il manifesto 21.2.18
Abu Mazen: «Conferenza internazionale per la Palestina»
Palestina.
Il presidente dell'Anp ieri al Palazzo di Vetro ha rivolto un appello
al riconoscimento immediato dello Stato di Palestina e alla creazione di
un meccanismo internazionale per la questione palestinese. In
Cisgiordania continua a crescere il numero dei coloni israeliani.
di Michele Giorgio
Sotto
lo sguardo freddo dell’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley e dei due
inviati di Donald Trump in Medio Oriente, Jason Greenblatt e Jason
Kushner, mentre l’ambasciatore israeliano Danny Danon si mostrava
occupato a scrivere note su foglietti di carta, il presidente
palestinese Abu Mazen ieri al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha
chiesto con forza la creazione di un meccanismo multilaterale «per
risolvere la questione palestinese tramite una conferenza
internazionale» da tenersi a metà del 2018. Riconoscere lo Stato di
Palestina subito, ha esortato rivolgendosi ai 15 Paesi membri del CdS,
«non danneggerà alcun negoziato futuro». Sui 193 Paesi membri dell’Onu,
138 hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, ha sottolineato.
Abu
Mazen non è un leader politico che riscalda il cuore di chi lo ascolta,
non è coivolgente. Eppure ieri, pur con il suo abituale stile asciutto,
ha centrato punti fondamentali. Non ha mancato di rilanciare le sue
accuse alla Casa Bianca che lo scorso 6 dicembre ha violato la legge
internazionale e gli stessi Accordi di Oslo con il riconoscimento
unilaterale di Gerusalemme come capitale di Israele. «Noi non abbiamo
mai rifiutato di sederci al tavolo dei negoziati, questa è l’unica via
per raggiungere la pace», ha proclamato, precisando subito dopo che i
palestinesi «hanno il coraggio di dire sì e il coraggio di dire no».
Parole rivolte all’ambasciatrice Nikki Haley, il braccio armato di Trump
e di Israele alle Nazioni Unite, che lo accusa di non essere un leader
«coraggioso», capace di prendere decisioni importanti. Quindi Abu Mazen
ha attaccato Israele per non aver rispettato le risoluzioni del
Consiglio di Sicurezza e per agire come uno «Stato sopra la legge».
L’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, ha sottolineato, è
diventata una «colonizzazione di insediamenti permanenti» e Israele «ha
chiuso la porta alla soluzione dei due Stati».
A un certo punto
Abu Mazen ha ammesso che, nella situazione attuale, senza un negoziato
vero e prospettive concrete di creare uno Stato palestinese a causa
delle politiche del governo di Benyamin Netanyahu e la linea pro-Israele
degli Stati Uniti, l’Autorità nazionale palestinese (Anp) da lui
presieduta di fatto lavora per l’occupazione e solleva Israele dalle sue
responsabilità verso la popolazione civile palestinese. Abu Mazen però
non ha fatto riferimento alla possibilità di dissolvere l’Anp o di
cessare la cooperazione di sicurezza con Israele, punto quest’ultimo sul
quale insiste gran parte della sua gente e lo stesso Consiglio centrale
dell’Olp. Al termine del discorso, seguito da un lungo applauso, il
presidente palestinese ha lasciato l’aula senza ascoltare la replica di
Nikky Haley e dell’ambasciatore israeliano Danon che lo ha accusato di
«correre via dal dialogo», di aver rifiutato di incontrare Netanyahu e
di essere «non la soluzione ma il problema». Una frase certo non gettata
lì per caso. Come avvenuto con Yasser Arafat, la strategia del governo
israeliano sembra essere quella di provare a delegittimare Abu Mazen,
come leader politico e come persona, forse con l’approvazione
dell’Amministrazione Trump.
Il Palazzo di Vetro comunque è molto
lontano dalla Cisgiordania palestinese. Sul terreno l’occupazione non
conosce soste. Il numero di coloni israeliani lo scorso anno è cresciuto
di quasi il doppio rispetto alla popolazione complessiva di Israele.
Dal 1 gennaio 2018 è di 435.159, in rialzo del 3,4% rispetto all’anno
prima e del 21,4 % rispetto agli ultimi cinque anni. Lo ha riferito
lunedì con orgoglio un leader dei coloni Yaakov Katz, che ha anche
previsto che la crescita degli insediamenti aumenterà ancora di più nei
prossimi anni grazie anche alla presidenza Trump. Il presidente
americano, ha aggiunto Katz, ha creato una nuova atmosfera favorevole
alla crescita degli insediamenti dopo otto anni controversi con la Casa
Bianca di Barack Obama. «Questa è la prima volta – ha notato Katz – dopo
anni, che siamo circondati da persone che ci amano davvero e che non
cercano di essere neutrali. Dobbiamo ringraziare Dio che ha fatto
eleggere Donald Trump presidente degli Stati Uniti».