La Stampa 22.2.18
Clooney in marcia con gli studenti
La sfida a Trump parte dalle armi
L’attore dona 500 mila dollari e alimenta le voci di corsa per la presidenza
di Paolo Mastrolilli
Stavolta
è diverso. La strage di Parkland, e l’attacco degli studenti
sopravvissuti contro le armi, sta creando un movimento che forse inizia a
scuotere la politica americana. Si capisce dal presidente Trump, che
valuta iniziative per limitare la vendita, o da George Clooney, che
donando mezzo milione di dollari per organizzare la «March for Our
Lives» (la «Marcia per le Nostre Vite») ha subito acceso le speculazioni
sull’ipotesi di una candidatura alla Casa Bianca nel 2020.
In
genere l’indignazione per le stragi nelle scuole si esaurisce dopo
qualche giorno, tra il dolore dei famigliari e l’immobilismo della
politica. Finite le denunce, la rabbia, le lacrime, la lobby dei
produttori Nra mette tutto a tacere, per due motivi: primo, i soldi con
cui finanzia presidenti, senatori e deputati; secondo, la cultura delle
armi radicata nel paese. La differenza stavolta è che i ragazzi della
Marjory Stoneman Douglas High School si sono ribellati, e non mollano,
nonostante i media conservatori li accusino di essere attori e pupazzi
pagati dai burattinai liberal. Martedì sera il Parlamento della Florida
si è rifiutato persino di discutere un progetto di legge per vietare la
vendita delle armi da guerra, come il mitra AR15 usato da Nikolas Cruz
nella strage. Lo Speaker della Camera locale, Richard Corcoran, ha
risposto che lo considera un legittimo fucile da caccia e non crede che
il suo bando aiuterebbe a risolvere il problema. La sopravvissuta Sheryl
Acquaroli, in lacrime, lo ha condannato così: «La prossima volta che ci
sarà una strage, la colpa sarà tua!».
Ieri gli studenti sono
andati a Tallahassee, capitale della Florida, per incontrare i
parlamentari e protestare contro la loro decisione. Il più duro è stato
Alfonso Calderon: «Dicono che siamo ragazzini e non capiamo. Ma io
capisco. Capisco cosa significa stare chiuso per quattro ore dentro un
armadio, con persone che considero ormai famigliari che piangono temendo
per la loro vita, mentre i nostri compagni vengono ammazzati. Capisco
cosa vuol dire mandare un messaggio ai tuoi genitori, in cui dici loro:
non so se ci rivedremo, volevo dirvi che vi amo. Capisco che un senatore
voglia essere rieletto. Però non ci tapperete la bocca. Sappiamo cosa
serve per impedire che queste stragi si ripetano, e continueremo a
chiederlo fino a quando ci ascolterete». Intanto anche a Washington si
svolgeva una manifestazione di solidarietà.
Queste iniziative
stanno scuotendo il mondo della politica come non si era visto neppure
ai tempi di Sandy Hook. In teoria le elezioni di Midterm di novembre
avrebbero dovuto paralizzare tutto, per il timore dei candidati,
soprattutto repubblicani ma anche democratici, di essere boicottati
dalla potente Nra. Trump poi è stato eletto grazie al sostegno dei
produttori di armi, tanto in termini di finanziamenti, quanto di
sostegno nella sua base, e non avrebbe interesse a muoversi. Però in
passato, prima di fare politica, era stato favorevole a limitare le
vendite, e il suo istinto deve avergli suggerito che è arrivato il
momento di rispolverare quelle posizioni. All’inizio è andato sul
sicuro, appoggiando la legge presentata dai senatori repubblicano Cornyn
e democratica Feinstein per potenziare i controlli sui compratori di
armi, che la stessa Nra non osteggiava. Poi ha aggiunto la richiesta di
vietare i «bump stocks», cioè gli strumenti usati da Stephen Paddock per
rendere automatici i suoi fucili nella strage di Las Vegas. Ora,
secondo fonti anonime della Casa Bianca, sta considerando di alzare a 21
anni l’età per comprare le armi da assalto, e ieri ha convocato una
riunione per ascoltare le vittime. Vedremo quanto di questo è
propaganda, fatta circolare per rispondere all’emozione del momento, e
quanto diventerà sostanza. Però è chiaro che Trump, dotato di istinto
politico per intercettare la pancia degli americani, ha capito che
qualcosa è cambiato e bisogna reagire. Anche perché il rischio di un
contraccolpo a novembre nelle urne contro il Partito repubblicano
rischia di essere più grave degli eventuali ricatti dalla Nra.
Il
presidente risponde pure alle tendenze della cultura popolare, e
certamente non gli è sfuggito che George Clooney e la moglie Amal hanno
donato mezzo milione di dollari per pagare la «March for Our Lives», la
manifestazione di protesta contro le armi in programma il 24 marzo a
Washington: «La nostra famiglia - hanno detto - ci sarà. La facciamo per
i nostri figli Ella e Alexander, ne va della loro vita». Subito dopo
Oprah Winfrey ha aggiunto un altro mezzo milione: «Sto con George,
contribuisco anche io». Naturalmente sono subito iniziate le
speculazioni sull’ipotesi che Clooney voglia candidarsi alla presidenza
nel 2020, usando il miliardo di dollari incassato dalla vendita del
marchio della tequila Casamigas, con una piattaforma basata su
immigrazione, abusi contro le donne «Mee Too», disuguaglianza economica,
e ora le armi. Abbastanza per costruire una coalizione vincente.