l’espresso 4.3.18
Nelle crepe di Putin
Il 18 marzo, con il voto della Russia, inizierà la quarta era dello Zar. Ma il suo potere è sempre più fragile
di Bernard Guetta
L’Europa divisa e l’America isolazionista lo aiutano. Sarà la Cina a strappargli il ruolo di Superman
È
un uomo freddo, perfino glaciale. Sorride di rado e non si confida mai
con nessuno. Nel 1999 aveva annientato l’indipendentismo ceceno con
quella totale indifferenza per la vita umana che in seguito ha
dimostrato durante i sequestri di ostaggi a Mosca e nel Caucaso.
Vladimir Putin è l’uomo che ha concepito e portato a termine in Crimea
la prima annessione territoriale che l’Europa abbia conosciuto dalla
fine della Seconda guerra mondiale. È lui che organizza, arma e finanzia
il tentativo di secessione dell’Ucraina orientale. Ed è sempre lui che,
in definitiva, si è alleato con l’Iran per permettere alla Russia di
rimettere piede in Medio Oriente salvando il regime siriano a colpi di
bombardamenti indiscriminati. Al potere da diciannove anni e ormai alla
vigilia della sua più che probabile rielezione il prossimo 18 marzo, ha
messo il bavaglio alla stampa russa, non si è fatto scrupolo di
ricorrere all’omicidio politico per soffocare meglio qualsiasi forma di
opposizione e ha risvegliato l’antica paura diffusa in passato
nell’Unione Sovietica e poi scomparsa all’epoca di Gorbaciov e di
Eltsin. Senza il suo aiuto, gli occidentali e i paesi sunniti avranno
molta difficoltà a imporre un compromesso in Siria e a incanalare
l’avanzata dell’Iran, sciita e persiano, nel Medio Oriente arabo e
sunnita. Dopo essersi molto adoperato per favorire l’elezione di Donald
Trump e indebolire in tal modo gli Stati Uniti, Vladimir Putin è oggi
percepito come l’uomo più potente del mondo, quando in realtà non è così
come appare. Sebbene ancora popolare in Russia, lo è molto meno di
diciannove anni fa, quando Boris Eltsin lo nominò improvvisamente suo
primo ministro per poi cedergli ben presto il posto in cambio di una
garanzia di immunità per lui stesso e per la sua famiglia. Il sentimento
di umiliazione dei russi era allora al culmine. Non ne potevano più di
avere come presidente un alcolizzato il cui eloquio diventava
incomprensibile già prima dell’ora di pranzo. Ed erano stanchi di un
presidente della Federazione russa che, dopo aver cacciato Mikhail
Gorbaciov dal Cremlino smembrando l’Unione Sovietica, aveva affidato le
redini dell’economia a giovani universitari convertiti al liberalismo
che avevano svenduto le ricchezze nazionali in nome del passaggio a
un’economia di mercato. Avevano cominciato a distribuire ai lavoratori
dei “buoni” considerati come azioni delle loro imprese. Ma questi, mal
pagati o rimasti senza lavoro in seguito ai provvedimenti adottati per
ridurre il debito pubblico, li avevano subito rivenduti, non sapendo che
farsene, a esponenti della vecchia nomenclatura i quali, invece, se ne
servivano per ottenere dei prestiti bancari in cambio di bustarelle
versate alla “Famiglia Eltsin”, nel senso letterale e figurato. Tutto
ciò che vi era di interessante nella vecchia proprietà collettiva era
quindi passato nelle mani di persone il cui unico capitale iniziale era
il loro legame con il Cremlino. Si era consumata, in questo modo, la più
grande rapina della storia, mentre la diplomazia russa si allineava
supinamente con quella degli Stati Uniti.
Dopo aver perso
l’Europa centrale sotto il regime di Gorbaciov e l’impero zarista sotto
quello di Eltsin, la Russia era svanita sulla scena internazionale.
Stava cercando uno Zorro, un vendicatore, un Superman, e l’aveva trovato
nella persona di un quarantenne muscoloso e inflessibile uscito dal Kgb
che prometteva di far restituire il maltolto ai ladri, di non cedere
più neanche un pollice di territorio nazionale e di inseguire i ceceni
“fino al cesso”, come ha subito fatto. Lanciato in pista dall’apparato
di sicurezza e dalla nuova classe possidente che temeva che
l’impopolarità di Boris Eltsin conducesse al caos, Vladimir Putin aveva
saputo imporsi in un batter d’occhio. E grazie all’impennata dei prezzi
del petrolio aveva potuto aumentare il tenore di vita dei russi e, in
particolare, dei pensionati. All’inizio, questo giovane zar ha svolto
davvero un ruolo di giustiziere. Ma a un certo punto, l’economia di
mercato ha generato una nuova classe media urbana, influente,
indispensabile per il funzionamento del paese e dell’economia, che
aspirava alla libertà e alla fine della corruzione.
La rielezione
di Vladimir Putin nel 2012 non è stata scontata. Le grandi città, Mosca
in testa, avevano dato vita a manifestazioni di protesta nelle piazze
prendendo poi le distanze nelle urne. In seguito i prezzi del petrolio
sono crollati. Il presidente oggi non appare più come un salvatore e, se
non avesse preso la precauzione di eliminare qualsiasi opposizione
credibile, si troverebbe in una posizione difficile, perché tutto si
compra in Russia, persino i diplomi e le cure mediche. La miseria è
immensa nelle campagne e nella Russia profonda, le popolazioni urbane
gli hanno voltato le spalle, le infrastrutture sono in rovina per
mancanza di investimenti e il Pil russo non supera quello delle potenze
medie dell’Unione europea che non possiedono risorse come il gas e il
petrolio. Vladimir Putin rimane popolare perché l’alternativa è o lui o
il caos, ma il suo prestigio nazionale è diminuito e grande è la sua
fragilità sulla scena internazionale. I russi avevano applaudito quasi
all’unanimità l’annessione della Crimea perché era stata per molto tempo
russa e in seguito ottomana prima che Kruscev ne facesse dono agli
ucraini spostando semplicemente i confini amministrativi all’interno
dell’Urss. «Era la nostra Costa Azzurra», mi aveva detto un artista
moscovita. Ma adesso la Crimea è un grosso costo per la Russia che deve
investire molto per farla funzionare e tenerla legata a Mosca. Sebbene
molto meno nettamente, anche il sostegno dato ai separatisti
dell’Ucraina orientale è approvato dai russi, ma queste regioni di
lingua russa non saranno in grado di staccarsi dall’Ucraina senza un
intervento diretto e, quindi, aperto e politicamente rischioso
dell’esercito russo.
Senza ottenere risultati concreti, Mosca
perde uomini e molto denaro mentre le sanzioni economiche occidentali,
imposte dopo l’annessione della Crimea, hanno già causato molti danni
alla sua economia. In Ucraina, Vladimir Putin dimostra che gli
occidentali non sono in grado di opporsi a lui, ma sia qui che in Crimea
non può più andare avanti né indietro. Così adesso si trova in un
vicolo cieco, non meno che in Medio Oriente dove è diventato ostaggio
dell’Iran e di Bashar al-Assad. Laggiù tutto era iniziato molto bene.
Supplicato d’intervenire dal macellaio di Damasco che stava perdendo la
partita, Putin già immaginava di rimettere in sella il regime siriano
prima di imporgli i compromessi che avrebbero reso la Russia un paese
pacificatore, gendarme di quella regione come del mondo intero al posto
degli Stati Uniti. Tutto si svolge inizialmente secondo i suoi piani.
Mentre gli occidentali finiscono per espellere l’Isis da Raqqa e Mosul,
l’aviazione russa schiaccia l’insurrezione siriana. Militarmente
parlando, nulla più minaccia Bashar al-Assad, ma anche se il suo paese è
in rovina e quasi la metà dei siriani sono stati cacciati dalle loro
case, rifiuta ogni compromesso con l’opposizione e incassa il sostegno
dell’Iran. Salvo a ribellarsi contro i suoi alleati, Putin può solo
continuare a sostenerli e trarre vantaggio dalla loro intransigenza.
Così la Russia, lungi dal diventare un operatore di pace, sta diventando
uno dei principali attori del conflitto regionale tra gli sciiti, i
sunniti e i loro rispettivi paesi guida: l’Iran e l’Arabia Saudita. Si
sta insomma impantanando in Medio Oriente e l’unica vera forza del suo
presidente è che l’Unione europea sta ancora sognando la sua unità
politica e militare e gli Stati Uniti stanno vivendo una fase
isolazionista, screditati da Donald Trump. Di fronte a sé, Putin ha solo
dei nani politici, ma la sua posizione interna non è più quella d’un
tempo, mentre la sua ricchezza è molto limitata e la sua potenza
militare resta molto inferiore a quella degli americani. Di fatto, il
ruolo di Superman la Cina lo svolge molto meglio.
Traduzione di Mario Baccianini