mercoledì 14 marzo 2018

Il Fatto 14.3.18
Il totogoverno come il calciomercato: chi vince si sa alla fine
di Peter Gomez


Avviso ai naviganti, o meglio ai miei otto lettori: in questi giorni articoli, servizi televisivi, editoriali e interviste sulla formazione di un nuovo governo a politici o a sedicenti esperti vanno affrontati con lo stesso spirito con cui si segue il calciomercato. Giusto entusiasmarsi, giusto sognare, sbagliato invece crederci. Perché buona parte di quello che viene pubblicato o detto ora è falso o ampiamente esagerato. Di sicuro c’è solo che per arrivare a un esecutivo qualsiasi ci vorranno ancora settimane e che il campionato, quello vero, inizierà il 23 marzo. Se quel giorno, come prevede il calendario, verranno davvero eletti i presidenti delle Camere si potranno cominciare a misurare le forze in campo e pensare agli incontri successivi. Tenendo conto però di un importante fattore: Movimento 5 Stelle e Lega giocano tutte le partite in casa. A Matteo Salvini e a Luigi Di Maio basta parlarsi per telefono per decidere di staccare la spina e di mandare gli italiani ai tempi supplementari: a un nuovo voto che si trasformerà in un ballottaggio tra pentastellati e centrodestra. Dal punto di vista della democrazia, anzi, questa sarebbe la soluzione migliore. In assenza di una legge elettorale decente, un secondo turno nazionale, con altissima probabilità di stabilire chi in Parlamento ha i seggi e chi no, sarebbe una bella risposta ai tatticismi, paure e roboanti dichiarazioni.
Le migliori in questa fase sono quelle di alcuni esponenti del Partito democratico, a partire dagli ultrà sconfitti renziani. Dire che il Pd starà all’opposizione è corretto e bellissimo, perché è vero che il 4 marzo va letto anche come una sonora bocciatura della loro esperienza di governo da parte degli elettori. Solo che se non ci sarà un esecutivo, e quindi una maggioranza, non ci sarà nemmeno un’opposizione. Ci saranno le urne. Se davvero le vogliono si accomodino.
Non male nemmeno le affermazioni del forzista Maurizio Gasparri che dopo la sua straordinaria Ode in rima al campionato (quello calcistico, non quello politico) ai microfoni di un Giorno da Pecora si sbilancia e assicura che Paolo Romani presidente del Senato è l’uomo giusto al posto giusto. Tralasciando un particolare: Romani è un condannato definitivo per peculato. Quando era assessore a Monza aveva trovato comodo dare il proprio telefono cellulare di servizio alla figlia, finendo così per risarcire bollette per quasi 10 mila euro.
Ora se si vuole far partire la legislatura col piede giusto, dimostrando di aver compreso il tipo di messaggio inviato alla politica dai cittadini stanchi della Casta, siamo sicuri che l’idea di puntare su Romani sia tra quelle da definire geniali? Belle sono comunque anche le uscite di chi invece vuole Roberto Calderoli seduto sullo scranno più alto di Palazzo Madama: non tanto e solo per l’abilità dimostrata nell’ideare una legge elettorale incostituzionale e con sincerità ribattezzata Porcata. A rendere insuperabile il progetto sono le foto di Calderoli con relativo maiale al guinzaglio che si trovano in Rete, evidente segno di compostezza istituzionale, e le dichiarazioni che dimostrano la sua sagacia: “Io su di me non avrei puntato una lira”. Ecco, se l’obiettivo è quello di far salire il Movimento 5 Stelle al 51 per cento, queste sono le scelte azzeccate. Oppure ammettiamolo: siamo ancora alle cronache del calciomercato. Chi vince e chi perde lo si saprà solo alla fine del girone di ritorno. Sperando che alla fine gli sconfitti non siano i cittadini.