Gli studenti della scuola di Parkland sono sopravvissuti al massacro
commesso da Nikolas Cruz e fanno sentire la loro voce in un modo mai
visto prima
internazionale 4.3.18
Le opinioni
Una nuova speranza per fermare le armi
Di Katha Pollitt
Stavo
per scrivere un commento sull’immobilismo dei progressisti rispetto al
tema delle armi da fuoco. Su come anche dopo una spaventosa sparatoria
in una scuola la maggior parte di noi si sia limitata a esprimere
preoccupazione. Dopo ogni massacro, volevo scrivere, facciamo sempre le
stesse cose: mandiamo lettere ai giornali, doniamo soldi alle
associazioni per il controllo delle armi e ai politici che promettono di
lottare per tamponare l’emorragia. Ma, a parte gli attivisti più
impegnati, il nostro sforzo è inefficace. La Million mom march (Marcia
del milione di mamme), che risale al 2000, è stata l’ultima grande
mobilitazione nazionale. La maggior parte degli statunitensi è a favore
del controllo delle armi, ma la passione, oltre che il denaro e la
maggioranza del congresso, sono a favore della National rile association
(Nra).
Gli studenti della scuola superiore Marjory Stoneman
Douglas di Parkland, in Florida, sono sopravvissuti al massacro commesso
da Nikolas Cruz, un loro ex compagno di scuola che ha ucciso 17 persone
e ne ha ferite 15, e stanno facendo sentire la loro voce in un modo mai
visto prima, sfidando i politici. In televisione e su Twitter sono
ovunque. Emma González, studente all’ultimo anno di liceo, potrebbe aver
fatto la storia con il suo intervento durante una manifestazione, tre
giorni dopo la strage: “I politici siedono nelle loro poltrone dorate al
congresso, finanziati dall’Nra, e ci dicono che non c’era niente da
fare per evitare tutto questo: per noi sono stronzate”, ha detto
González. Gli studenti di Parkland stanno organizzando una
manifestazione a Washington il 24 marzo, e altre probabilmente sono in
cantiere. Gli allievi di una scuola superiore di Boca Raton, in Florida,
hanno manifestato e magari avete visto gli studenti che si sono finti
morti di fronte alla Casa Bianca. Forse saranno i ragazzi a salvarci,
alla fine, e sarebbe anche ora. Noi adulti progressisti pieni di buone
intenzioni ci siamo lasciati troppo intimorire dalla lobby delle armi.
Ci siamo rassegnati alla sconfitta quasi totale, accettando la retorica
dell’Nra e la mitologica sacralità del “diritto alle armi”. Per questo
parliamo di possessori di armi “responsabili”, di leggi sulle armi da
fuoco basate sul “buon senso”, di rispetto per il secondo emendamento e
diciamo che “non vogliamo togliere le armi a nessuno”.
Per
politici progressisti come Bernie Sanders e Kirsten Gillibrand
assecondare l’Nra un tempo non era solo considerato una necessità
politica ma anche un modo di dimostrare rispetto per i valori degli
elettori bianchi delle zone rurali. Nel frattempo a chi difende il
diritto di portare armi da fuoco non sembra interessare quanti morti
(circa 35mila) e feriti (più di 81mila) causano ogni anno. E nemmeno
quante possibilità in più ci sono di morire o di uccidere un’altra
persona se si possiedono armi da fuoco. O ancora che ogni giorno almeno
una donna viene uccisa dal partner o ex partner con un’arma da fuoco.
Qualche giorno fa la segretaria all’istruzione Betsy DeVos ha sostenuto
che l’ipotesi di armare gli insegnanti è “un’opzione”. I commenti della
stampa non aiutano. Sui mezzi d’informazione tradizionali sostenere tesi
da bastian contrario favorisce la carriera. Alcuni anni fa la
giornalista libertaria Megan McArdle, in un articolo sul Daily Beast, ha
scritto che non c’era molto da fare contro le armi e che bisognava
insegnare ai ragazzi a placcare gli attentatori: “Queste stragi
farebbero meno morti, perché perfino una persona con un’arma molto
potente può essere buttata a terra da otto o dodici persone disarmate
che le si buttano addosso”. A McArdle, tra l’altro, è stata appena
affidata una rubrica sul Washington Post.
Ross Douthat sul New
York Times, dopo il massacro di Parkland, ha spiegato perché le armi
dovrebbero essere legali e l’aborto vietato. Ha sostenuto anche l’idea
della destra secondo cui le armi ci permetterebbero di resistere allo
stato quando questo “s’impone in maniera illegittima”, e ha proposto di
contrastare la violenza provocata dalle armi aumentando a trent’anni
l’età minima per comprare dei fucili semiautomatici. Come se il
sessantaquattrenne Stephen Paddock non avesse ucciso 58 persone a Las
Vegas meno di cinque mesi fa. Smettiamola con queste follie. E
facciamola finita con gli opinionisti intelligenti, i politici prudenti e
i cittadini disfattisti. Non c’è nessun motivo per cui qualcuno di
qualsiasi età debba possedere un fucile semiautomatico. Forse non dovrei
dirlo, perché sembra che noi progressisti dovremmo essere interessati
solo a conquistare la classe lavoratrice bianca che indossa cappellini
con la scritta “Make America great again”. Ma per me non esiste alcun
diritto a possedere un’arma da fuoco. Quindi partecipate alle marce per
il controllo delle armi e portate i vostri amici. Seguite i soldi,
quelli dell’Nra, e cercate di far eleggere candidati contrari alle armi.
Gli studenti di Douglas hanno cambiato il dibattito. Servirà la
partecipazione di molti di noi per tenere viva la loro battaglia.
KATHA POLLITT è una giornalista e femminista statunitense. Il suo ultimo libro è Pro: reclaiming abortion rights (Picador 2014).