La Stampa TuttoScienze14.3.18
Un nuovo contratto sociale metterà d’accordo umani e robot
Dialogo
tra Alberto Sangiovanni Vincentelli e Carlo Ratti “L’Intelligenza
Artificiale cambierà il lavoro, impariamo a governarla”
Che
cosa è esattamente l’Intelligenza Artificiale (AI in inglese)? Le
definizioni sono spesso vaghe. In generale possiamo dire che un
artefatto è dotato di Intelligenza Artificiale quando può portare a
compimento un’azione tipica di un uomo: per esempio, guidare una
vettura, giocare a scacchi, decidere come investire denaro,
diagnosticare una malattia, imparare. Tutto ciò è basato su cicli di
feedback: percezione della situazione in cui ci si trova, analisi di
dati, processi decisionali e implementazione.
Alberto Sangiovanni
Vincentelli. L’AI non è certo un concetto nuovo. Quando mi sono laureato
al Politecnico di Milano, nel lontano 1971, vivevamo già la prima
ondata di entusiasmo per l’AI. I nostri occhi erano puntati sulle
ricerche di Marvin Minsky (Mit), John McCarthy (Stanford) e Herbert
Simon (Carnegie Mellon University) sulle reti neurali e sul
riconoscimento del linguaggio naturale. Ma i primi risultati non furono
entusiasmanti…
Carlo Ratti. Mi sembra che oggi la grande
differenza non sia solo nella potenza di calcolo - che è cresciuta
esponenzialmente negli anni - ma anche nello sviluppo di nuovi sensori
che sono in grado di raccogliere un gran numero di dati del mondo che ci
circonda quali immagini, suoni, profumi. Oggi, se possediamo uno
smartphone, abbiamo nelle nostre tasche più potenza di calcolo di quanta
fosse a disposizione di tutta la Nasa al tempo delle prime missioni
Apollo, negli anni della «corsa allo spazio», nonché un numero notevole
di sensori in grado di misurare la nostra posizione e il mondo esterno.
A.S.V. Questo è il mondo della città intelligente, o «Smart City» di cui ti occupi tu…
C.R.
Sì, ma innanzitutto ti devo dire che odio il nome «Smart City», termine
troppo tecnologico, a cui preferisco quello di «Senseable city»: una
città più umana, tanto «capace di sentire» attraverso sensori digitali
quanto «sensibile» rispetto ai bisogni dei suoi cittadini. Tuttavia i
fenomeni tecnologici alla base del cambiamento sono proprio quelli di
cui stiamo parlando: il progressivo ingresso di sensoristica e AI nelle
nostre vite. Tutto questo ci permette di trovare soluzioni nuove a sfide
senza tempo, dalla mobilità al consumo energetico, dall’inquinamento
alla produzione industriale.
A.S.V. La produzione è un tema che mi
interessa molto, anche a causa delle aziende che ho contribuito a
fondare nella Silicon Valley. Mi piace l’idea di una produzione
localizzata, grazie a AI, robotica e stampanti 3D. In futuro potrei non
comprare un iPhone prodotto in Cina ma semplicemente scaricare i file di
progetto e farlo «stampare» sotto casa. Questo vorrebbe dire ripensare
completamente il commercio globale, permettendo una produzione più
sostenibile e tarata su ogni singolo acquirente.
C.R. Non mi sento
molto a mio agio nel fare il tecno-scettico, ma di fronte a un
tecno-ottimista come te mi vedo costretto a questa giravolta! Ci sarà
sempre bisogno di un’attività manifatturiera che coinvolga grandi
macchine e volumi elevati… E poi chi ci assicura che le macchine siano
infallibili e sicure? Non potrebbero fare danni o addirittura rivoltarsi
contro chi le ha create, come paventano molti, tra cui Bill Gates, Elon
Musk e Stephen Hawking?
A.S.V. Verissimo, il tema della sicurezza
informatica sarà fondamentale. Oggi lo conosciamo nel mondo digitale,
con i virus e gli hacker che entrano nei nostri sistemi informatici.
Domani potremmo vedere hacker in azione per prendere possesso dei
sistemi automatici di un’auto, una fabbrica o addirittura un’intera
città. Per quanto riguarda il rischio relativo alla rivolta delle
macchine contro l’uomo, credo che potrebbe essere contenuto inserendo
nella loro progettazione un qualcosa di simile alle tre leggi
fondamentali della robotica di Isaac Asimov. Quando sono state scritte
erano fantascienza, ma oggi sembrano sempre più di attualità.
1.
Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a
causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Quello
che mi preoccupa, invece, è l’impatto sociale: se le macchine
intelligenti avanzano così velocemente, che cosa succederà alla società e
all’economia?
C.R. Qui giochiamo a parti inverse: proverò io a
fare l’ottimista. Ricordi quello che scriveva Lewis Mumford, il grande
storico americano, negli Anni 30 del secolo scorso? «Il principale
beneficio che può derivare da un uso razionale delle macchine non è
certamente l’eliminazione del lavoro», quanto piuttosto la sostituzione
di lavori noiosi con altri più creativi e con un maggior valore
aggiunto… Nel breve periodo credo che sarà così anche questa volta. Mi
preoccupa invece il lungo periodo: quello che potrebbe succedere nel
momento in cui AI e robotica, per la prima volta nella storia dell’uomo,
potrebbero superarci in tutto, di fatto rendendo obsoleta ogni attività
umana.
A.S.V. Sì, è l’idea di singolarità che si sente spesso da
noi in Silicon Valley. Anche lavori ritenuti al sicuro qualche anno fa
potrebbero essere in pericolo. Camionisti e autisti rimpiazzati da auto
senza guidatore (è notizia di questi giorni che in Arizona ci sono
autocarri a guida autonoma che scorrazzano nelle strade). Radiologi e
dermatologi da sistemi intelligenti di lettura delle immagini. Operai da
robot. E così via…
C.R. Anche qui però ci sono limiti. Credo che la professione più antica del mondo potrebbe anche essere quella più longeva…
A.S.V.
A scanso di fraintendimenti dei lettori, sono sicuro che tu ti
riferisca alla professione di parrucchiere, come documentato dai più
antichi graffiti rupestri… Scherzi a parte, nel lungo periodo credo che
l’unica soluzione potrebbe essere quella del reddito garantito per
tutti, tassando le macchine. È l’idea, tra gli altri, di Bill Gates.
C.R. Reddito minimo garantito… sei diventato grillino?
A.S.V.
Beh, questo si diceva da qualche tempo tra tecnologi ed economisti
(Rubin tra gli altri) negli Usa prima che arrivassero i grillini.
C.R.
Sono d’accordo nel lungo periodo, ma da dove cominciare? Vedo intanto
un problema di «chicken and egg», l’uovo e la gallina: fino a quando le
macchine non producono reddito non è facile distribuirlo. Inoltre
sarebbe necessario un coordinamento a livello globale: sennò come far sì
che una multinazionale americana, diciamo Apple, condivida i propri
profitti con un gruppo di tessitori del Bangladesh rimasti senza lavoro a
causa degli avanzamenti della robotica?
A.S.V. Non c’è dubbio che
questi problemi vadano risolti su scala globale, nessun Paese può
farcela da solo. Questo è il grande limite di populismi e sovranismi
odierni. Se però ce la faremo, possiamo iniziare a costruire un mondo
migliore, sfruttando e tenendo sotto controllo le nuove tecnologie.
C.R.
Un’alleanza uomo-macchina: quasi un nuovo «contratto sociale». All’uomo
potrebbe restare la parte creativa e la dimensione ludica
dell’esistenza. Era l’idea dei situazionisti del secolo scorso, come
Constant: «Nella città-planetaria del futuro… una società del tutto
automatizzata, il bisogno di lavorare è rimpiazzato da una vita nomadica
di gioco creativo, un moderno ritorno all’Eden. L’Homo Ludens, liberato
dal lavoro, non dovrà più creare arte, perché potrà essere creativo
nello svolgimento della sua vita quotidiana».