il manifesto 14.4.18
Gaza, sangue sul Venerdì delle bandiere
Marcia
 del Ritorno. Almeno un palestinese è stato ucciso e quasi mille feriti,
 molti dei quali da proiettili, nel terzo venerdì di proteste contro il 
blocco israeliano della Striscia. Netanyahu e Lieberman si complimentano
 con esercito e tiratori scelti.
di Michele Giorgio 
GERUSALEMME
 «Vogliamo vivere come tutti gli altri nel mondo» si affannava a 
spiegare ieri ai giornalisti Omar Hamada, un muratore, «siamo venuti 
qui per farci vedere dal mondo. Con il ‘venerdì delle bandiere’ 
vogliamo dire che la vita a Gaza è miserabile». Mentre parlava gruppi 
di giovani dell’accampamento di al Safieh bruciavano e calpestavano 
bandiere israeliane e davano alle fiamme pneumatici, come il 6 aprile, 
sollevando grandi nuvole di fumo denso per coprire la visuale ai 
tiratori scelti israeliani. In un altro dei cinque accampamenti della 
“Marcia del Ritorno” cominciata a Gaza il 30 marzo, un manifestante è 
riuscito ad issare una grande bandiera con i colori della Palestina a 
25 metri di altezza proprio davanti alle linee di demarcazione con 
Israele. Decine di metri più dietro migliaia uomini, donne, bambini 
osservavano, sventolando bandiere, quanto stava accadendo a ridosso 
delle linee di demarcazione con Israele o erano impegnati nelle attività
 sociali previste nei tendoni. Nel campo Malaka i più anziani 
raccontavano e spiegavano la Nakba, la catastrofe palestinese del 1948,
 ai bambini esortandoli a non dimenticare i villaggi di origine delle 
loro famiglie. Ma i più piccoli per ore hanno anche giocato al calcio e
 assistito a corse di cavalli e cammelli. La Marcia del Ritorno è anche
 questo.
 Non per il governo Netanyahu e le forze armate 
isareliane che ieri hanno ripetuto che la “Marcia del Ritorno” non è 
resistenza pacifica e popolare ma una iniziativa orchestrata dal 
movimento islamista Hamas «per compiere attentati terrioristici». E i 
cecchini che nelle ultime settimane avevano ucciso oltre 30 palestinesi e
 ferito altre migliaia, ieri non hanno certo smesso di prendere di mira
 i palestinesi che si avvicinavano, correndo, alle barriere tra Gaza e 
Israele. Il bilancio di vittime fatto dal ministero della sanità fino a
 ieri sera parlava di un morto, Islam Herzallah, 28 anni, e quasi mille
 feriti. Molti sono stati intossicati dai gas lacrimogeni lanciati dai 
soldati ma tanti altri sono stati colpiti da munizioni vere o ricoperte
 di gomma. Negli ospedali alcuni sono giunti in condizioni critiche. 
Tra i feriti 16 paramedici e giornalisti. Le ambulanze hanno fatto la 
spola per ore tra la fascia orientale di Gaza e gli ospedali dove i 
medici hanno dovuto fare miracoli di fronte all’alto numero di feriti e
 cercare di salvare e stabilizzare i più gravi. A nulla è servito 
l’appello a cessare l’uso della forza lanciato a Israele da Magdalena 
Mughrabi di Amnesty International. «Nelle ultime due settimane il mondo
 ha guardato con orrore le forze israeliane – ha denunciato Mughrabi – 
mentre ricorrevano ad un uso eccessivo e letale della forza contro 
dimostranti, minorenni inclusi, che invocavano soltanto la fine della 
politica brutale di Israele verso Gaza». Il Segretario generale 
dell’Onu, Antonio Guterres, è tornato a chiedere una indagine 
indipendente sulle uccisioni dei palestinesi.
Il portavoce 
militare Jonathan Conricus ha descritto un quadro totalmente diverso 
del “Venerdì delle bandiere”. Ha riferito di lanci di bombe incendiarie
 e di un ordigno esplosivo, di tentativi di sfondare le barriere e di 
entrare nel territorio di Israele. Poi ha lanciato un avvertimento al 
mondo: «Non lasciatevi ingannare dalla cortina fumogena e dai civili. 
Le cosiddette dimostrazioni non sono null’altro che un altro tentativo 
di Hamas di terrorizzare Israele». Il premier Netanyahu, con un post su
 facebook, si è detto «fiero dei cittadini che sono giunti nel Sud di 
Israele per sostenere i nostri soldati. Questa è la risposta migliore a
 quanti vorrebbero denigrare i soldati che difendono il nostro Stato». 
Si è riferito agli israeliani hanno espresso sostegno ai soldati 
rispondendo al sit-in di qualche giorno fa della sinistra pacifista 
contro il tiro al piccione dei cecchini verso i manifestanti di Gaza. 
Anche il ministro della difesa, Avigdor Lieberman, si è congratulato 
con i militari. «Voglio ringraziare i nostri soldati e gli ufficiali – 
ha detto – per il loro lavoro da professionisti e per la loro moralità 
nella protezione del nostro confine». Lieberman ha dato sostegno alla 
proposta presentata l’11 aprile alla Knesset dal suo collega di partito
 (Yisrael Beitenu) Robert Ilatov che, se convertita in legge, punirà 
con la reclusione da cinque a dieci anni che accuseranno l’esercito 
israeliano di crimini di guerra attraverso la diffusione di video e 
altri materiali. Ilatov prende di mira in particolare le ong israeliane
 per i diritti umani B’Tselem, Machsom Watch e Breaking the Silence che
 definisce anti-israeliane e pro-palestinesi. Proprio ieri Breaking The
 Silence ha pubblicato la presa di posizione di cinque ex cecchini 
dell’esercito contro le uccisioni di palestinesi disarmati e che non 
rappresentavano alcun pericolo reale. 
 
