martedì 13 marzo 2018

il manifesto 13.3.18
Michel Foucault
Il cambio di passo che scopre il valore dei movimenti
Era Francesco. Cinque anni di Bergoglio
di Alessandro Santagata


Scrive Michel Foucault che il «potere pastorale» della Chiesa è stato uno dei dispositivi sui quali si è definita la «governamentalità» occidentale. Comunemente si dà per scontato che a partire dal XVIII secolo, sotto i colpi della secolarizzazione, la Chiesa abbia sostanzialmente perso tale prerogativa, anche in conseguenza dell’erosione del potere temporale. Una possibile chiave di lettura del pontificato di papa Francesco comporta una messa in discussione di tale considerazione cronologica.
La preoccupazione per le difficoltà di Bergoglio nell’operare le riforme strutturali è il leit-motiv dei settori del cattolicesimo progressista, giustamente in ansia per ciò che succederà dopo la fine del pontificato. Se però si adotta una prospettiva più larga (ed esterna), il problema della riforma delle strutture appare invece ridimensionarsi. In cosa consiste oggi il potere pastorale della Chiesa? È ormai evidente che il piano della compenetrazione e poi della contesa con lo Stato moderno non è più il principale. Senza contrasto con quella che è da sempre la funzione principale della cura delle anime, da tempo la partita più importante della Chiesa sembra giocarsi altrove, nel campo dei discorsi, delle identità e delle appartenenze. Nel corso degli ultimi 50 anni, dal Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica ha riscoperto nella missionarietà la propria funzione principale. Dopo il Concilio si è assistito però a una sorta di normalizzazione delle aperture alla società contemporanea, che si è tradotta in una campagna di contrasto alla secolarizzazione, in larga parte incentrata sulla sessualità e volta a ricomporre una comunità frammentata. Rispetto a tutto questo, la discontinuità introdotta dal pontificato di Bergoglio è dirompente e riguarda la ridefinizione della pastoralità e dei suoi contenuti. Nessuna rottura con la tradizione, ma un chiaro cambio di passo che si è manifestato nella sua radicalità in occasione degli incontri mondiali con i movimenti popolari tra il 2014 e il 2016.
Il manifesto ha diffuso i discorsi tenuti dal papa in queste occasioni, con l’idea che la contaminazione che si è venuta a creare in quella sede con altre culture politiche (comprese quelle della sinistra radicale) non possa essere sottovalutata. È stato qualcosa di inedito nella storia: precari, famiglie senza tetto, contadini senza terra riuniti sotto la regia del Vaticano per discutere di diritti e lotte sociali; una rete di centinaia di organizzazioni internazionali che ha elaborato piattaforme politiche fondate sulle esperienze concrete di movimento, dalle battaglie contro la privatizzazione dell’acqua alla difesa della sovranità alimentare, dall’introduzione di un salario sociale universale alla garanzia dell’inviolabilità della casa familiare (contro gli sgomberi).
Nell’ultimo incontro papa Francesco ha esortato i movimenti a non farsi «incasellare e corrompere» in un sistema di welfare che tende ad addomesticare il conflitto sociale e a non avere paura di entrare «nella Politica con la P maiuscola», pur senza assumere la forma dei partiti politici. Sono affermazioni che evidentemente forzano i confini della dottrina sociale e che sono da interpretare all’interno di un processo complesso – e non privo di retaggi della cristianità – che vuole ripensare gli assetti della presenza cristiana nella società.
La riforma della Chiesa incontra resistenze perché sta liberando energie a lungo sopite. In un momento storico in cui le istituzioni del ‘900 stanno collassando e, contrariamente a quanto previsto negli anni ‘70, il religioso sta assumendo un nuovo rilievo nella sfera pubblica, la trasformazione assume una valenza che non riguarda solo i cattolici e va ben oltre il nodo delle strutture.