Il nuovo inizio è la vita
colloquio con Rosi Braidotti
«Quando
si parla di postumano non si può parlare solo di ricerche neuronali,
intelligenza artificiale, bioingegneria. Non c’è niente di nuovo su
questo, solo un’accelerazione. Quello che dobbiamo fare è trovare una
convergenza tra i saperi».
Raggiunta al telefono nel suo studio
all’Università di Utrecht, dove insegna da anni, la filosofa italiana
Rosi Braidotti prova a mettere ordine. A sottrarre il dibattito sul
postumano ai singoli saperi, ai tecnologi e tecnocrati, per
riconsegnarlo alla filosofia. O meglio al pensiero critico. Ha da poco
pubblicato in inglese “The Posthuman Glossary”, scritto con Maria
Hlavajova. Ma il suo lavoro principale è “Il Postumano”, uscito anche in
Italia nel 2014 per DeriveApprodi. Professoressa Braidotti, siamo
all’ennesimo “post”, ma questa volta sembra decisivo.
«Sì, e
chiama in causa insieme lo sviluppo tecnologico e le realtà sociali. Si
può pensare all’accelerazione tecnologica come a una rivoluzione, ma
anche una tragedia sociale, all’antropocene come alla catastrofe
ambientale senza ritorno... C’è un clima di ansia. Ma io resto
ottimista, perché può far scattare la convergenza tra i saperi, un
pensiero critico ma non nichilista». Il suo postumano parte dalla fine
dell’antropocentrismo e dell’opposizione natura-cultura. Verso quale
inizio?
«L’inizio è considerare la struttura vivente in sé vitale
e contemporaneamente non naturalistica. Costruire un’etica non
antropocentrica che consideri tutti i viventi, sperimentando le
possibilità della scienza senza timori».
Non vede nelle istanze postumaniste e tecnoumaniste un prevalere di queste ultime ma nella forma di nuovi spazi di dominio?
«Sul
postumano stanno lavorando le grandi compagnie della Silicon valley. Si
deve ragionare su come il capitalismo cognitivo si è impossessato delle
humanities. Si deve ricostruire un terreno comune per discutere su cosa
sta accadendo. Il potenziamento umano è diventato centrale in queste
discussioni e ciò che lo rende perverso è che lo presentano come
l’ultimo capitolo dell’illuminismo. Io dico il contrario. La grande
mutazione non avviene nel vuoto, ci sono le implicazioni sociali.
Bisogna negoziare su che cosa siamo capaci di diventare. Riorganizzare i
saperi, posizionarsi come cittadini, reinventarsi in un’emergenza
epistemologica. Spinoza scrisse l’Etica per questo».