Repubblica 27.2.18
Poteri tecnici
Perché la scienza non può farsi politica
di Massimo Cacciari
Non
occorre molta scienza per capire come un Paese che “esilia” i propri
giovani ricercatori in ogni disciplina, che investe nella ricerca meno e
forse peggio di molti altri, non possa sperare in fulgidi futuri, come
analizzava qualche giorno fa Roberto Defez del Cnr in un’intervista
apparsa sul Giornale. Ma è arduo ancora più pensare che per superare i
nostrani, storici ritardi e avviarci a meravigliose sorti e progressive
basti istituire una Casa di Salomone (si veda il grande Bacone, Nuova
Atlantide), dimora degli autoproclamatisi più saggi (cioè gli uomini di
scienza come auspicato nella stessa intervista), chiamati a promulgare
le liste dei meritevoli di appoggio, finanziamento, carriera accademica.
Più realistica forse l’ipotesi che la debolezza delle nostre politiche
di ricerca e sviluppo sia lo specchio, per molti versi inevitabile,
della debolezza economica e politica complessiva del nostro Paese, della
sua base produttiva centrata su un tessuto industriale di piccole o
minime dimensioni, di un bilancio statale soffocato da un deficit sempre
più insostenibile. Lungi da me, tuttavia, sostenere che la decisione
per politiche meritocratiche nella selezione delle professioni — e di
quelle scientifiche in primis — sia cosa insignificante o marginale.
Riforme
che non comportino spesa nessuno le ha viste mai, ma in questo campo se
ne potrebbe forse realizzare qualcuna. Come però? Rafforzando i poteri
di quelle strutture para-ministeriali e ultra-burocratiche che dall’alto
del Campidoglio di Viale Trastevere già oggi stabiliscono modalità di
selezione, concorsi, principi dell’offerta didattica, valore dei titoli,
ecc. ecc., secondo modelli centralistici degni del “socialismo reale”?
Oppure affiancando a queste la Casa di Salomone, appunto, la casa dei
Migliori, di fronte alla cui Autorità i non autorizzati dovrebbe
recedere dalle proprie pretese e i poteri politici inchinarsi
devotamente? Avanzo una modesta proposta alternativa — fermo restando
che nulla impedisce agli Scienziati di dar vita anche formalmente a una
potentissima Organizzazione, con la quale cercare di imporre al Politico
le proprie volontà e che periodicamente pubblichi liste con le pagelle
dei meritevoli, dei rimandati e dei bocciati. Puntare davvero su un
modello competitivo; rendere reale l’autonomia delle sedi universitarie;
permettere a ciascuna di elaborare proprie strategie dall’offerta
didattica alla selezione del personale docente, alla definizione delle
proprie vocazioni primarie, incentivandone cioè la specializzazione. Con
l’eliminazione del valore legale del titolo di studio, i giovani si
orienterebbero naturalmente a quelle sedi che sembrino garantire una
formazione migliore ed essere in rapporto più forte col mondo
produttivo. La proliferazione anarchica delle sedi nel corso dei passati
decenni è essenzialmente il prodotto della mancata autonomia reale
delle università, le quali, invece, nella situazione che la mia modesta
proposta auspica, si troverebbero obbligate a cercare davvero i
migliori, anche dal punto di vista delle capacità di ottenere per le
proprie ricerche finanziamenti pubblici e privati. L’autonomia è l’uovo
di Colombo; nessun potere centrale potrà mai stabilire chi merita e chi
no, nessuna combinazione di Politica e Scienza. Lo Stato dovrà limitarsi
a stabilire alcune regole precise in materia di diritto allo studio,
obbligando gli Atenei a perseguirle. Libero poi di imporre le prove che
vorrà per accedere a pubblici impieghi. Ma l’idea di un Tribunale della
Ragione (scientifica) riveste un interesse culturale che va ben oltre le
vicende delle nostre accademie.
Esso segnala un “destino” che
muove quasi di necessità dalla situazione attuale del sistema
tecnico-scientifico. La potenza che esso esplica, la rapidità con cui
procede, le trasformazioni anche ormai antropologiche che si mostra in
grado di produrre, contrastano evidentemente con le procedure e le forme
della rappresentanza e della decisione politica. “Metti la Scienza al
potere” sostituisce l’ormai arcaico “metti il Politico al comando”. La
coincidenza al limite tra Politico e Scienza è, per un certo verso, il
senso dell’Utopia del Moderno.
Oggi essa viene invocata nei fatti,
anche se non ci si mostra coscienti della portata epocale che tale
istanza esprime. Dalla modesta proposta di cui sopra, mi si permetta un
modesto consiglio: riflettano bene gli Scienziati — e soprattutto i
Migliori tra loro — che fare politica non potrà solo limitarsi a
promuovere la loro ricerca di più e meglio.
Significherà anche definire priorità di ordine sociale.
Significherà
entrare nel conflitto dei valori, confrontarsi anche con ideologie e
demagogie. Insomma, avere a che fare con schiere di diavoli che essi
conoscono da lontano. Forse è preferibile che continuino ad avere cura
dei vera (la Verità non la possiede nessuno), piuttosto che costituire
Organismi esplicitamente orientati in senso politico. Forse è
preferibile che esercitino la propria volontà di potenza nel senso della
volontà di sapere, senza confondersi con la declinante volontà di
potenza del Politico attuale.