Il Fatto 13.3.18
L’eterna resurrezione di Renzi, ex leader prigioniero di se stesso
di Antonio Padellaro
Se
Matteo Renzi non fosse Matteo Renzi, farebbe come Giulio Andreotti che
ogni volta che lo facevano fuori da Palazzo Chigi, o lo emarginavano
dalla Dc, scompariva alle viste, s’inabissava, staccava i telefoni, si
ritagliava un incarico in qualche commissione parlamentare, viaggiava
per il mondo, aggiornava l’archivio a futura memoria (a questo Matteo
forse già provvede), scriveva libri di scarso successo (in questo è
identico), con qualche utile puntatina palermitana dai cugini Salvo
(questo meglio evitarlo). Per poi riapparire rigenerato alla guida di
qualche governo o ministero, più pimpante che pria.
Del resto, se
Matteo Renzi non fosse stato Matteo Renzi, dopo la legnata del
referendum costituzionale avrebbe mantenuto la solenne promessa di
ritirarsi dalla vita politica (se non per sempre almeno per farsi
dimenticare un po’). Così forse avrebbe avuto modo e tempo di tenere
d’occhio babbo Tiziano richiamandolo ai doveri di nonno e impedendogli
di inguaiarlo con i suoi traffici Consip. Forse, nel frattempo, avrebbe
potuto migliorare il suo atroce inglese, stile polizia der kansassity…
orrait orrait… awanagana. Per forse praticare meno da schifo il tennis
“ricominciando dai fondamentali” (il triste instagram della racchetta
appoggiata sulla rete). Forse anche, chissà, la sera del 4 marzo
giocando a scopetta nel bar di Rignano sull’Arno, davanti al 18 per
cento del Pd avrebbe potuto ridersela addossando tutte le colpe della
catastrofe (cosa che meglio gli riesce) a quei bischeri lasciati al
Nazareno. Per potersi illudere che magari, chissà, lo avrebbero
implorato di tornare, come un Cincinnato 2.0. Tanto, peggio di così…
Siccome,
però, Matteo Renzi è, sarà e resterà sempre Matteo Renzi, egli annuncia
che lascia la segreteria del Pd (“mi dimetto”) e però resta (“ma non
mollo”). Oppure, se ne va restando. Oppure, resta andandosene. O si
regolerà a giorni alterni o come si sveglia la mattina. A somiglianza di
qualcuno, molto ma molto più in alto (il suo ego, si sa, non conosce
limiti e siamo sotto Pasqua) che disse ai discepoli: “Un poco e non mi
vedrete, un poco ancora e mi vedrete” (Giovanni 16, 16-20). Lasciandoli
come è noto nella melma più completa. Al Pd non lo vedranno eppure lo
vedranno eccome poiché da “semplice senatore” terrà sotto controllo, e
da vicino, i tanti parlamentari che gli sono debitori dell’elezione.
Così come da “semplice membro della direzione” avrà i numeri per
tumulare il partito all’opposizione. Del resto, questa è la mia natura,
come disse lo scorpione alla rana prima di pungerla a morte e annegare
insieme. Scomparirà (ma apparirà) sperando che intanto gli odiati Cinque
Stelle si suicidino in una qualche forma strampalata di governo con la
Lega di Matteo Salvini. Non ci sarà ma ci sarà per saldare i conti con
coloro, uno per uno, la cui “viltà di oggi fa il paio con la piaggeria
di ieri”. Perché potrebbe persino rinunciare a una poltrona, mai e poi
mai alla eccitante dose quotidiana di tweet e facebook, ai titoli sui
giornali, alle comparsate televisive, alla dimensione virtuale di chi
non si accontenta della vita reale perché pensa di volteggiare sempre
sulla ruota della fortuna. Perché a 43 anni, onestamente, uno come lui
come potrebbe sopravvivere tornando a fare un lavoro qualunque o
giocando a scopetta nel bar di Rignano? E poi, diciamolo, noi del Fatto,
senza di lui, come potremmo vivere?