Il Fatto 12.3.18
La degenerazione della democrazia secondo Polibio
di Orazio Licandro
Tante
e diverse sono state le analisi del voto per il Parlamento, e tra
queste una meritevole di attenzione è stata quella di Gustavo
Zagrebelsky. Il costituzionalista, rifiutando l’ombra del populismo, ha
definito l’esito elettorale una rivolta contro l’oligarchia politica che
ha così decretata la fine di un ciclo della democrazia. Il tema dei
cicli delle forme di governo è assai antico e Zagrebelsky conosce bene
la materia. Il più noto teorico fu Polibio, raffinato osservatore presso
il circolo degli Scipioni, nel II secolo a.C. Nella visione di Polibio,
la vita di uno Stato è segnata da un susseguirsi di forme di governo e
dalle loro degenerazioni secondo un impianto meccanicistico. La
monarchia tende a degenerare in tirannide, a questa segue
un’aristocrazia a sua volta destinata a trasformarsi in oligarchia,
solitamente abbattuta da sommovimenti popolari che instaurano una
democrazia inevitabilmente condannata a divenire un’oclocrazia (Storie
6.4). Anche Cicerone, nelle convulsioni dell’ultimo secolo repubblicano,
ha affrontato la materia nel De re publica, trattato di diritto
costituzionale e di scienza della politica, senza risparmiare aspre
critiche ai demagoghi che arringano con violenza verbale il popolo e lo
manovrano a piacimento contro gli avversari politici. Probabilmente sia
Polibio sia Cicerone avrebbero oggi scritto dei diversi populismi
italiani di Renzi, di Grillo e di Salvini. Perché però oggi Zagrebelsky è
così lontano dal suo Il crucifige e la democrazia, auspicio di una
democrazia critica quale “regime inquieto, circospetto, diffidente nei
suoi stessi riguardi sempre pronto a riconoscere i propri errori, a
rimettersi in causa e a ricominciare da capo”?