venerdì 2 marzo 2018

Repubblica 2.3.18
I dati sul lavoro
La prevalenza delle donne
di Chiara Saraceno


Sia pure lentamente, la situazione dell’occupazione va migliorando, nonostante per molti lavoratori, come quelli di Embraco, la crisi sia alle porte. La ripresa, piccola ( 0,7%), dell’occupazione è particolarmente chiara su base annua. Si tratta di una crescita molto selettiva: riguarda pressoché solo le donne, sia le giovani sotto i 24 anni che le ultracinquantenni. Le prime entrano nel mercato del lavoro con percentuali simili ai loro coetanei. Le seconde rimangono più a lungo a seguito degli effetti della riforma Fornero. Talvolta devono persino restare più a lungo dei coetanei, se hanno avuto una carriera lavorativa e contributiva interrotta a causa degli impegni famigliari.
Con un modesto 49,3% il tasso di occupazione femminile continua a essere lontano non solo da quello, pur non altissimo, maschile italiano, ma anche da quello medio europeo e ancor più dall’obiettivo europeo del 70%. Nel caso di nuovi ingressi e non di mancate uscite per pensionamento, inoltre, si tratta per lo più di contratti a tempo determinato e/ o part time involontario. Meglio che niente, si potrebbe osservare, salvo verificare la durata dei contratti e la possibilità di fare progetti al di là del mese. Senza contare che per le giovani donne un contratto a tempo determinato (e in certa misura anche a tutele crescenti) costituisce un forte vincolo alle scelte di maternità, che mettono a serio rischio ogni possibilità di rinnovo. La combinazione di concentrazione dell’aumento dell’occupazione tra le donne e i giovani e della pressoché totale prevalenza di contratti a termine, oltre a confermare un progressivo riequilibrio dei rapporti di lavoro a sfavore di quelli permanenti, suggerisce anche la possibilità che almeno una parte di queste occupazioni sia a bassa qualifica e bassa remunerazione.
La continuità dell’aumento, pur piccolo e lento, dell’occupazione femminile negli ultimi anni, dopo l’arresto avvenuto con la crisi, segnala tuttavia che ormai per un numero crescente di donne, per necessità o per scelta, la partecipazione al mercato del lavoro fa parte della vita adulta, che si abbia o meno una famiglia e anche proprio perché la si ha o se ne vuole avere una. Non solo permette autonomia economica alle donne. Protegge anche la coppia e la famiglia dai rischi di povertà in caso di reddito troppo basso, perdita dell’occupazione del partner o separazione coniugale. Anche se avere una famiglia continua a presentare rischi per le donne rispetto all’occupazione. Secondo gli ultimi dati dell’Ispettorato del lavoro, il 78% delle dimissioni volontarie riguarda le lavoratrici madri. E da un anno all’altro è quasi raddoppiato il numero di donne che hanno lasciato il lavoro perché non ce la fanno a tenerlo insieme alle responsabilità famigliari. È un problema anche per le lavoratrici più anziane che fronteggiano le richieste di aiuto per la cura dei nipoti da parte di figlie e nuore o i bisogni di cura di coniugi, più spesso genitori o suoceri, divenuti fragili per età o malattia.
La crescente presenza delle donne nel mercato del lavoro richiederebbe un radicale ripensamento di un sistema di welfare che, per quanto riguarda i bisogni di cura dei piccolissimi e delle persone non autosufficienti, è ancora largamente affidato al lavoro gratuito delle donne entro e per la famiglia. Richiederebbe anche una diversa organizzazione del lavoro, ove la flessibilità venisse considerata come uno strumento di gestione sia per le aziende sia per i lavoratori/trici.