il manifesto 21.2.18
Netanyahu corrotto corre al fronte
di Zvi Schuldiner
Che
meraviglia. Fin dalle prime ore del mattino, alla radio e alla
televisione danno i nomi di alcuni degli arrestati, molto vicini al
primo ministro. Dopo poche ore, ecco nuovi dettagli.
È un delitto
ricevere «regali» che valgono circa un milione di shekel (oltre 300.000
dollari)? Caso numero 1000 (così, con questa numerazione periodica
questi scandali sono conosciuti in Israele). È un delitto concludere un
accordo problematico e poco chiaro con l’editore del’importante
quotidiano Yedioth Ahronot?
Caso numero 2000. Non ci dicono niente
sul caso 3000 : lo scandalo relativo alla fornitura di sottomarini a
Israele da parte dell’azienda tedesca Thyssen-Krupp.
Fra i
probabili accusati di corruzione, due avvocati in strettissimi rapporti
con Benjamin Netanyahu – uno dei due, il legale Molkho, ha rappresentato
il premier in questi ultimi anni, in contatti segreti ad alto livello
con diversi Paesi.
Eppure Netanyahu non è stato chiamato a
testimoniare: non avrebbe alcun rapporto con il caso, dice il
procuratore generale. Nelle ultime ore ci dicono, finalmente, che il
premier dovrebbe testimoniare sul caso 3000. Ma intanto negli ultimi due
giorni siamo stati occupati con il caso 4000, sul legame di natura
illegale fra Netanyahu e un imprenditore potente – ora meno potente
perché da ieri in stato di detenzione – nel campo delle
telecomunicazioni e proprietario di un giornale digitale. E mentre
scriviamo scoppia un altro di scandalo: un tentativo di corruzione di
una giudice da parte di un consigliere molto vicino al primo ministro.
È
molto importante capire il clima generale che domina in Israele. Stanno
crollando molte delle difese costruite intorno al primo ministro, il
quale sembra vieppiù impelagato: la corruzione governativa appare più
grave di quanto si potesse prevedere due anni fa all’avvio delle
indagini. Una valanga di nuovi dettagli sembra adesso minacciare il
leader del Likud; i suoi accoliti alzano sempre di più la voce, man mano
che si aprono altre brecce nelle difese di Netanyahu. Egli si preoccupa
in primo luogo, e cinicamente, della sua sopravvivenza politica e per
questo cerca in modo frenetico di screditare polizia, procuratore e
giudici. Come se si trattasse di una cospirazione contro un novello
Dreyfus. Se per salvarlo è necessario essere disposti a tutto, allora il
problema è serio. Così l’escalation delle ultime settimane su tutti i
fronti è cosparsa di mine vaganti che potrebbero esplodere senza troppe
difficoltà.
Nel contesto internazionale, l’avventurismo di Donald
Trump libera Israele dai freni messi in atto da Barack Obama. Immerso
nei guai interni e offuscato da considerazioni demenziali sulla politica
internazionale, il presidente Usa non fa da freno, come avevano potuto
fare gli Stati uniti come quando i vertici israeliani pensavano a un
attacco all’Iran.
A Monaco, il premier ha mostrato – con il drone
iraniano abbattuto – ancora una volta l’atteggiamento paranoico di
Israele verso l’Iran e ha fatto ricorso ai suoi abituali trucchi da
teatrante. Ma il problema non sono solo gli atteggiamenti e le menzogne
di Netanyahu: l’Europa manca di una voce decisa. E mentre le difese del
premier collassano, tutti sembrano disposti ad aspettare le sue
possibili avventure belliche senza opporvi un chiaro no.
Da
ultimo, Israele fornisce sostegno a gruppi armati siriani nella regione
presso le alture del Golan, a mo’ di possibile difesa contro i tentativi
dell’Iran di insediarsi nell’area. Sembrano crescere negli ultimi
giorni le frizioni reali o virtuali con Hezbollah in Libano; le minacce –
finora verbali – da entrambe le parti potrebbero essere il punto di
partenza per incendiare il nord, mentre le incursioni aeree degli
israeliani in Siria si ripetono ormai frequentemente. La scusa sarebbe
sempre la fornitura di nuove armi da parte dell’Iran, o la costruzione
di nuove basi per le forze iraniane, oppure possibili minacce da
Hezbollah. Tutto questo produce una situazione gravemente instabile,
dalla natura molto pericolosa.
A sud, un attacco attribuito ad
alcuni gruppi palestinesi della striscia di Gaza ha dato luogo non solo a
pesanti raid israeliani, ma anche a gravi minacce di una escalation
mentre tutta la Striscia di Gaza si trova nella situazione che membri
degli apparati di sicurezza israeliani definiscono «la miccia di una
crisi umanitaria potenzialmente esplosiva», tanto che propongono di
alleggerire la situazione. Sono cioè più moderati dei politici, i quali
promettono dure reazioni e una «sonora lezione al nemico». Si tratti di
Hamas, di Hezbollah o dell’Iran.
I possibili focolai di guerra, in
un contesto internazionale così problematico, potrebbero offrire un
pretesto pericoloso per azioni militari, così da indurre i cittadini
israeliani a occuparsi più della «patria minacciata» che di casi non
così importanti tipo, insomma, «un po’ di corruzione, non poi così
grave».
La minaccia di nuovi conflitti è molto seria. Lo spargimento di sangue potrebbe essere di enorme portata.