sabato 24 febbraio 2018

il manifesto 24.2.18
Trump accelera, ambasciata Usa a Gerusalemme il 14 maggio
Israele/Territori palestinesi occupati. Anticipata dai media israeliani e dal ministro Yisrael Katz la notizia è stata confernata da una fonte del Dipartimento di Stato. La rabbia dei palestinesi: è una provocazione.
di Michele Giorgio


Yisrael Katz non ce l’ha fatta a contenere la sua felicità e ha anticipato tutti ieri, incluso il premier Netanyahu. «Mi voglio congratulare con Donald Trump, il presidente Usa, della sua decisione di trasferire l’ambasciata nella nostra capitale nel 70 anniversario della Giornata dell’indipendenza (la fondazione di Israele, ndr). Non c’è un regalo più grande di questo. La decisione più giusta e corretta. Grazie, amici!», ha scritto il ministro dei trasporti sul suo profilo Twitter, commentando il nuovo schiaffo dell’Amministrazione Usa al diritto internazionale e alle rivendicazioni palestinesi sulla città santa. La risposta palestinese è arrivata poco dopo, per bocca di Nabil Abu Rudeinah, portavoce del presidente dell’Anp Abu Mazen. «Qualsiasi iniziativa incoerente con la legittimità internazionale – ha spiegato – impedisce ogni tentativo di raggiungere accordi nella regione e crea un clima negativo e dannoso». Più netta è stata la condanna di Hamas. Il trasferimento dell’ambasciata, ha scritto in un comunicato il movimento islamico «è una dichiarazione di guerra nei confronti della nazione araba e musulmana». Si attendono ora le risposte della popolazione palestinese che ha già reagito con grandi manifestazioni di protesta a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e a Gaza al riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele e all’annuncio del trasferimento dell’ambasciata fatti da Donald Trump lo scorso 6 dicembre.
La data ufficiale del trasferimento della sede diplomatica ieri sera non era stata ancora comunicata dalla Casa Bianca. Un funzionario del Dipartimento di Stato ha soltanto confermato il passaggio a maggio della sede diplomatica da Tel Aviv a Gerusalemme, senza fornire dettagli. Secondo i media locali, in una prima fase sarà aperta una ambasciata provvisoria nella struttura consolare di Gerusalemme Ovest, da dove l’ambasciatore David Friedman lavorerà con uno staff ridotto. In seguito questa sede sarà ampliata e, infine, sarà aperta un’ambasciata permanente con ogni probabilità nella zona sud-est di Gerusalemme, quindi nella parte araba della città occupata da Israele nel 1967. Qualcuno parla di mossa “simbolica” il prossimo 14 maggio, per celebrare i 70 anni dalla proclamazione dello Stato d’Israele. Simbolica non lo è per niente. Tutto ciò che riguarda Gerusalemme e il suo status ha una eccezionale importanza politica e genera passioni e reazioni in almeno metà del pianeta.
Trump ha voluto accelerare i tempi. Solo il scorso mese, il vicepresidente Usa Mike Pence aveva parlato di uno spostamento dell’ambasciata entro la fine del 2019. Poi è intervenuto qualcosa. Anzi qualcuno, il miliardario israelo-americano Sheldon Adelson, da anni alfiere del primo ministro Netanyahu. I media israeliani scrivono che Sheldon, tra maggiori finanziatori dei Republicani, si è offerto di coprire una buona parte dei costi (decine di milioni di dollari) della nuova ambasciata Usa a Gerusalemme a patto che il progetto vada avanti ad alta velocità. E il Dipartimento di Stato starebbe ora valutando se sia legale accettare donazioni private. In quel caso oltre a Sheldon, l’Amministrazione Trump potrebbe sollecitare contributi dalle comunità evangeliche sioniste ed ebraiche degli Usa.
Dietro questa accelerazione c’è con ogni probabilità anche la prossima, così pare, presentazione del cosiddetto “Accordo del secolo” tra israeliani e palestinesi, ossia il “piano di pace” della Casa Bianca. L’ambasciatrice americana all’Onu Nikky Haley ha detto durante un incontro all’Istituto Politico dell’Università di Chicago che gli Usa «stanno arrivando con un piano, non sarà amato da entrambe le parti e non sarà odiato da entrambe le parti». Parole che significano tutto e nulla. Di certo si sa solo che gli Usa non appoggiano più la soluzione dei Due Stati ed escludono quella dello Stato Unico, e che i palestinesi respingono con forza la mediazione americana dopo la dichiarazione di Trump su Gerusalemme.