venerdì 2 marzo 2018

il manifesto 2.3.18
Michelle Perrot, quando la storia è sessuata
Un’intervista con la militante, attivista e intellettuale francese. Cruciale la sua «Storia delle donne in Occidente», insieme a Georges Duby per Laterza nel 1990
di Francesca Maffioli


Nel 1973 Michelle Perrot, insieme a Pauline Schmidt e Fabienne Bock intitolano il loro primo corso all’Università Paris-Diderot: Les femmes ont-elles une histoire? (Le donne hanno una storia?). Tale interrogativo, provocatorio, rappresentava il mezzo per affermare l’esistenza di un campo di conoscenza e di studio pressoché sconosciuto. La seconda generazione della scuola storiografica delle Annales aveva rinnovato le prospettive d’osservazione e d’analisi della storia, comprendendo la storia economica, quella sociale e la considerazione delle categorie oppresse, tra le quali spiccavano le donne. Tuttavia, nei primi anni Sessanta la storia insegnata anche in ambito universitario restava una disciplina tendenzialmente asessuata.
L’INTERROGATIVO delle giovani studiose aveva messo a fuoco la questione dell’invisibilità delle donne nella storia e aveva condotto a domande sui tempi, i luoghi e le modalità dell’oppressione e della dominazione maschile. La storia di questa dominazione aveva cominciato a mettere in risalto la place degli uomini attraverso i secoli, guardando al loro ruolo in quanto soggetti non universali né neutri, ma maschili. In tal senso era stato necessario esaminare e riflettere sul confronto e lo studio della differenza tra i sessi, al fine di consentire una visione più ampia, rinnovata, diremmo più completa, della storia.
Negli anni Novanta la pubblicazione dei cinque volumi della Storia delle donne in Occidente, opera curata dalla stessa Michelle Perrot e da Georges Duby, costituisce uno spartiacque di riconoscenza della legittimità di una storia delle donne. È da ricordare che tale pubblicazione venne proposta e sostenuta dall’editrice italiana Laterza, solo a seguito della quale l’opera venne editata anche in Francia. La riflessione epistemologica attorno alla storia delle donne resta ancora valida, sebbene da una storia in cui le donne sono le protagoniste assenti si è passati a una storia sessuata del mondo intero. Ne chiediamo conto proprio a Michelle Perrot, oggi professoressa emerita all’Università Paris-Diderot, autrice di numerosi testi sulla storia delle donne, tra i quali Mon histoire des femmes (Seuil, 2006) e direttrice, con Georges Duby, del già citato Histoire des femmes en Occident, (Plon, 1991-1992).
La sua opera sulla storia delle donne in occidente ha conosciuto un grande successo. Si tratta di un frutto monumentale – sulla storia della rappresentazione delle donne e sulla storia dei rapporti tra i sessi attraverso i secoli. Quale il legame, quale la connessione, nella storiografia femminile, tra la storia della vita privata e quella pubblica?
È doveroso riconoscere la lungimiranza della casa editrice italiana Laterza, la quale chiese a Georges Duby, ed egli a me, di scrivere una storia delle donne. In realtà l’equipe che lavorò all’opera si era formata molto prima, circa 10 anni, e le nostre riflessioni erano già arrivate a un certo livello di maturazione. Per me e l’equipe (una settantina di persone) fu prioritario che il titolo portasse il sostantivo «donne» al plurale, per rappresentare un panorama tanto composito.
Bisogna tener conto che Duby codiresse precedentemente un’opera a più volumi che trattava della «storia della vita privata», dall’impero romano fino ai giorni nostri; questo aspetto dimorava ampiamente nella sua prospettiva di ricerca. Certo, quando si pensa alla storiografia femminile l’aspetto «del privato» non può essere trascurato, in ordine al legame intrinseco, secolare, tra donne-famiglia-casa; tuttavia a me interessava descrivere in che modo il legame tra le donne e la dimensione pubblica poteva costituirsi come dispositivo per rendere visibili le donne e la loro parola alla luce di una «storia pubblica» che le ignorava. Significava andare oltre la questione privata dei legami e delle strutture della parentela ad esempio, significava distaccarsi da Lévi-Strauss. Per me si trattava anche di una sorta di evoluzione rispetto al debutto dei miei studi: sono stata allieva di Ernest Labrousse, storico e militante anarchico, poi socialista e con lui mi ero specializzata sulla questione degli scioperi in seno al movimento operaio. Non senza stupore da parte del mio maestro sono passata a occuparmi della storia delle donne. Nonostante le polemiche a tal proposito, in particolare mi riferisco a quelle che hanno visto il femminismo degli anni Sessanta «traditore» delle istanze della lotta operaia, sono convinta che le due prospettive non siano da considerarsi in opposizione o inconciliabili. Anzi il contrario.
Fare la storia delle rappresentazioni e dei discorsi maschili riguardo le donne può rischiare di farci dimenticare le donne in quanto soggetto?
Non posso negare che il rischio sia presente, anche in misura piuttosto decisiva. In effetti la storia delle rappresentazioni e dei discorsi maschili mette in luce una prospettiva parziale e circoscritta. Tuttavia possiamo analizzare lo stesso attraverso la differenza dei sessi, possiamo cercare di interrogarlo, di decostruirlo. Faccio un esempio: invece di studiare il tema della «bellezza femminile» attraverso i secoli, secondo la prospettiva dello sguardo maschile, si può farlo chiedendosi come le donne hanno reagito a tale sguardo e qual è il loro. Si tratta di essere in grado di capovolgere delle prospettive attraverso la consapevolezza della loro parzialità.
Credo che il recente movimento del #me too possa a tutti gli effetti rappresentare un esempio del capovolgimento di prospettiva e una rideterminazione del ruolo delle donne, a fronte dell’invisibilizzazione e del silenziamenento forzato. Non esito a ribadire che protestare contro le violenze, le più subdole, vuol dire rideterminare il proprio ruolo e reimpossessarsi della propria voce e del proprio corpo in quanto soggetti.
Da quale momento, nella storia delle donne in occidente, possiamo cominciare a parlare di «svolte storiche» per i rapporti tra i sessi? E a partire da quale momento si comincia a percepire il mondo e la storia come sessuate?
Questo interrogativo mi consente di dichiarare a piena voce che il mio punto di vista riguardo a queste svolte storiche coincide con quello di Michel Foucault esposto nella sua Histoire de la Sexualité (1976-1984). Credo infatti che una grande svolta sia stata quella che ha coinciso con la maturazione del pensiero sulla sessualità sviluppato nei testi dell’antichità cristiana; non il pensiero sessuato greco-romano ma soprattutto quello dei padri della Chiesa, in particolare S. Agostino. L’incisività di quest’ultimo limitatamente alla peccaminosità dell’atto sessuale o all’imposizione del velo definiscono la sua auctoritas sul pensiero del rapporto tra i sessi. Tengo a sottolineare quest’ultimo aspetto, per ribadire «il primato» della patristica a fronte delle polemiche che da anni si susseguono a tal proposito. Anche il XVII secolo, di prospettive sorprendentemente egualitarie, rappresenta una svolta storica: penso a François Poullain de La Barre e a Marie de Gournay – in che misura il loro razionalismo ha prodotto delle svolte di pensiero sull’eguaglianza dei sessi. Bisogna sottolineare che si può assistere anche a regressi in tal senso: un esempio è stato il secolo successivo, il XVIII, che ha rimesso in discussione quanto sembrava acquisito, con un ritorno al biologismo più basilare e alla «re-naturalizzazione».
Che ne pensa della tendenza a concepire una storia delle donne attorno alle grandi figure, secondo «un sostenersi» alle singolarità, alle biografie di donne più o meno celebri? Mi riferisco in tal senso alla recentissima traduzione francese di «Storie della buonanotte per bambine ribelli» (Mondadori), ma anche a «Ni vues ni connues» (Hugo doc-Les Simone) del collettivo Georgette Sand…
È un modo come un altro di scrivere la storia delle donne. Tuttavia io trovo che facilmente possa incorrere nel rischio di integrarsi a una tradizione decisamente datata. Mi riferisco a quel biografismo che si attiene a fatti curiosi: penso al biografismo «delle regine, delle sante e delle cortigiane». In questo senso si rischia di perdere la ricchezza della complessità e la storia delle donne rischia di diventare aneddotica.
Cosa ci resterebbe della «Nouvelle Histoire» e della scuola delle «Annales»?
Credo che tale formula possa funzionare solo nella misura in cui l’orizzonte di osservazione delle storiche e degli storici sia aperto. Intendo dire che lo studio delle biografie e degli avvenimenti rivela certi limiti; penso che invece di soffermarsi su individui o eventi eccezionali sarebbe auspicabile studiare le «strutture» e recuperare nuovi soggetti storici, più ribelli e dimenticati.
Non voglio essere troppo severa, anche a me è capitato di redigere capitoli o testi in cui un certo biografismo predominava, tuttavia l’ho sempre fatto col beneficio degli apporti delle scienze umane, che considero espedienti irrinunciabili. La storia dovrebbe avere priorità collettive e problematizzare lo studio sulle differenze tra i sessi, come fanno ad esempio gli studi femminili e di genere.

DAL MOVIMENTO OPERAIO AL FEMMINISMO
Storica e militante femminista, MIchelle Perrot nasce nel 1928 a Parigi. Nel 1947 comincia i suoi studi alla Sorbona; la sua tesi, diretta da Ernest Labrousse, tratta il tema degli scioperi operai. Fin dalla pubblicazione de «Il Secondo sesso» di Simone de Beauvoir desidera avvicinarsi alle scritture delle donne, fino a creare (nel 1974) insieme a Françoise Basch il Ged (Gruppo di studi femministi), sui temi dell’aborto, della violenza sessuale, del lavoro domestico, dell’omosessualità. Professoressa emerita di storia contemporanea all’università Paris VII – Denis Diderot, ha contribuito in maniera decisiva alla nascita degli studi sulle donne e sul genere ed è stata insignita nel 2014 del Prix Simone-de-Beauvoir per la libertà delle donne. Tra le sue opere tradotte in italiano figurano i cinque volumi della «Storia delle donne in occidente» (Laterza), «Immagini delle donne» (Laterza e «Storia delle camere» (Sellerio).