martedì 20 marzo 2018

il manifesto 20.3.18
Qualche alternativa alla contemplazione delle macerie di LeU
di Antonio Floridia


Cosa accadrà a sinistra, dopo la sconfitta del 4 marzo? Su quali basi è possibile ripartire, superando un diffuso scetticismo? I vertici di Liberi e Uguali sembra vogliano tener fede a quanto detto: ossia, procedere alla costruzione di un nuovo soggetto politico, un nuovo partito della sinistra.
Bene: ma come si pensa di rendere credibile questo progetto? Bisogna essere consapevoli che, senza metodi innovativi e idee originali, tutto è destinato ad arenarsi, o peggio a produrre dei contraccolpi ancora più negativi.
Occorre partire da una premessa: sarebbe esiziale attendere quel che accadrà dentro il Pd. Dialogo, certo, e attenzione a tutto ciò che si potrà muovere da quelle parti: ma bisogna essere consapevoli che, quali che siano i possibili esiti della crisi del Pd, non sono prevedibili né i tempi né i modi con cui questa crisi si dipanerà. E in ogni caso, è davvero difficile pensare che il Pd (ammesso che possa essere «de-renzizzato») possa tornare a porsi come un luogo unificante per tutta la sinistra.
Un partito della sinistra, ci vuole, comunque. Ed è bene non girarci attorno: non possono esserci surrogati movimentistici, o soluzioni assembleari: occorre pensare ad un partito, degno di questo nome. Ed è necessario riflettere sulle forme radicalmente innovative e inclusive con cui è necessario concepire questo processo «costituente» (meglio: «Rigenerante»).
Come garantire che le forze attuali (quel milione di voti, in gran parte di militanti), e quelle potenzialmente disponibili, siano veramente attratte da questo progetto? Vorrei partire da un’affermazione che potrà sembrare paradossale: ritengo che oggi vi sia a sinistra (sulle idee, i valori e anche i programmi) una potenziale, ampia convergenza, maggiore di quanto comunemente si pensi.
Cosa rende difficile, allora, la costruzione di un nuovo partito, con una massa critica tale da renderlo un soggetto politicamente rilevante?
Una possibile risposta va cercata nella mancanza di idee innovative sul modello di partito a cui ispirarsi. Se si vuole che un processo costituente possa avere successo occorre offrire subito, a tutti i potenziali aderenti, una garanzia piena sulla democrazia interna del futuro partito. Il nodo a cui occorre dare una risposta è quello di un ripensamento del nesso tra democrazia e partecipazione, e tra partecipazione e decisione. Qui si gioca la stessa possibilità che un partito della sinistra possa essere un soggetto largo, unitario, capace di contenere in sé la pluralità di idee e opinioni che inevitabilmente si confrontano in un grande (o medio) partito, e anzi capace di valorizzare le differenze (come spesso si proclama di voler fare, salvo poi rinchiudersi entro piccoli recinti).
Se ci sono garanzie adeguate sul modo di stare assieme, sarà più facile far comprendere a tutti quanto sterile sia una situazione in cui le diversità di idee e di opinione si cristallizzino in tanti, ininfluenti micro-contenitori.
Non mancano idee e proposte su come sia oggi possibile concepire un partito che sia pienamente democratico nel suo modo di operare: un partito che dia un ruolo politico agli iscritti (ad esempio, forme di consultazione vincolante su alcune scelte politiche fondamentali), ma soprattutto un partito che riesca ad essere un luogo di intelligenza collettiva, di discussione e formazione politica, di attiva elaborazione programmatica e di presenza organizzata.
Un partito che rompa con la logica plebiscitaria delle primarie, con ogni forma di leaderismo e con ogni pratica oligarchica.
Ma se si vuole che un processo costituente sia efficace, occorre lanciare un messaggio chiaro e credibile: è un processo aperto, senza reti protettive. Tutti i protagonisti devono essere ben consapevoli che i futuri gruppi dirigenti, a tutti i livelli, possono emergere, ed essere riconosciuti, solo grazie alla legittimazione che solo un reale processo democratico può conferire.
Cosa implica tutto ciò, concretamente? Propongo qui alcuni punti:
a) Costituzione di un comitato nazionale promotore, che comprenda i soggetti attualmente in campo, ma sia aperto ad altri apporti, anche di singole personalità; creazione di analoghi comitati ad ogni possibile scala territoriale;
b) La proposta di due documenti di discussione, a cui attribuire pari rilievo: un «programma fondamentale» di carattere politico e ideale e un documento sulla forma del partito e sugli strumenti e i canali di partecipazione degli iscritti (si potrebbe pensare anche ad una vera e propria bozza di statuto);
c) Una fase di tre-quattro mesi, una campagna intensa nel corso della quale si raccolgono le iscrizioni, controllate e certificate dai comitati promotori. Si possono presentare domande di iscrizione online, ma la consegna dell’attestato di adesione deve avvenire in forma diretta e personale;
d) Alla fine di questo percorso, – quando è ben definito il corpo sovrano chiamato a decidere – assemblee congressuali in cui si discutono, si modificano e approvano i documenti e si eleggono i delegati per il congresso nazionale costitutivo.
Può bastare? Certo che no: alla base devono esserci idee e analisi adeguate al momento storico che viviamo; ma il confronto politico e culturale potrà essere produttivo, e non risultare alla fine tanto suggestivo quanto inconcludente, solo se la sinistra saprà ricostituire un luogo e uno spazio collettivo in cui analisi e idee si facciano anche organizzazione e azione politica.
Non sarà, forse, un grande partito di massa, cui molti di noi tendono a guardare con rimpianto. Ma, vivaddio, stare in un partito in cui ci sia molta gente, che la pensa in modo diverso, è molto, molto più divertente e salutare, rispetto ad una condizione in cui non resti altro da fare che contemplare le macerie.