mercoledì 7 marzo 2018

l’espresso 4.3.18
Nelle crepe di Putin
Il 18 marzo, con il voto della Russia, inizierà la quarta era dello Zar. Ma il suo potere è sempre più fragile
di Bernard Guetta
L’Europa divisa e l’America isolazionista lo aiutano. Sarà la Cina a strappargli il ruolo di Superman


È un uomo freddo, perfino glaciale. Sorride di rado e non si confida mai con nessuno. Nel 1999 aveva annientato l’indipendentismo ceceno con quella totale indifferenza per la vita umana che in seguito ha dimostrato durante i sequestri di ostaggi a Mosca e nel Caucaso. Vladimir Putin è l’uomo che ha concepito e portato a termine in Crimea la prima annessione territoriale che l’Europa abbia conosciuto dalla fine della Seconda guerra mondiale. È lui che organizza, arma e finanzia il tentativo di secessione dell’Ucraina orientale. Ed è sempre lui che, in definitiva, si è alleato con l’Iran per permettere alla Russia di rimettere piede in Medio Oriente salvando il regime siriano a colpi di bombardamenti indiscriminati. Al potere da diciannove anni e ormai alla vigilia della sua più che probabile rielezione il prossimo 18 marzo, ha messo il bavaglio alla stampa russa, non si è fatto scrupolo di ricorrere all’omicidio politico per soffocare meglio qualsiasi forma di opposizione e ha risvegliato l’antica paura diffusa in passato nell’Unione Sovietica e poi scomparsa all’epoca di Gorbaciov e di Eltsin. Senza il suo aiuto, gli occidentali e i paesi sunniti avranno molta difficoltà a imporre un compromesso in Siria e a incanalare l’avanzata dell’Iran, sciita e persiano, nel Medio Oriente arabo e sunnita. Dopo essersi molto adoperato per favorire l’elezione di Donald Trump e indebolire in tal modo gli Stati Uniti, Vladimir Putin è oggi percepito come l’uomo più potente del mondo, quando in realtà non è così come appare. Sebbene ancora popolare in Russia, lo è molto meno di diciannove anni fa, quando Boris Eltsin lo nominò improvvisamente suo primo ministro per poi cedergli ben presto il posto in cambio di una garanzia di immunità per lui stesso e per la sua famiglia. Il sentimento di umiliazione dei russi era allora al culmine. Non ne potevano più di avere come presidente un alcolizzato il cui eloquio diventava incomprensibile già prima dell’ora di pranzo. Ed erano stanchi di un presidente della Federazione russa che, dopo aver cacciato Mikhail Gorbaciov dal Cremlino smembrando l’Unione Sovietica, aveva affidato le redini dell’economia a giovani universitari convertiti al liberalismo che avevano svenduto le ricchezze nazionali in nome del passaggio a un’economia di mercato. Avevano cominciato a distribuire ai lavoratori dei “buoni” considerati come azioni delle loro imprese. Ma questi, mal pagati o rimasti senza lavoro in seguito ai provvedimenti adottati per ridurre il debito pubblico, li avevano subito rivenduti, non sapendo che farsene, a esponenti della vecchia nomenclatura i quali, invece, se ne servivano per ottenere dei prestiti bancari in cambio di bustarelle versate alla “Famiglia Eltsin”, nel senso letterale e figurato. Tutto ciò che vi era di interessante nella vecchia proprietà collettiva era quindi passato nelle mani di persone il cui unico capitale iniziale era il loro legame con il Cremlino. Si era consumata, in questo modo, la più grande rapina della storia, mentre la diplomazia russa si allineava supinamente con quella degli Stati Uniti.
Dopo aver perso l’Europa centrale sotto il regime di Gorbaciov e l’impero zarista sotto quello di Eltsin, la Russia era svanita sulla scena internazionale. Stava cercando uno Zorro, un vendicatore, un Superman, e l’aveva trovato nella persona di un quarantenne muscoloso e inflessibile uscito dal Kgb che prometteva di far restituire il maltolto ai ladri, di non cedere più neanche un pollice di territorio nazionale e di inseguire i ceceni “fino al cesso”, come ha subito fatto. Lanciato in pista dall’apparato di sicurezza e dalla nuova classe possidente che temeva che l’impopolarità di Boris Eltsin conducesse al caos, Vladimir Putin aveva saputo imporsi in un batter d’occhio. E grazie all’impennata dei prezzi del petrolio aveva potuto aumentare il tenore di vita dei russi e, in particolare, dei pensionati. All’inizio, questo giovane zar ha svolto davvero un ruolo di giustiziere. Ma a un certo punto, l’economia di mercato ha generato una nuova classe media urbana, influente, indispensabile per il funzionamento del paese e dell’economia, che aspirava alla libertà e alla fine della corruzione.
La rielezione di Vladimir Putin nel 2012 non è stata scontata. Le grandi città, Mosca in testa, avevano dato vita a manifestazioni di protesta nelle piazze prendendo poi le distanze nelle urne. In seguito i prezzi del petrolio sono crollati. Il presidente oggi non appare più come un salvatore e, se non avesse preso la precauzione di eliminare qualsiasi opposizione credibile, si troverebbe in una posizione difficile, perché tutto si compra in Russia, persino i diplomi e le cure mediche. La miseria è immensa nelle campagne e nella Russia profonda, le popolazioni urbane gli hanno voltato le spalle, le infrastrutture sono in rovina per mancanza di investimenti e il Pil russo non supera quello delle potenze medie dell’Unione europea che non possiedono risorse come il gas e il petrolio. Vladimir Putin rimane popolare perché l’alternativa è o lui o il caos, ma il suo prestigio nazionale è diminuito e grande è la sua fragilità sulla scena internazionale. I russi avevano applaudito quasi all’unanimità l’annessione della Crimea perché era stata per molto tempo russa e in seguito ottomana prima che Kruscev ne facesse dono agli ucraini spostando semplicemente i confini amministrativi all’interno dell’Urss. «Era la nostra Costa Azzurra», mi aveva detto un artista moscovita. Ma adesso la Crimea è un grosso costo per la Russia che deve investire molto per farla funzionare e tenerla legata a Mosca. Sebbene molto meno nettamente, anche il sostegno dato ai separatisti dell’Ucraina orientale è approvato dai russi, ma queste regioni di lingua russa non saranno in grado di staccarsi dall’Ucraina senza un intervento diretto e, quindi, aperto e politicamente rischioso dell’esercito russo.
Senza ottenere risultati concreti, Mosca perde uomini e molto denaro mentre le sanzioni economiche occidentali, imposte dopo l’annessione della Crimea, hanno già causato molti danni alla sua economia. In Ucraina, Vladimir Putin dimostra che gli occidentali non sono in grado di opporsi a lui, ma sia qui che in Crimea non può più andare avanti né indietro. Così adesso si trova in un vicolo cieco, non meno che in Medio Oriente dove è diventato ostaggio dell’Iran e di Bashar al-Assad. Laggiù tutto era iniziato molto bene. Supplicato d’intervenire dal macellaio di Damasco che stava perdendo la partita, Putin già immaginava di rimettere in sella il regime siriano prima di imporgli i compromessi che avrebbero reso la Russia un paese pacificatore, gendarme di quella regione come del mondo intero al posto degli Stati Uniti. Tutto si svolge inizialmente secondo i suoi piani. Mentre gli occidentali finiscono per espellere l’Isis da Raqqa e Mosul, l’aviazione russa schiaccia l’insurrezione siriana. Militarmente parlando, nulla più minaccia Bashar al-Assad, ma anche se il suo paese è in rovina e quasi la metà dei siriani sono stati cacciati dalle loro case, rifiuta ogni compromesso con l’opposizione e incassa il sostegno dell’Iran. Salvo a ribellarsi contro i suoi alleati, Putin può solo continuare a sostenerli e trarre vantaggio dalla loro intransigenza. Così la Russia, lungi dal diventare un operatore di pace, sta diventando uno dei principali attori del conflitto regionale tra gli sciiti, i sunniti e i loro rispettivi paesi guida: l’Iran e l’Arabia Saudita. Si sta insomma impantanando in Medio Oriente e l’unica vera forza del suo presidente è che l’Unione europea sta ancora sognando la sua unità politica e militare e gli Stati Uniti stanno vivendo una fase isolazionista, screditati da Donald Trump. Di fronte a sé, Putin ha solo dei nani politici, ma la sua posizione interna non è più quella d’un tempo, mentre la sua ricchezza è molto limitata e la sua potenza militare resta molto inferiore a quella degli americani. Di fatto, il ruolo di Superman la Cina lo svolge molto meglio.
Traduzione di Mario Baccianini