Corriere Salute 25.3.18
C’è un «bipolarismo » che non piace a nessuno
La
sindrome maniaco-depressiva ha sempre meno segreti. Recenti studi hanno
iniziato a individuare alterazioni nella struttura e nelle funzioni
cerebrali di chi ne soffre. E ora si sa anche che ridurre le sostanze
d’abuso e la perdita di ore di sonno può abbassare il rischio di
svilupparlo se si è predisposti
di Danilo di Diodoro
Tutti
sperimentano sbalzi dell’umore, più allegro in certi giorni, più cupo
in altri, ma per alcune persone queste variazioni sono talmente ampie da
diventare un vero disturbo psichico, il cosiddetto Disturbo bipolare ,
al quale è dedicata la giornata mondiale del 30 marzo, compleanno di
Vincent Van Gogh, il geniale pittore olandese che ne soffriva.
È
caratterizzato da periodi di eccitazione (fase maniacale ) e periodi di
depressione (fase depressiva ). Ne esistono due tipi: il tipo 1, nel
quale si alternano fasi maniacali (o ipomaniacali , ossia di eccitazione
moderata) e fasi depressive; il tipo 2, nel quale si alternano fasi
ipomaniacali e depressive senza che si presentino fasi maniacali vere e
proprie. Recenti studi realizzati con Risonanza Magnetica funzionale
hanno mostrato alterazioni nella struttura e nelle funzioni cerebrali di
chi ne soffre. In particolare è emersa una riduzione delle normali
connessioni tra l’area prefrontale della corteccia cerebrale e strutture
profonde del sistema limbico, come l’amigdala. L’area prefrontale tiene
sotto controllo le emozioni e gli impulsi elaborati dal sistema
limbico, così che, quando tale controllo non funziona, si genererebbero i
tipici sbalzi di umore. Questa riduzione delle connessioni è forse
conseguenza di un errore nello sviluppo del cervello, in particolare
della cosiddetta migrazione neuronale, che porta i neuroni a collocarsi
proprio là dove devono essere. Ma non è tutto qui. «Anni di ricerche
hanno permesso di comprendere il complesso rapporto tra fattori
biologici, personologici e ambientali che contribuiscono all’insorgenza e
alla progressione del disturbo» spiega Claudio Mencacci, direttore del
Dipartimento di neuroscienze degli ospedali Fatebenefratelli-Sacco di
Milano. «Per quanto attiene a quelli biologici, è stato osservato come
questo disturbo abbia un andamento familiare, ripresentandosi nel corso
delle generazioni nella stessa famiglia, anche se non si eredita la
malattia, bensì una predisposizione ad ammalare che però necessita di
“fattori di attivazione” ambientali o psicologici. Quindi avere un
genitore con questo disturbo non significa per forza svilupparlo.
L’esposizione a sostanze d’abuso, cattive abitudini di vita, soprattutto
relativamente al sonno, contribuiscono in misura determinante allo
sviluppo e alla progressione della malattia».
Chi soffre di un
disturbo bipolare non ha vita facile, dato che gli episodi di mania o
depressione tendono a ripetersi. Secondo quanto riportato in un recente
studio pubblicato sul Journal of Affective Disorders da Michael Gitlin e
David Miklowitz del Department of Psychiatry della Geffen School of
Medicine at Ucla di Los Angeles, nonostante l’utilizzo di farmaci
stabilizzatori dell’umore, dopo 4 anni da un episodio il rischio di
averne un altro è di circa il 50%, e a 5 anni fino al 60-80%.
«Il
Disturbo bipolare interferisce con la vita» riprende Mencacci. «Spesso
l’insorgenza è precoce, anche in adolescenza. Se non curato,
l’alternarsi di fasi depressive e maniacali produce una continua
interruzione nel percorso vitale, impedendo il raggiungimento di
obiettivi formativi, lavorativi e relazionali. Si interrompono studi,
carriere e relazioni affettive. L’individuo alterna periodi di euforia e
iperprogettualità a fasi di solitudine e disperazione. Se la prima
condizione mette a dura prova il sistema di affetti e relazioni per i
comportamenti disinibiti, rischiosi o aggressivi, la seconda presenta
spesso sentimenti di colpa, rovina ed elevato rischio suicidario. Tra
tutte le patologie psichiche è quella che si associa alla probabilità
più elevata di suicidio. Il sonno diventa un elemento guida nella cura.
Ridotto marcatamente nelle fasi che precedono l’euforia con una
sensazione soggettiva di benessere, è alterato e insoddisfacente nelle
fasi depressive».
Il trattamento del disturbo bipolare, specie
delle fasi maniacali, è reso difficile dalla scarsa collaborazione di
chi ne soffre e dal rischio di mancata aderenza alle prescrizioni. Si
basa sull’impiego di farmaci, ma anche di alcune forme di psicoterapia,
come quella psicoeducazionale , soprattutto nella fase di mantenimento,
quando si cerca di evitare una ricaduta. «I farmaci puntano alla
stabilizzazione dell’umore e al miglioramento del ciclo del sonno,
mentre gli interventi sugli stili di vita e di tipo educativo mirano a
permettere a paziente e familiari il riconoscimento precoce dei segnali
di una prossima ricaduta maniacale o depressiva» conclude Mencacci.
«L’obiettivo è stabilizzare il tono dell’umore, fondamentale per la
ripresa di un’esistenza progettuale. Il trattamento d’elezione è ancora
basato sui sali di litio, anche se da alcuni anni sono disponibili
antipsicotici di seconda generazione, più efficaci del litio in certe
forme. Alcune di queste molecole hanno sicurezza e tollerabilità
superiore. Quando è presente il rischio di suicidio, il litio resta però
l’unica molecola di dimostrata efficacia».