giovedì 8 marzo 2018

La Stampa 8.3.18
La società degli ignoranti impari a fidarsi degli esperti
In “La conoscenza e i suoi nemici” Tom Nichols sferza la faciloneria delle masse ma anche l’élitismo dei campus
di Gianni Riotta

La scienza, la storia e la politica non devono essere discusse da nessuno, se non dagli esperti. Tutti gli altri devono limitarsi a chiedere nuove informazioni e, finché non abbiano acquisite tutte le informazioni disponibili, non possono far altro che accettare l’autorevolezza delle opinioni di chi ha maggiore cultura di loro»: che succederebbe oggi se, in un talk show, una lezione universitaria, un editoriale di prima pagina qualcuno riproponesse questa aristocratica massima? Ululati di disapprovazione, eppure, nel 1926, in una conferenza a Cambridge su Logica e matematica, così la pensava il geniale studioso Frank Ramsey, scomparso a soli 26 anni, avendo prima ribaltato le teorie economiche e filosofiche del tempo. Per Ramsey, capace di azzittire con due parole Wittgenstein, Russell e Keynes, eppure ricordato come «modesto» da tutti, non c’erano dubbi, ai cittadini conveniva prestare ascolto agli esperti, non c’era in questo umiliazione ma ragionevole investimento di fiducia.
Un secolo dopo Tom Nichols, docente al War College della Marina Usa e ad Harvard University, pubblica il saggio La conoscenza e i suoi nemici - L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia, tradotto da Chiara Veltri per Luiss University Press.
Accolto da New York Times e Washington Post come il saggio che coglie alle perfezione gli umori del nostro tempo scettico, dopo Trump, Brexit e ora le elezioni italiane, Nichols, con il tono diretto del pamphlet ci offre una chiara analisi della crisi del sapere corrente.
Quando il giovane Ramsey era in cattedra il carisma del sapiente impressionava ancora il popolo, ma la rivolta anti accademica del 1968, la fine della autorità assoluta, perfino nella Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II e poi Papa Francesco, il pensiero nichilista delle filosofie postmoderne alla Derrida, dominante in America e negli Usa, hanno ammaccato la credibilità dei sapienti. E quanto alla politica, dalle bugie sulla guerra in Vietnam ricordate nel recente film di Spielberg The Post, ai nostri scandali, di ieri e oggi, la fiducia verso i leader si è corrotta in modo irreparabile. Nichols lamenta che, ormai, siamo «arrivati a considerare l’ignoranza, soprattutto su ciò che riguarda la politica pubblica, una vera e propria virtù…rifiutare l’opinione degli esperti significa affermare la propria autonomia, un modo per isolare il proprio ego sempre più fragile e non sentirsi dire che [stiamo] sbagliando qualcosa. È una nuova Dichiarazione di Indipendenza…».
Alla annuale conferenza della classe dirigente italiana, il forum Ambrosetti di Cernobbio dello corso settembre, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha ammonito gli imprenditori in sala «Dovreste tutti leggere il libro di Nichols», quasi presago del voto che ha cambiato l’Italia. Ma sbaglierebbe chi storcesse il naso davanti al lavoro di Nichols, come fosse il quaderno spocchioso di un intellettuale ostile alle masse dei populisti senza laurea e libri in casa, così forti – secondo le analisi dati – nelle coalizioni vittoriose di Trump, Brexit, 5 Stelle, Erdogan in Turchia, come in quelle, pur sconfitte, della Le Pen in Francia. Al contrario, Nichols ha pagine durissime contro le università, diventate luogo separato da lavoro e società, dove agli studenti si insegna più come far network per la carriera che il sapere utile alla crescita sociale. La nuova economia condanna chi non ha le conoscenze per l’industria 4.0 a perdere status e salario, mentre chi disegna i robot vola a Seattle benestante. Prima o poi, gli esclusi si vendicano nelle urne.
Lo studioso Sabino Cassese coglie nel segno: Nichols «mostra che l’ignoranza non è un valore di cui andare fieri, ma che élite ed esperti che tendono a chiudersi nel proprio campo non sono senza peccato. Un invito al dialogo e alla cooperazione di cui le società moderne hanno un disperato bisogno». L’età dell’ignoranza trova infatti nel web non il motore, ma uno specchio ustorio che ne amplifica i pericoli e l’influenza. Nei blog alla moda, le opinioni dell’oncologo Veronesi sui vaccini contano quanto quelle di un passante, e invano il grande botanico di Milano Sala si sgolava a spiegare che le piante Ogm sono naturali e innocue. I militanti rozzi sbeffeggiano entrambi e tirano dritto, a caccia di click beceri.
Nichols propone un nuovo patto, che richiederà tempo per dispiegarsi. Le élite devono riporre boria e sussiego accademico e tornare a ragionare – anche usando la ricchezza di incontro che la rete ci offre – con tutti i cittadini, accettando con umiltà che il ruvido buon senso di Ramsey non funziona più. Ma scuola, media e società civile devono, senza paternalismo o albagie, disseminare i nuovi saperi, far ritrovare lo spirito critico a chi l’ha perduto, scambiandolo con la rabbia, il rancore e il risentimento. Questa nuova democrazia digitale, da non scambiare con blog in cui un capo parla e gli utenti cliccano like, può rinnovare il nostro tempo. Tom Nichols ha scritto un libro saggio, paziente, spiritoso e informato, un vaccino – se possiamo ancora usare la parola - contro il livore degli ignoranti e la presunzione degli accademici.