venerdì 13 aprile 2018

Corriere 13.4.18
Quei sette milioni di figli venuti al mondo con la fecondazione assistita
La fecondazione eterologa è una forma di procreazione medicalmente assistita che consiste in un programma di fecondazione in vitro utilizzando spermatozoi od ovociti donati, attraverso banche del seme, alla coppia interessata alla nascita. Si ricorre all’eterologa quando uno dei partner ha problemi di sterilità
di Elena Tebano


Sono trascorsi 40 anni da quando è nata la prima bambina concepita con la fecondazione assistita in vitro, Louise Brown, all’ospedale di Oldham, nel Regno Unito. Da quel 25 luglio 1978 si calcola siano 7 milioni i neonati venuti al mondo grazie a queste tecniche, diventate via via più complesse. E saranno sempre di più: secondo i dati presentati la settimana scorsa all’Ebart di Barcellona (uno dei principali congressi internazionali di medicina della riproduzione), continuano ad aumentare al ritmo di mezzo milione all’anno. In particolare in Europa, il continente dove più si ricorre alla fecondazione assistita: si è passati dai 100 mila cicli del 1995 ai 700 mila del 2014. L’Italia è l’ottavo Paese al mondo per numero di trattamenti (l’Istituto superiore di sanità registra 55 mila cicli di fecondazione in vitro iniziati nel 2015, l’ultimo per cui sono disponibili i dati, 10 mila gravidanze e 7.700 bambini nati nello stesso anno).
Una rivoluzione silenziosa che tocca uno degli aspetti più intimi e fondamentali della vita umana: come la diffusione della pillola ha separato la sessualità dalla riproduzione, le nuove tecniche di fecondazione assistita hanno separato la riproduzione dalla sessualità, ponendo interrogativi etici e morali senza precedenti, soprattutto quando si parla di fecondazione eterologa e maternità surrogata. Se da sempre infatti gli esseri umani sono disposti a fare di tutto pur di avere i figli che vogliono, oggi — come dimostra il caso del bimbo cinese nato da «genitori» morti 4 anni prima — è possibile realizzare l’impensabile. Basta entrare nei laboratori della clinica Eugin (uno dei maggiori gruppi privati che si occupano di fecondazione assistita in Europa) a Barcellona per rendersene conto: medici e tecnici in camice si aggirano sotto le luci soffuse per non correre rischi di danneggiare i gameti, tenendo in mano i vetrini che contengono i futuri figli di qualcun altro: embrioni fecondati in vitro, grazie agli spermatozoi o — più spesso — gli ovuli provenienti da donatori o donatrici.
Il diffondersi della riproduzione assistita dipende soprattutto dalla scelta (o dalla necessità) sempre più frequente di rimandare il momento in cui diventare genitori. Magari senza avere la consapevolezza di quali sono i limiti per la vita riproduttiva delle donne: «Dai 33-34 anni la quantità e la qualità degli ovociti peggiora molto — spiega Mario Mignini Renzini, responsabile dell’unità Ginecologia degli Istituti clinici Zucchi di Monza —. A 43 anni 95 donne su 100 non riescono ad avere figli neppure con la fecondazione assistita se usano i loro ovuli». Spesso gli aspiranti genitori lo scoprono solo quando tentano invano di avere un bambino. Persino i medici sono poco informati: secondo uno studio dell’Università di Torino la metà dei ginecologi italiani ritiene che il limite della fertilità per le donne sia tra i 44 e i 50 anni.
«Sempre più spesso, dopo aver tentato inutilmente la fecondazione assistita — spiega Antonio La Marca, Coordinatore clinico Eugin a Modena — gli aspiranti genitori scelgono la strada dell’eterologa, la fecondazione in vitro in cui l’ovulo o lo spermatozoo è donato da una terza persona». In Italia è legale dal 2014 per le coppie eterosessuali (tra le condizioni c’è che sia il futuro padre che la futura madre siano ancora in vita). Nel 2015 ne sono stati fatti 2.800 cicli, e sono nati così 601 bambini, mentre sono stati comprati all’estero — una pratica denunciata dalla Chiesa cattolica e da una parte del movimento femminista come sfruttamento commerciale — oltre tremila contenitori di ovociti e duemila di spermatozoi, soprattutto da Repubblica Ceca, Scandinavia, Grecia, Spagna e Svizzera. Rimane illegale la maternità surrogata, anche se si stima che circa 200 coppie italiane all’anno la facciano all’estero.