclearizzazione».
È vero che
rispetto ad alcuni mesi fa – quanto l’atmosfera era carica di tensioni e
minacce di guerra – il leader nordcoreano ha teso vari ramoscelli
d’ulivo: dalla partecipazione alle Olimpiadi invernali al recente
annuncio della sospensione dei test nucleari e di quelli missilistici
anche a medio raggio, accompagnata dalla progettata chiusura del sito
atomico di Punggye-ri; dalla caduta di vecchie pregiudiziali sulle
trattative allo stesso sorprendente invito per un summit a chi lo aveva
definito dalla Casa Bianca “Little Rocket Man”. Ma lo ha fatto
enfatizzando che la Corea del Nord ha raggiunto lo status di potenza
nucleare, per cui i test non sono più necessari.
La sua generica
disponibilità alla «denuclearizzazione della penisola» (riportata da
interlocutori del Sud), non può significare una rinuncia già sul tavolo
negoziale al suo deterrente atomico. Così, osserva Ralph Cossa del
Pacific Forum di Honolulu, il vertice nordcoreano sarà fondamentale come
test sulla sincerità della volontà di pace di Kim, che evidentemente è
motivato soprattutto dal desiderio di allentare le sanzioni
internazionali.
Quando la forma è sostanza
Si potranno
divinare le vere intenzioni di Kim anche dalle formalità: se si
rivolgerà o meno a Moon come presidente della Repubblica di Corea (di
solito il Nord chiama il vicino sud Corea, con la s minuscola) o se
accetterà di discutere fin d’ora la prospettiva di un trattato di pace e
di disarmo nucleare. Temi che finora il regime ha mostrato di non voler
trattare con il Sud ma, semmai, con Washington. Del resto, la Corea del
Sud non è firmataria dell’armistizio del 1953, in quanto l’uomo-forte
di allora, Syngman Rhee, voleva che la guerra continuasse.
Per
Cossa, il punto fondamentale è se Kim accetterà di trattare «la
sospensione in modo verificabile dell’intero programma missilistico e
nucleare, non solo dei test»: se rifiutasse, troverebbe conferma il
sospetto che abbia in mente mere tecniche negoziali per ottenere
vantaggi economici, senza concedere nulla di sostanziale, anzi magari
accelerando la produzione di missili e testate atomiche. «Io sono
scettico in proposito, ma spero di sbagliarmi», conclude Cossa. «Le armi
nucleari sono diventate non solo una assicurazione contro eventuali
attacchi americani, ma strumenti asserviti alla leadership carismatica
di Kim e, col tempo, parti integranti dell’identità nord-coreana -
afferma Giulio Pugliese, lecturer in War Studies al King’s College di
Londra – per questo l’idea di arrivare a un processo completo,
verificabile e irreversibile di denuclearizzazione del Nord appare di
difficilissima realizzazione».
La denuclearizzazione
Se il
leader nordcoreano porrà nero su bianco, magari in un comunicato
congiunto, un impegno verso la fatidica «denuclearizzazione», il summit
rappresenterà un significativo passo avanti, anche in vista del summit
con Trump. «Questo vertice dà motivo a grandi speranze per noi coreani –
afferma Ryoo Seung-wan, il regista reduce dai trionfi del kolossal
storico-patriottico “The Battleship Island”, presentato al Far East Film
Festival di Udine – la prossima volta, spero di venire a Udine in treno
direttamente dalla Corea». Del resto, vicino a Panmunjom, c’è la
stazione ferroviaria di confine di Dorasan, dove campeggia già una
grande mappa della linea diretta di collegamento via terra Corea-Europa.
Per il momento, però, ci sono solo i piani di enti e agenzie turistiche
per incrementare il numero di visitatori stranieri alla zona
smilitarizzata, sull’onda dell’impatto mediatico dell’incontro Moon-Kim.