Repubblica Robinson 25.3.18
Lo psicoanalista dal volto umano
Un
nuovo manuale, che il suo autore qui ci presenta, già definito
all’uscita negli Usa “il più sofisticato sistema diagnostico attualmente
disponibile”. Una dettagliatissima mappa della mente: per una terapia
dove, finalmente, la parola d’ordine è “sensibilità”. Così la disciplina
del dottor Freud ritrova, un secolo dopo, l’ispirazione originaria:
aggiornata e corretta ai tempi nostri. Quale migliore occasione per
scoprire cosa resta davvero del suo sogno?
Umberto Galimberti, Gohar Homayounpour, Vittorio Lingiardi, Stefano Massini, Lorena Preta, Massimo Recalcati
di Vittorio Lingiardi
Leggere la psiche (in 1200 pagine!)
Il
“ Manuale Diagnostico Psicodinamico” ( PDM- 2) è in corso di traduzione
in tutto il mondo. In Italia esce per Raffaello Cortina ( 1200 pagine,
89 euro). Curatori e responsabili scientifici sono Vittorio Lingiardi e
Nancy McWilliams. Il comitato scientifico è composto da trentasette
esperti internazionali. Strutturato per fasce d’età e organizzato in
sedici capitoli e sei sezioni. Tre sono gli assi diagnostici:
personalità, capacità mentali, sintomi ed esperienza soggettiva a cui se
ne aggiungono altri due per i bambini da zero a tre anni. È patrocinato
da dieci organizzazioni scientifiche e professionali internazionali,
tra cui la Division of Psychoanalysis dell’American Psychological
Association, l’International Psychoanalytical Association,
l’International Association of Relational Psychoanalysis and
Psychotherapy e l’International Society of Adolescent Psychiatry and
Psychology
Se quello della diagnosi psicodinamica è un
lungo viaggio, mi piace immaginare che sia partito nel 1915 da questa
frase di Freud: “ Noi non vogliamo semplicemente descrivere e
classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze
che si svolge nella psiche”. Sono orgoglioso di pensare al Manuale
Diagnostico Psicodinamico (PDM) come una tappa importante di questo
viaggio. Con Nancy McWilliams ne ho curato la nuova edizione, il PDM- 2,
uscita l’anno scorso negli Stati Uniti e da pochi giorni disponibile in
traduzione italiana. Otto Kernberg, decano internazionale della
diagnosi psicoanalitica, lo ha definito “il più sofisticato sistema
diagnostico attualmente disponibile”. Si tratta del primo tentativo
sistematico di fondare la diagnosi su teorie e modelli clinici
psicodinamici, cioè finalizzati a comprendere e, dove possibile,
spiegare, proprio quel “gioco di forze che si svolge nella psiche”.
Certamente consapevoli che oggi questo tentativo può avvenire solo in
dialogo con altre discipline, in primis la psicopatologia evolutiva, la
psicologia cognitiva, le neuroscienze e la teoria dell’attaccamento.
Non
tutti gli psicoanalisti e gli psichiatri sono propensi a riconoscere i
vantaggi delle diagnosi. C’è chi ha affermato, proprio in occasione
dell’uscita di questo manuale, che ogni categorizzazione diagnostica è
una forma di “ oggettivazione autoritaria”, un modo di “inaridire”
l’esperienza umana. Dal nostro punto di vista, invece, ricondurre
un’esperienza umana a una dimensione clinica a sua volta riconducibile
anche a una diagnosi non significa inaridirla. Significa studiarla,
comprenderla, confrontarla. Sappiamo che limiti e semplificazioni sono
intrinseci a ogni sistema di classificazione. Proprio per questo
sosteniamo che per il clinico la diagnosi deve rappresentare, direbbe
Karl Jaspers, un tormento, una tensione votata a conciliare l’assoluta
singolarità di quel paziente con la possibilità di ricondurlo a un
quadro più generale.
Costruendo il Manuale Diagnostico
Psicodinamico abbiamo insomma cercato di mantenere una visione
binoculare, capace di tenere insieme l’etichetta diagnostica e la
formulazione narrativa del caso, la categoria generale e l’elemento
distintivo. Se il più diffuso Manuale diagnostico dei disturbi mentali (
DSM)) può essere definito una “tassonomia di malattie”, il PDM è
piuttosto una “tassonomia di individui”: in altre parole si prefigge di
fornire al clinico informazioni per capire che cosa una persona è e non
solo che cosa una persona ha. Anche nei disturbi psichiatrici a forte
componente biologica vi sono fattori psicologici e ambientali che
influenzano l’esordio, il decorso, la suscettibilità alla terapia. Due
persone con lo stesso disturbo ( che sia una patologia ansiosa, un
disturbo dell’alimentazione o della personalità) avranno storie e
potenzialità diverse, e risponderanno alla cura in modi diversi. La
valutazione psicodinamica serve proprio a immergere nella varietà umana
il rigore dell’etichetta diagnostica. Quando dico che il signor A. ha
una personalità ossessiva oppure narcisistica, tanto per nominare due
diagnosi, sto evocando la sua unicità esistenziale, ma anche la sua
appartenenza a dimensioni diagnostiche con caratteristiche che devo
saper descrivere usando un linguaggio comprensibile e condiviso. Il
signor A. con cui ho appena concluso un colloquio è unico, ma per
indicargli la terapia più efficace devo conoscere anche i dati che anni
di clinica e ricerca hanno accumulato su casi simili al suo. Per non
parlare del fatto che al signor A. può interessare molto sapere che
anche altri hanno il suo problema e che questo problema ha un nome. Lo
racconta bene Simona Vinci in Parla, mia paura: “ Lo psichiatra mi
dedicò un’ora del suo tempo. Parlammo dell’analisi che stavo facendo,
degli attacchi d’ansia, della paura. [...] Aveva centrato il punto:
[...] la mia era una depressione reattiva [...] avevo bisogno di
definirmi, di appiccicarmi un’etichetta, di sapere chi ero diventata”.
Come
è strutturato il nuovo manuale? In altre parole, che cosa offre al
clinico? Per prima cosa la possibilità di formulare le diagnosi a
partire dall’età del paziente, dal bambino all’anziano. Poi di
descrivere la personalità, dalle risorse ai tratti più problematici o
francamente patologici. Quindi di valutare, una per una, le principali
capacità mentali (per esempio, la regolazione dell’autostima, i
meccanismi di difesa, il controllo degli impulsi, la capacità di
sviluppare relazioni intime, l’adattamento, la resilienza, le capacità
di autosservazione, la mentalizzazione, gli standard morali). Infine di
riconoscere ed elencare i sintomi, senza trascurare l’esperienza
soggettiva che ne fa il paziente e le risposte emotive del clinico
(controtransfert diagnostico). Alle indicazioni per il colloquio, via
regia per la formulazione diagnostica, il PDM-2 affianca istruzioni
specifiche anche per la somministrazione di test e questionari. È,
insomma, espressamente rivolto alla pianificazione dei trattamenti. La
bontà di una diagnosi, infatti, sta nella sua traducibilità clinica:
come sintesi dei problemi e delle risorse principali di un paziente,
come indicatore efficace per individuare l’approccio terapeutico più
idoneo. Se isoliamo l’etichetta diagnostica dagli obiettivi potenziali
che essa contiene, rischiamo di fare come lo sciocco che, quando il
saggio indica la luna, guarda il dito.
Come sappiamo dalla sua
etimologia, la diagnosi è un processo conoscitivo e un incontro. La
scommessa del PDM- 2 è integrare conoscenza operativa, complessità
clinica e dimensione intersoggettiva. Agli psicoanalisti diffidenti del
processo diagnostico ricordo che Freud criticava chi non si preoccupava
di formulare diagnosi accurate. E paragonava questo atteggiamento alla “
prova della strega” di cui andava fiero un re scozzese: faceva
immergere la sospetta strega in un calderone d’acqua bollente e poi
assaggiava il brodo. Solo a quel punto era in grado di dire se si
trattava di una strega. Ecco, chi trascura la diagnosi rischia di fare
come il re scozzese: riconosce e nomina le cose fuori tempo massimo.
Oggi
molti giovani colleghi si trovano a dover scegliere tra procedure
diagnostiche ipersemplificate e linguaggi idiosincratici, estranei alla
prova della ricerca empirica e poco condivisibili tra professionisti di
diversa formazione. Questa condizione, sospesa tra compilazione
burocratica e autoreferenzialità gergale, non solo mortifica l’identità
professionale del clinico, ma appanna o distorce la sua capacità di
individuare e descrivere le caratteristiche del suo paziente. In
definitiva, compromette la relazione clinica. Manuale Psicodinamico si
muove nella direzione opposta: dare un senso alla diagnosi valorizzando
la sensibilità clinica.