venerdì 23 febbraio 2018

La Stampa 23.2.18
Dallo stallo tedesco all’Ungheria xenofoba
Tutte le crepe Ue che spaventano i mercati
La crescente instabilità rischia di allontanare gli investitori
di Francesco Guerrera


Il pericolo-Italia ritorna a spaventare l’Europa. A lanciare l’allarme è stato Jean-Claude Juncker in un’esternazione che ha fatto scalpore a Roma, innervosito Bruxelles e fatto paura ai mercati.
Il presidente della Commissione europea si è detto preoccupato dello «scenario peggiore» nel dopo-elezioni, «cioè un governo non operativo in Italia». È un bell’eufemismo per spiegare la paura che aleggia nei corridoi del potere dell’Unione Europea e tra i trader delle banche d’affari. Dopo mesi in cui le varie, troppe, fazioni politiche avevano rassicurato alleati, investitori e connazionali che il 4 marzo non avrebbe portato al caos, è arrivato Juncker a guastare la festa.
Ma l’Italia non è l’unica mina vagante nel panorama politico europeo. Il Vecchio Continente è pieno zeppo di governi, Paesi e partiti «non operativi», a dirla con Juncker. Facciamo due passi in Europa: Polonia e Ungheria sono in mano a regimi reazionari e beceri che trattano l’Ue come uno zerbino; il governo austriaco è puntellato dai militanti di estrema destra del Partito della Libertà, grande fautore di Vladimir Putin.
Nel
Regno Unito, Theresa May traballa sul ponte del Titanic targato Brexit, mentre in Spagna Mariano Rajoy sta facendo l’impossibile per non soccombere alla forza centrifuga della Catalogna. Per fortuna che c’è la Germania. No, un momento. La locomotiva storica dell’Ue è paralizzata dal voto dei social-democratici su una «Grande Coalizione» che non sembra grande a nessuno.
Una sfortunata coincidenza storica vuole che i risultati di quel plebiscito verranno rivelati poco prima delle elezioni italiane, creando un mix potenzialmente esplosivo per politica e mercati. Persino in Francia, la luna di miele dell’enfant prodige Macron sta per finire.
La buona notizia, per il momento, è che l’economia dell’Ue è in condizioni decenti – thank you, Mr Draghi – e che gli altri grandi blocchi non stanno proprio benissimo, certo non gli Usa dilaniati dal trumpismo. Ma siamo ormai alla fine di un periodo di (relativa) tranquillità europea che dura da anni – dalla fine della crisi dell’euro nel 2012, passando per l’inizio dell’enorme stimolo della Banca centrale europea tre anni fa, fino alla rispettabile crescita economica attuale. Checché succeda nelle urne italiane, nel ballottaggio tedesco o nel ventre del partito conservatore inglese, stiamo per entrare in un periodo di turbolenza: l’intervento di Juncker è l’avviso del pilota ad allacciare le cinture di sicurezza. Come spesso accade, saranno i mercati a decidere se questo sia l’inizio di una nuova crisi europea o un semplice momento-no in un’Unione che fa dell’inquietudine la sua ragione d’esistere.
La dicotomia è ovvia e preoccupante: i politici amano l’incertezza perché è solo negli interstizi dell’incertezza che trovano lo spazio per compromessi e accordi. Gli investitori odiano l’incertezza perché non gli permette di calcolare con precisione i propri ritorni. E quando gli investitori non possono divinare il futuro, vendono. Basta guardare allo spread tra obbligazioni italiane e tedesche: dopo i commenti di Juncker, è salito di quasi il 4 per cento, un rialzo allarmante, soprattutto perché la Germania non è in salute perfetta.
Gli ottimisti dicono che Juncker e i mercati stanno esagerando. Anzi, sostengono che sia positivo che le paure escano fuori adesso. Se i vari risultati sono migliori delle aspettative, gli investitori ritorneranno in massa a comprare beni ed obbligazioni dell’Ue. Non è certo impossibile. Warren Buffett, il più grande investitore del mondo, consiglia sempre di essere «avidi quando gli altri sono timorosi e timorosi quando gli altri sono avidi». E so di un gestore di hedge fund che sta comprando un po’ di tutto, allettato dai prezzi bassi e dalla convinzione che le cose miglioreranno sia in Italia sia in Germania.
Un banchiere della City mi ha persino detto che le parole di Juncker sono un classico caso di psicologia dei contrari: parlare del peggio per farsi sorprendere dalla realtà. Speriamo abbia ragione. Per il momento, chi guarda verso l’orizzonte europeo vede una nuvola a forma di stivale.