martedì 3 aprile 2018

Il nuovo inizio è la vita
colloquio con Rosi Braidotti

«Quando si parla di postumano non si può parlare solo di ricerche neuronali, intelligenza artificiale, bioingegneria. Non c’è niente di nuovo su questo, solo un’accelerazione. Quello che dobbiamo fare è trovare una convergenza tra i saperi».
Raggiunta al telefono nel suo studio all’Università di Utrecht, dove insegna da anni, la filosofa italiana Rosi Braidotti prova a mettere ordine. A sottrarre il dibattito sul postumano ai singoli saperi, ai tecnologi e tecnocrati, per riconsegnarlo alla filosofia. O meglio al pensiero critico. Ha da poco pubblicato in inglese “The Posthuman Glossary”, scritto con Maria Hlavajova. Ma il suo lavoro principale è “Il Postumano”, uscito anche in Italia nel 2014 per DeriveApprodi. Professoressa Braidotti, siamo all’ennesimo “post”, ma questa volta sembra decisivo.
«Sì, e chiama in causa insieme lo sviluppo tecnologico e le realtà sociali. Si può pensare all’accelerazione tecnologica come a una rivoluzione, ma anche una tragedia sociale, all’antropocene come alla catastrofe ambientale senza ritorno... C’è un clima di ansia. Ma io resto ottimista, perché può far scattare la convergenza tra i saperi, un pensiero critico ma non nichilista». Il suo postumano parte dalla fine dell’antropocentrismo e dell’opposizione natura-cultura. Verso quale inizio?
«L’inizio è considerare la struttura vivente in sé vitale e contemporaneamente non naturalistica. Costruire un’etica non antropocentrica che consideri tutti i viventi, sperimentando le possibilità della scienza senza timori».
Non vede nelle istanze postumaniste e tecnoumaniste un prevalere di queste ultime ma nella forma di nuovi spazi di dominio?
«Sul postumano stanno lavorando le grandi compagnie della Silicon valley. Si deve ragionare su come il capitalismo cognitivo si è impossessato delle humanities. Si deve ricostruire un terreno comune per discutere su cosa sta accadendo. Il potenziamento umano è diventato centrale in queste discussioni e ciò che lo rende perverso è che lo presentano come l’ultimo capitolo dell’illuminismo. Io dico il contrario. La grande mutazione non avviene nel vuoto, ci sono le implicazioni sociali. Bisogna negoziare su che cosa siamo capaci di diventare. Riorganizzare i saperi, posizionarsi come cittadini, reinventarsi in un’emergenza epistemologica. Spinoza scrisse l’Etica per questo».