Repubblica 25.3.18
Il presidente della Camera
Dai movimenti a Montecitorio
Fico, grillino di sinistra in vetta con la Lega nemica
Guida
degli “ortodossi”, contestò Di Maio come capo politico e disse “ Dio ci
scampi da Salvini”. Grillo lo esalta: persona civile, un supereroe
di Annalisa Cuzzocrea
ROMA Chissà se lo aveva anche ieri, Roberto Fico, l’immancabile corno rosso nel taschino.
Quando
il conteggio sull’iPad dell’amico Luigi Gallo ha gridato 315, e tutti
son saltati in piedi ad applaudire mentre lui, nella sala in cui
attendono i futuri presidenti, baciava la compagna Yvonne e dava il
cinque ad Alessandro Di Battista. Il Movimento 5 stelle - quello che
doveva aprire il Parlamento come una scatoletta - ha conquistato la
Camera dei deputati. E non è un caso che ieri abbia festeggiato
all’hotel Forum fino a tarda notte con Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
La presa del primo “palazzo” cambia tutto. Aiuta uno spirito unitario
messo in crisi più volte, negli ultimi mesi.
Soprattutto perché
Luigi Di Maio ha consegnato le chiavi di Montecitorio all’altra anima
del Movimento: quella ortodossa che tante volte è sembrata sbarrargli la
strada. «Un nuovo supereroe nazionale — scrive Grillo su Facebook —
persona integra, civile: un cittadino, Roberto».
Napoletano di
Posillipo («il più bel mare del mondo»), tifoso fino alla scaramanzia
(«Certo che vince la Juve»), ultima vacanza nei Balcani, in macchina per
portare anche il cane, Fico è nato nel 1974, ha fatto il liceo Classico
al Vomero, si è laureato in Scienze delle Comunicazioni a Trieste, è
partito in Erasmus per Helsinki e frequentato un «master in Knowledge
Management» organizzato dal politecnico di Milano. Dopo la laurea,
progetta reti intranet per un tour operator, lavora in una società di
formazione professionale, poi in un call center e in una società di
ristorazione a Fuorigrotta.
Insegue Lucio Dalla in giro per
concerti fino a diventarne amico e andare con lui a mangiare la pizza
quando il cantante è in città. Si diletta con tastiere e fisarmonica con
un amico, ora avvocato, che racconta: «Meglio per lui che abbiamo
smesso». Gira in autobus, pur essendo considerato un figlio della
“Napoli bene”. Ma soprattutto, fa politica.
Volantinaggio per il
“rinascimento” di Antonio Bassolino, considerato una speranza tradita.
Poi i banchetti con i movimenti dei “beni comuni”, le lotte contro le
discariche e gli inceneritori. Nel 2005 fonda a Napoli uno dei primi
meet up Amici di Beppe Grillo. Nel 2009, quando nasce il Movimento, è
già lì. Si candida a tutto: presidente di Regione, sindaco di Napoli.
Prende poco più dell’1 per cento, ma resta l’uomo forte dei 5 stelle in
città. Poco amato dai dissidenti: ne fa espellere oltre trenta. È, su
tantissime cose, l’esatto opposto di Luigi Di Maio. Il cuore è a
sinistra da sempre (ha votato anche Rifondazione); lo stile del tutto
antitetico (niente completi di taglio perfetto, ma collanine indigene e
braccialetti); i valori spesso differenti. Durante le cariche con gli
idranti contro i migranti a piazza Indipendenza a Roma, il capo politico
M5S si schierava con il prefetto e Virginia Raggi, mentre Fico diceva:
«Uno Stato del genere non mi rappresenta». Quando il suo partito
decideva di astenersi sullo Ius soli, lui dichiarava di essere a favore
(«Per me chi nasce in Italia è napoletano»). Quando Luigi Di Maio in
veste leghista tuonava contro le ong taxi del mare, l’altro condivideva
video di Erri De Luca e invitava a distinguere. La grande frattura - con
colui che nel 2013 alla Camera presentava come un novellino e che
sarebbe diventato il capo politico M5S - si è consumata sulla crisi
della giunta Raggi a Roma. Sotto i colpi delle indagini su Paola Muraro,
Raffaele Marra e Salvatore Romeo, Fico considerava irredimibile quel
che Di Maio difendeva. Ci furono scontri, non detti e bugie. I due
ruppero per mesi, arrivando a ignorarsi alla festa 5 stelle a Palermo.
Di Maio dà interviste sentimentali su Vanity Fair, Fico invita a stare
attenti al “vippismo”. Ma il problema è soprattutto politico. Nel
gennaio 2017, prima ancora dell’ennesimo scontro sulle regole per la
scelta del candidato premier, l’allora presidente della Vigilanza Rai
dice in un colloquio con Repubblica: «Mai con la Lega o con Trump, Dio
ce ne scampi». Dichiarazione che segue un’intervista che guarda a destra
di Grillo al Journal de dimanche e che gli costa un avvertimento di
scomunica sul blog. Ancora ieri, nel discorso alla Camera che tanto è
piaciuto a Nicola Fratoianni di Leu, il primo valore che cita è quello
su cui è fondata la Repubblica, «la lotta al nazifascismo». Assicura
«imparzialità e rigore», parla di una comunità da ricostruire
dimostrando «ascolto ai cittadini» e assicurando che nessuna illegalità e
nessuna ingiustizia sarà trascurata. Ma è eletto, proprio lui, grazie
ai voti di Matteo Salvini, Giorgia Meloni e dei forzisti di Silvio
Berlusconi. Un modo, per Di Maio, di salvare l’anima nel momento in cui
si prepara a nuovi patti. Ma anche una resa a una realpolitik di cui
Fico, fino a questo momento, era sembrato il più strenuo oppositore. A
meno che non avessero ragione Di Maio e Di Battista, quando su un treno,
di ritorno da Milano, nell’aprile 2016, dicevano: «Ortodosso? Roberto è
il più pragmatico di tutti noi».