Il Fatto 27.3.18
I sepolcri imbiancati su B. e la Casellati
di Tomaso Montanari
Caro
direttore, fossi stato un senatore non avrei mai avuto lo stomaco di
votare per portare ai vertici dello Stato una protagonista del cerchio
magico dei legulei di Berlusconi. Ma mentre capisco e condivido lo
spaesamento e anche la delusione e lo sdegno di non pochi militanti
5Stelle e dei non molti che non hanno mai provato alcuna indulgenza
verso il Caimano e la sua corte, trovo intollerabilmente ipocrita la
fiammata di antiberlusconismo dei sepolcri imbiancati che in questi anni
hanno sostenuto, giustificato e spesso perfino cantato la politica del
Pd di Matteo Renzi.
Posto che nessuno può rimproverare al
Movimento 5 Stelle la determinazione a prendersi la presidenza di una
Camera, e posto che questo significava accettare l’elezione di un
presidente indicato o dalla reggenza del Pd o da Silvio Berlusconi, ciò
che si dovrebbe allora disapprovare è l’aver messo queste due
eventualità sullo stesso piano. Il che, a rigor di cronaca, non è
neanche vero: perché se Martina avesse accettato di votare per Roberto
Fico alla Camera, oggi il Senato avrebbe un presidente Pd.
Ma
tralasciamo questa circostanza e andiamo al nocciolo: davvero possiamo
condannare qualcuno che oggi dica di non riuscire a distinguere, sul
piano morale prima ancora che politico, tra Forza Italia e Pd? Io non lo
credo. È stato il Pd ad annullare, con forsennata pervicacia, le enormi
differenze che c’erano: dalla Bicamerale di D’Alema al Patto del
Nazareno di Renzi c’è stato un crescendo spaventoso, culminato nella
riscrittura comune della Costituzione, che poi Berlusconi ha rinnegato
solo all’ultimo e non certo per una qualche difformità di pensiero. Per
non parlare del fatto che il Pd ha garantito con devoto rispetto il
permanere del conflitto d’interessi televisivo.
Con l’avvento di
Matteo Renzi, poi, non si è trattato più di alleanze di fatto: ma della
conclamata egemonia (culturale, morale e direi antropologica) di
Berlusconi sul Pd. Il ruolo di Denis Verdini ha reso plasticamente
evidente che non si poteva più distinguere: c’era un solo modo di fare
politica. Anzi, di vedere il mondo. I frutti di questa orrenda mutazione
sono notori e innumerevoli: ma qua basterà rammentarne uno,
strettamente pertinente. Quando, il 15 settembre 2014, Maria Elisabetta
Casellati Alberti viene eletta dal Parlamento a far parte del Consiglio
Superiore della Magistratura (!!), ciò avviene con i voti determinanti
del Partito democratico guidato da Matteo Renzi.
E dunque: come si
fa a sdegnarsi se oggi i Cinque Stelle non riescono a distinguere tra
quelli che Beppe Grillo ha chiamato, non a torto, il Pdl e il
Pdmenoelle? Dirò di peggio. E cioè che scorrendo i nomi dei senatori del
Pd, tutti selezionati dagli ormai trapassati pretoriani di Renzi, non
riesco a trovarne nemmeno uno che, all’atto pratico, non avrebbe
concesso a Berlusconi le stesse cose che, senza fallo, gli concederà la
Casellati. Davvero avremmo dovuto preferire l’elezione di Luigi Zanda,
cioè del segretario di Cossiga ai tempi del caso Moro, poi presidente
del venefico Consorzio Nuova Venezia e protagonista intramontabile di un
sistema di potere da abbattere? Io non riesco a vedere un peggio e un
meglio: sono peggio tutti e due.
Dunque tutto bene così? No. Se il
Movimento avesse voluto fare davvero politica e volare alto avrebbe
avuto qualche altra scelta, almeno sul piano (cruciale) dei simboli e
dei messaggi: avrebbe, per esempio, potuto votare fin dall’inizio Elena
Cattaneo, mettendo il Pd nella condizione di perdere la faccia se avesse
rifiutato di convergere su un nome di quel profilo, e su una senatrice a
vita nominata da Napolitano.
Si è scelta, purtroppo, un’altra
strada. Ma ora è vitale che venga dissipato ogni dubbio: chiarendo che
davvero la partita delle presidenze non annuncia le fattezze del futuro
governo. Nonostante le martellanti prediche dei nuovi irresponsabili
apostoli del ‘tanto peggio tanto meglio’, la storia del Movimento 5
Stelle non c’entra nulla con quella di un partito xenofobo, razzista e
ora pericolosamente prossimo al nuovo fascismo. Credo che dentro il
Movimento la maggioranza la veda così: e così la vede certamente il
nuovo presidente della Camera.
In molti ripetono, a ragione, che
andare al governo con la Lega sarebbe un suicidio, per i 5Stelle. Ma non
è questo il punto. Il punto è che al Senato i 5Stelle hanno fatto il
proprio interesse. Ora devono dimostrare di esser capaci di decidere
“nell’interesse esclusivo della Nazione”. Se lo faranno, saranno davvero
diversi da tutti gli altri.