il manifesto 28.2.18
Roberto Esposito, pubblicato da Einaudi, con Baruch Spinoza: Il negativo è il limite che attraversa la vita
Storia delle idee. «Politica e negazione. Per una filosofia affermativa»
Il
filosofo si interroga su un’inarrestabile deriva nichilista e esplora
le radici dell'alternativa di un pensiero affermativo. Una riflessione
che porta la vita alla sua massima espansione senza sottrarsi a nessun
conflitto. La scoperta di Spinoza per il quale la sapienza è una
meditazione sulla vita, non un pensiero sulla morte. Quello del filosofo
non è incauto ottimismo, né cieco volontarismo. Conosce la potenza che
ci abita
di Roberto Ciccarelli
In
giorni oscuri torniamo a interrogarci sulla negazione. L’avevamo
rimossa, avevano detto che la storia era finita e avremmo vissuto in un
eterno presente pacificato. Ci siamo risvegliati in una specie di guerra
civile mondiale dove la negazione è intesa come distruzione della vita:
il terrorismo jihadista che rivendica il potere di dare la morte in
maniera indiscriminata. Oppure lo stragismo fascista e razzista contro
gli immigrati, rovescio diabolico di una risposta uguale e terribile.
ABBIAMO
PERSO il contatto con l’idea per cui il negativo sia l’anima del reale,
ciò che lo spinge a rovesciare la contraddizione e affermare la vita.
Il negativo è invece inteso come una negazione senza rimedio. Oltre il
suo «non» c’è il niente. Il «negare» ritrova la sua lontana origine
latina: «necare», uccidere. Tutto sembra essere stato assorbito da un
dominio di un potere assoluto che non salva, ma uccide anch’esso.
Sfumano così le distinzioni che hanno costruito la politica moderna:
quella tra guerra e pace, tra il militare e il civile, tra il criminale e
il nemico. Anche davanti a fenomeni meno estremi – il lutto, l’afasia,
il dolore, la precarietà, la contraddizione più acuta – sembriamo
incapaci di afferrare il negativo con categorie diverse dalla
distruzione della differenza che abita l’essere.
SIAMO IN
UN’«INARRESTABILE deriva nichilista di una negazione sfuggita di mano a
chi l’ha teorizzata – scrive Roberto Esposito nel suo ultimo libro
Politica e negazione. Per una filosofia affermativa (Einaudi, pp. 207,
euro 22) – La logica del nichilismo si traduce in un’ontologia
dell’inimicizia». E «l’annientamento diventa auto-annientamento».
L’altro va distrutto per affermare un’identità tanto autentica, quanto
fittizia e mortifera: l’identità nazionale e «sovrana», oppure la
proprietà e la concorrenza tra individui atomici e disperati.
C’E’
STATO UN TEMPO in cui si è ritenuto che il nemico fosse chiaro, almeno
dal punto di vista della razionalità politica. Questa logica, in realtà,
non era così ferrea, tanto è vero che lo stesso Carl Schmitt in Teoria
del partigiano ne ha indicato i limiti. Se a Lenin è stata riconosciuta
una superiorità politica per avere trasformato il Capitale da «vero
nemico» in «nemico assoluto» (ricambiato dall’altra parte), la deriva
nichilistica dell’annientamento non è stata fermata. Anzi, si è
intensificata.
POLITICA E NEGAZIONE è alla ricerca di
un’alternativa. Esposito riparte dal significato di «negazione» e
conduce un corpo a corpo con Hegel, il grande pensatore di questa
categoria. Non c’è dubbio che il negativo sia l’essere altro da sé, il
superamento verso qualcosa che non ritorna all’identico. Il punto è che
non è l’espressione di una negatività di fondo dell’essere, un divenire
privo di determinazioni che non siano quelle rispetto a se stesso. Il
negativo fa parte della vita: è la sua necessità. Per questo va
contestualizzato, non generalizzato. È una forma dell’affermazione, non
l’elemento originario che annulla l’essere.
IL NEGATIVO RIGUARDA
anche l’azione, il modo in cui concepiamo le relazioni e la politica.
Non è un ostacolo o una forza contraria che si oppone alla libera
volontà di chi vuole affermare qualcosa. Il «non» – ovvero il conflitto,
la contraddizione – non è esterno al soggetto, ma è interno ad esso. Il
negativo è il limite che attraversa la vita costretta tra necessità e
finitezza. E tuttavia non è la fine di qualcosa, ma l’indice di ciò che
potrebbe essere. Non è l’annichilimento della vita, ma «il punto vuoto
che spinge il presente oltre se stesso», scrive Esposito. Lo scopo di
questo approfondimento vertiginoso è modificare la nostra disposizione
verso la vita. Se la vita è imprigionata nel negativo, allora è immobile
povera e paranoica. Se invece è un momento determinato di un divenire
storico che si sporge oltre se stesso, allora diventa una pratica.
PER
AFFRONTARE questa impresa Esposito si è rivolto a Spinoza, l’unico
filosofo che ha dato una definizione affermativa della negazione.
Spinoza, il grande eretico aggredito da Hegel e sistematicamente
travisato dai suoi posteri. Per lui la sapienza è una meditazione sulla
vita, non un pensiero sulla morte. È una meditazione su ciò che può fare
una vita, non su ciò a cui deve rinunciare per sopravvivere. Questa è
ancora oggi la sua gloria: avere una grande fiducia nella vita e
denunciare tutti i fantasmi del negativo.
OGGI POSSIAMO INTUIRE
quanto contro-corrente possa essere un simile atteggiamento. Ma questa è
la vocazione «inattuale» del filosofo. Il suo non è incauto ottimismo,
né cieco volontarismo. Conosce la potenza che ci abita, a dispetto del
negativo che ci circonda. Ha fiducia nelle potenzialità della vita, come
nell’amore per il mondo e per chi lo vive.
L’APPRODO ALLO
SPINOZISMO di un filosofo importante come Esposito non è improvvisato.
Già in passato aveva parlato di «biopolitica affermativa». Oggi parla di
«filosofia dell’affermazione». Una definizione rilevante in un panorama
culturale come quello italiano dove prevale un «pensiero del negativo»
che porta ad esiti impolitici, elitari o addirittura teologici. Il
pensiero affermativo non è un positivismo del fatto compiuto, né una
stanca decostruzione. Indica la strada per una nuova forma di
materialismo, istanza che sembrava remota, o riservata a poco, fino a
poco tempo fa.
SUL PIANO POLITICO questa filosofia mette in
discussione la «sovranità», il fantasma di tutti i dibattiti politici o
economici. Con «sovranità» si allude a uno Stato che nega l’inimicizia
degli uomini e impone il monopolio della violenza. Esiste, invece,
un’altra concezione dello «Stato» che incanala la potenza istituzioni
capaci di salvaguardarne l’esistenza. In questo modo «il governo degli
uomini non passa per una denaturazione della vita», ma da una forma
immanente di auto-governo che mira al raggiungimento del «punto massimo
della propria espansione». È la differenza che passa tra una politica
sulla vita e una politica della vita, per usare le categorie di
Esposito.
UNA «FILOSOFIA DELL’AFFERMAZIONE» non nega l’esistenza
del conflitto – il negativo – né allude a una pacificazione come fa la
retromania che devasta il dibattito pubblico attuale. Il conflitto è un
elemento della relazione, oltre che della creazione di nuove
istituzioni. Per renderla concreta è necessaria una politica
dell’amicizia.
NELLA POLITICA novecentesca l’amicizia è stata
considerata una categoria parassitaria dell’inimicizia. O amici, non ci
sono amici in questo mondo. E così il mondo si scopre popolato solo da
nemici. Davanti a questo paradosso va sperimentata una prassi politica
che metta insieme corpo e intelletto, materia e spirito, vita e forma, e
non rifugga ma abbracci il conflitto. Una politica dell’amicizia
consiste nel costruire opere comuni, nel saperle difendere e
nell’affermarle.
LA SOLIDARIETA’ E LA FRATELLANZA vanno riscoperti
come strumenti affermativi, non come mezzi per attaccare il diverso.
Creano legami, non impongono vincoli. Se intesi come strumenti del
conflitto servono a liberarsi da ciò che impedisce di godere insieme di
quello che abbiamo: la carne, la nascita, il corpo, la differenza e, più
in generale, l’idea che la norma (giuridica, politica, sociale) nasca
dalla vita in comune. L’amicizia è capace di affermare qualcosa che è in
potenza e a disposizione di tutti. È tempo di imparare a coglierne i
frutti.