sabato 10 marzo 2018

Repubblica 10.3.18
Energia infinita, il Sole in laboratorio
“Siamo pronti alla fusione” Più vicino il nucleare pulito
L’annuncio del Mit: nuovi superconduttori Il primo reattore nel 2021. Ma i rivali sono scettici
di Giuliano Aluffi


La fusione nucleare – la promessa dell’energia rinnovabile “perfetta” perché producibile in quantità illimitata, a comando e 24 ore su 24, a differenza del solare e dell’eolico – si avvicina e potrebbe presto materializzarsi grazie a un’innovazione annunciata dal Mit di Boston. È un materiale che permette di ridurre l’energia necessaria a tenere imprigionato nel reattore il caldissimo cuore di plasma, oltre 100 milioni di gradi centigradi, necessario ad agitare i nuclei di idrogeno e farli scontrare alla velocità giusta per fondersi in elio liberando così energia. Nel progetto internazionale più importante e atteso, l’Iter, in costruzione dal 2005 a Cadarache (Francia), che vede impegnati tra gli altri partner l’Enea e il Cnr, il plasma necessario alla fusione nucleare è isolato da campi magnetici generati da materiali che sono superconduttori solo a temperature vicine allo zero assoluto. Nel progetto del Mit, invece, basato sullo stesso tipo di “macchina”, un reattore a ciambella Tokamak, si usa un nuovo superconduttore – una striscia di acciaio rivestita di ossido di ittrio, bario e rame – che funziona anche a temperature di qualche decina di gradi più alte e può generare campi magnetici più intensi. Richiedendo così meno energia, e dimensioni ridotte per il reattore: quello del Mit sarà un sessantacinquesimo di quello francese.
«Il limite dei superconduttori usati nei magneti precedenti era nella forza del campo magnetico prodotto, che arrivava a 10 Tesla» spiega Robert Mumgaard, ceo di Commonwealth Fusion Systems, società spin-off del Mit che per questo progetto ha ricevuto un finanziamento di 50 milioni di dollari anche da Eni. «Il nuovo superconduttore non ha questo limite: ci permette di generare campi magnetici oltre i 50 Tesla.
Per ora ne abbiamo realizzati solo di piccole dimensioni. Il prossimo passo è realizzarne uno grande abbastanza per un reattore entro il 2021. Poi, se tutto va bene, per il 2033 potremo produrre energia elettrica tramite la fusione».
Non è detto, comunque, che il Mit preceda i rivali. «Le scadenze che si sono dati i ricercatori americani mi sembrano molto ambiziose, forse anche troppo» ribatte Tim Luce, direttore della ricerca del progetto Iter. «Ma mi fa piacere che la fusione nucleare attiri finanziamenti privati, è un’attestazione dell’importanza di questo settore. Detto questo, i due progetti hanno ambizioni diverse: al Mit vogliono produrre 100 megawatt in uscita con un consumo da 50 a 100 megawatt.
Noi programmiamo di produrre 500 megawatt con 50 megawatt di consumo». «È presto per dare un giudizio: abbiamo visto negli anni una decina di tentativi di usare macchine Tokamak per arrivare alla fusione più in fretta di Iter e a costi inferiori, ma sono tutti naufragati» osserva Maurizio Lontano, direttore dell’Istituto di fisica dal plasma del Cnr. «Iter ha alle spalle i migliori laboratori del mondo e le leggi di scala basate sugli esperimenti precedenti prevedono che un reattore in grado di dare realmente energia da fusione in forma di elettricità abbia bisogno di essere una macchina “grande”, in senso non solo quantitativo – per il fabbisogno di una città da un milione di abitanti serve almeno un Gigawatt – ma anche qualitativo. Che un gruppo ristretto di scienziati formi una startup e prometta in 15 anni 100 megawatt sembra un po’ fuori scala».