Corriere 13.3.18
Promesse e realtà
I 5 stelle alla prova dei fatti
di Gian Antonio Stella
Cosa
faranno i grillini a Comitini? Nel piccolo comune agrigentino finito in
prima pagina sul New York Times per la più alta percentuale planetaria
di dipendenti municipali (uno ogni quattordici abitanti) e additato a
ragione o a torto come borgo simbolo delle difficoltà economiche
aggirate col clientelismo, il M5S non ha vinto ma trionfato: 55,6%. Otto
punti in più di quelli dati alla destra alle regionali di novembre. E
adesso? Cosa si aspettano da Luigi Di Maio gli elettori «viziati» dal
sindaco-podestà Nino Contino che fra due mesi, a dispetto dei conti
disastrosi della Sicilia, porterà una trentina di compaesani in crociera
nel Mediterraneo e teorizza che i dipendenti pubblici non sono mai
abbastanza perché «zucchero non guasta bevanda»? Certo, se un voto
plebiscitario al MoVimento come quello del 4 marzo fosse stato dato
nelle tante Comitini meridionali per dire basta a decenni di zuccherini
abbinati a gestioni tanto scellerate da aggravare il divario Nord-Sud
(vedi appunto la Sicilia passata da un nono del Pil italiano nel ‘51 a
un diciannovesimo oggi) sarebbe una buona notizia. Ma i dubbi, col
passare dei giorni e le diffuse richieste di moduli per avere il
«reddito di cittadinanza» crescono: è così? Un bel problema, per chi ora
è chiamato a rispondere di certe promesse. Tanto più se hai fatto tutta
la campagna elettorale, come nel caso di Luigi Di Maio, rivendicando
una superiorità morale su tutti gli altri politici: «Noi le promesse le
rispettiamo».
C erto, gli stessi elettori sono meno rigidi
rispetto alle pretese di purezza estrema e fedeltà assoluta ai dogmi di
qualche anno fa. Vedi la svolta sulle Olimpiadi di Torino. O qualche
elasticità in più, come dimostra la lista ufficiale dei ministri in
pectore, nell’accettare persone fino a ieri estranee al movimento.
Un
mese e mezzo fa Beppe Grillo chiudeva ancora a ogni apertura: «Alleanze
con chi ci sta? Domanda senza senso. E come dire che un giorno un panda
potrà mangiare carne cruda. Noi mangiamo solo cuore di bambù». Non più,
se oggi dice che «la specie che sopravvive non è quella più forte, ma
quella che si adatta meglio». Rivendica anzi: «Dentro siamo un po’
democristiani, un po’ di destra, un po’ di centro, un po’ di sinistra:
possiamo adattarci a qualsiasi cosa».
Ma possono adattarsi gli
altri, a partire dai democratici reduci dalla batosta? Cinque anni fa, a
parti rovesciate, Pier Luigi Bersani e i suoi, protagonisti di una
analoga «vittoria mutilata», furono liquidati nello sforzo di aprire ai
grillini con un tweet del padre-padrone: «Qualora ci fosse un voto di
fiducia dei gruppi parlamentari del M5S a chi ha distrutto l’Italia,
serenamente, mi ritirerò dalla politica». Pochi minuti e secondo tweet:
«Per quanto mi riguarda non ci sarà alcun referendum interno per
chiedere l’appoggio al pdmenoelle o a un governo pseudo tecnico». Fine.
Una rigidità bacchettata persino da Marco Travaglio: «Ha prevalso
l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in
giochi più grandi e inafferrabili».
I giochi, però, sono stavolta
ancora più impegnativi. Proprio a causa di quelle promesse già
analizzate e marchiate da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi come
figlie di una campagna (vale anche per altri, a partire da Matteo
Salvini) «piena di favole». Lo stop alla Fornero con lo sganciamento
dell’età pensionabile regolata sulle aspettative di vita... La no tax
area portata a 10.000 euro e molto più su per chi ha famigliari a
carico... L’abbattimento spettacolare del 40% in soli dieci anni del
debito pubblico... Il recupero «tagliando sprechi, privilegi e spese
clientelari» di ben 50 miliardi e cioè una ventina più di quelli che
sperava di recuperare Carlo Cottarelli col suo piano di spending review
che Di Maio, bontà sua, giudica «un’ottima base di partenza» anche se
lui punta a tagliare di più, di più, di più... E tutto, si capisce,
senza toccare la sanità e i servizi sociali... Anzi: «Vogliamo aumentare
le pensioni e tagliare solo quelle che superano i 5 mila euro netti».
Tutto garantito in una lettera a La Stampa . Il giorno, coincidenza,
della Befana.
La madre di tutte le promesse, però, resta l’impegno
solenne del giovane «capo» del movimento: «nessuno dovrà vivere con
meno di 780 euro al mese se è single e con meno di 1.638 euro se ha una
famiglia con 2 figli. Grazie al nostro reddito di cittadinanza
garantiremo da subito a tutti i cittadini in difficoltà di vivere
dignitosamente, mentre si formano e cercano lavoro». Per
«accompagnarli», ha spiegato, «in una fase di transizione che può durare
qualche anno». Spesa totale: «17 miliardi». No: 29, stimano Massimo
Baldini e Francesco Daveri su lavoce.info . No, dice il presidente
dell’Inps Tito Boeri: «potrebbero arrivare a 44».
Certo, sulla
carta ci saranno regole, anche macchinose, perché non finisca in una
regalia. Ma il rischio concreto, scrive nel libro «Falso!» Roberto
Perotti, «è che tutti questi passaggi diventino adempimenti puramente
formali, senza alcun impatto effettivo». E finiscano sul serio per
distribuire prebende a pioggia. Vecchia maniera. Lasciando il Sud così
com’è.
I pentastellati sperano sul serio che i democratici, uscito
di scena Matteo Renzi, possano imbarcarsi in un’impresa simile col
rischio di venire poi accusati di essersi messi di traverso a una
stagione luccicante di oro?