domenica 18 marzo 2018

Corriere 18.3.18
la storica Hélène Carrère d’Encausse
«Perché Putin vincerà»
di Stefano Montefiori


PARIGI «Oggi Putin sarà rieletto perché la maggioranza dei russi condivide la sua visione. E la crisi con Mosca sembra una risposta allo smarrimento europeo: c’è grande nervosismo, il paesaggio è cambiato, siamo in una fase di transizione interessante. Oltre alla Brexit i Paesi dell’Est vogliono meno integrazione, anche quelli del Nord guidati dall’Olanda frenano, e le elezioni italiane sono state vinte da partiti che difendono la sovranità nazionale. Mobilitarsi contro la Russia può dare la sensazione di recuperare una certa unità, si danno tutte le colpe a Putin e si annunciano sanzioni. E allora? E dopo?».
Negli appartamenti dell’Académie Française, davanti alla Senna, la grande storica Hélène Carrère d’Encausse parla dell’oggetto delle ricerche di una vita, la Russia e i suoi rapporti con l’Europa. Ha scritto decine di libri tra cui biografie di Caterina II, Lenin e Stalin, nel 1978 ha pronosticato la fine dell’Unione sovietica sotto la rivolta delle nazioni nel celebre L’impero spaccato e pochi mesi fa, a 88 anni, ha pubblicato Il generale De Gaulle e la Russia (Fayard). «Immortale» di Francia dal 1990 e prima donna a essere eletta «Segretario perpetuo» (al maschile, così preferisce) dell’Accademia, Hélène Carrère d’Encausse è una delle poche figure intellettuali di peso che, in Francia e in Europa, chiedono di trattare Putin con più comprensione.
Lo scontro comincia con l’avvelenamento in Inghilterra di un oppositore.
«L’Unione sovietica aveva una tradizione di avvelenamenti, le storie di agenti doppi o tripli tra Mosca e Londra sono un classico, John Le Carré le racconta molto bene. Anche per questo forse i britannici hanno reagito in modo così deciso. Comprendo la loro sensibilità, ma nel passato anche recente ci sono stati altri casi. Mi domando perché aprire una crisi grave adesso».
Non può essere che Putin abbia voluto testare le reazioni europee alla vigilia delle elezioni in Russia?
«I suoi consensi cresceranno, con ogni probabilità, ma Putin non ne aveva alcun bisogno perché le elezioni le avrebbe vinte comunque, a meno di sorprese oggi impensabili. Vedo un grande nervosismo europeo, una escalation mediatica che i politici assecondano».
Perché secondo lei c’entra il voto in Italia, con la vittoria di partiti in modi e gradi diversi favorevoli a Putin?
«Esiste un blocco conservatore in Europa spaventato da qualsiasi cambiamento e dalla minima mossa laterale. Soprattutto se questa è compiuta da un Paese fondatore come l’Italia. Il voto italiano è interessante perché mostra una volontà di sovranità. I popoli dicono “malgrado tutto noi esistiamo, e non solo nel disegno che viene preparato per noi”. È una delle lezioni dell’inizio del XXI secolo».
Questo incoraggia la visione nazionalista di Putin?
«Probabilmente sì. È chiaro che Putin sta pesando tutto, vede la linea “America First” di Trump e il momento di pausa europeo. Nel discorso del 1° marzo ha un po’ ripetuto quel che aveva detto a Monaco nel 2007: noi siamo russi ed è il nostro interesse nazionale a contare. Nei primi anni Duemila Putin pensava a una democrazia all’occidentale. Tutto è cambiato con le rivoluzioni “colorate” in Georgia e Ucraina. Ha capito che doveva difendere la potenza russa e una via autonoma».
Putin gioca sulla divisione politica nata in tanti Paesi tra nazionalisti contro globalizzati, società chiusa contro società aperta?
«Sì anche se, in Francia almeno, abbiamo l’abitudine di bollare i nazionalisti come “populisti”, termine che non vuole dire niente se non che non ci piacciono. Tanti Paesi ripensano a quanta sovranità preservare. Ma siamo fissati sui populisti e su Putin il cattivo».
A capo di un regime autocratico, o no?
«Putin è convinto che la stabilità politica intorno a un capo sia fondamentale. Rivendica un potere forte, in politica interna e estera. Si può amarlo o no. È coerente, anche in Medio Oriente».
E le violazioni dei diritti umani, in particolare di quelli degli omosessuali?
«Molti russi siano d’accordo con Putin sul fatto che la loro società non debba scivolare nel modello individualista occidentale, al quale associano i diritti dell’uomo. L’epoca sovietica ha formato l’abitudine a un inquadramento rigoroso, e Putin ha capito che i russi chiedono stabilità, regole, valori tradizionali anche nella famiglia».
Come dovrebbero comportarsi gli europei?
«Forse abbandonare la pretesa di spiegare “ecco, questa è la democrazia, si fa così”. Anche perché il mondo non li sta ascoltando. Ci sono tanti modelli possibili. Tutto l’Est europeo dice che la democrazia non è questa, il presidente cinese Xi Jinping segue un’altra strada, e le elezioni italiane sono un segnale importante. Un popolo di grande civiltà, che ha fondato l’Europa, adesso dice che bisogna fermarsi e ripensare l’integrazione. Nel XXI secolo il mondo è cambiato, e che cos’è l’Europa? Non molto. Non abbiamo lo stesso modello neanche tra Italia, Germania o Francia. Uno sforzo di riflessione si impone».