Il Fatto 19.8.17
Saguineti, la vita dell’ultimo marxista tra politica e poesia
Il piccolo volume è una conversazione da lontano che colma un vuoto
di Furio Colombo
Edoardo
Sanguineti era mio compagno di banco al liceo D’Azeglio di Torino. Era
appena finito il grande disastro del fascismo ed eravamo sicuri che
toccava a noi riempire il vuoto. I nostri insegnanti di quel liceo (il
più importante della città ) e di quella nostra classe (sezione B) erano
tutti personaggi della Resistenza partigiana. È la Resistenza (la
Resistenza, non l’Italia, che in tutta la nostra vita era stata
fascista, persecutrice, priva di valori che non fossero uccidere o
morire) il territorio in cui eravamo radicati. Anzi, nella Resistenza
eravamo nati, giovanissimi adulti, legati per sempre a quello
straordinario soprassalto di libertà, legati per sempre a quelle radici,
come tutti coloro a cui ci siamo legati a mano a mano, nel corso degli
anni. Eppure fra il 1946 e il 1949 (il periodo del nostro liceo) non
siamo mai diventati i discepoli di chi già ci parlava del passato.
Puntavamo
avanti, in politica (volevamo parlare di delitti non pagati, di diritti
non ricevuti, di scioperi già malvisti, dei partiti già inclini a
scansare le ingiustizie), nella ricerca di ciò che stava per venire e
nel non accettare che il fatto di essere liberi fosse un punto di
arrivo. È stato seguendo questa spinta che, nel secondo anno, Sanguineti
e io, abbiamo organizzato un nostro luogo di incontro e di discussione.
Lui o io abbiamo iniziato a portare testi da leggere e da discutere, e
il punto d’incontro era a casa mia, dove mia madre aveva sgombrato una
stanza. Sanguineti lo racconta nella sua autobiografia per dire che
eravamo più adatti a scoprire il dopo che a celebrare il prima. Quando
ho avuto fra le mani il piccolo, utilissimo libro di Lanfranco
Palazzolo, Edoardo Sanguineti, il poeta dell’avanguardia (postfazione di
Pino Pisicchio, Historica Editore), mi sono reso conto che questo nuovo
testo colmava un vuoto. Mancava tra le tante opere e i tanti scritti di
e su Sanguineti, una conversazione da lontano: Palazzolo raggiunge
Sanguineti nel 2010, molti anni dopo l’esperienza tedesca (1971) e 100
poesie dalla DDR, e lo induce a raccontare di un periodo cruciale, per
un mondo spaccato della guerra fredda, per la enigmatica politica
italiana, per Sanguineti, stesso, mai così poeta, mai così politico
(“Torno in Italia e mi iscrivo a Pc”, ha detto a Palazzolo ). Il fatto è
che il giornalista riesce, con domande informate e abili, a far fronte
al poeta e a tener testa al politico. E il documento che gli dobbiamo
merita di entrare sia nelle biblioteche della politica italiana di
quegli anni, sia nella biografia di un grande poeta italiano.